Nord e Sud. Sud e Nord.
Qualunque paese si osservi le differenze tra meridione e
settentrione sono più o meno rilevanti e, nei casi più estremi, queste possono
sfociare in manifestazioni di razzismo e violenza. È il caso dell’Italia, o
almeno dell’Italia fino ad un paio di anni fa, prima che il Matteo Felpato
cambiasse la politica del suo partito passando dalla xenofobia verso il terrone
a quella verso l’immigrato clandestino, nuovo nemico del vero popolo padano.
Semplice scelta politica. Convenienza. La discriminazione verso il Mezzogiorno
però, a mio parere, è rimasta immutata perché sono rimaste immutate le differenze strutturali
e culturali tra Nord e Sud.
Proprio su queste differenze si basa “Così Parlò
Bellavista”, pellicola del 1984 scritta e diretta da Luciano De Crescenzo;
Nastro d’Argento e David di Donatello al miglior regista esordiente l’anno
successivo. Il film, ambientato a Napoli, descrive lo scombussolamento che
l’arrivo del milanese Cazzaniga porta nella vita di Gennaro Bellavista e dei
suoi squattrinati amici. Bellavista è un professore di filosofia in pensione
che, non riuscendo a rinunciare alla passione per l’insegnamento, organizza
giornaliere lezioni gratuite nel soggiorno di casa sua per gli amici di cui
sopra: il portiere, il sostituto portiere, lo spazzino e il poeta; quattro
personaggi secondari che nel loro piccolo rappresentano alcune sfaccettature della
capitale del Sud.
La trama segue contemporaneamente anche le disavventure
di Patrizia, figlia del professore, e del suo compagno Giorgio, disoccupati in
dolce attesa. Se da un lato Bellavista filosofeggia sulla vita, la
religione e le differenze tra Nord e Sud, dall’altro la storia della coppia di
sposini in crisi economica approfondisce le problematiche di Napoli in maniera
ironica, convincente e intelligente. Disoccupazione, Camorra, teatralità,
superstizione, lotto. Tutte queste sono riassunte in poche ma significative
scene, talvolta apparentemente slegate le une dalle altre, come quella del
cavalluccio rosso, esilarante, veritiera e poetica.
Questa doppia narrazione restituisce un ritratto di
Napoli a due facce, Harvey Dent. Città da una parte storica, poetica,
evocativa, filosofica, culturalmente superiore e dall’altra problematica,
degradata, poco curata, abbandonata a se stessa. Un ritratto completo e
tristemente veritiero che molti prodotti più alti e pretenziosi non
eguaglieranno mai in efficacia e veridicità.
Il vero fulcro del film è però rappresentato dai discorsi
ispirati del professor Bellavista. Dubbi e certezze, Stoici ed Epicurei.
Fondamentale per lo sviluppo della trama quello sugli “Uomini d’amore e uomini
di libertà”, interessante e sempre attuale la pacata invettiva contro la vita
mafiosa. Tutte perle da gustare e assimilare. “… in questo mondo in cui regna
il caos Napoli è ancora l’ultima speranza dell’umanità”.
Dalle parole del protagonista però emergono anche dei
preconcetti legati alle persone del Nord; preconcetti non discriminatori e
razzisti, ma superiori, legati al modo di intendere vita, impiego e relazioni
interpersonali. Questa situazione muta nel finale quando, dopo un intero film
passato ad inseguirsi senza mai incontrarsi, Bellavista e il dottor Cazzaniga
si ritrovano bloccati in ascensore per diverse ore. Qui hanno l’occasione di
confrontarsi e mettere sul piatto della conversazione i pregiudizi positivi e
negativi che avevano l’uno verso l’altro per poi scoprire che niente è come
sembra. Cade il Nord. Cadono le etichette. Cade il sud. Cadono i pregiudizi.
Un film a metà tra critica di costume e intrattenimento;
comicità e poesia. Filosofia. Prodotto che nasconde lo spirito malinconico, lo
splendore e le contraddizioni, la vera sofferenza straziante di una popolazione
dietro un velo di semplicità e immediatezza. Altro che “Benvenuti su e giù”.
“Dove è meglio che nasca un bambino?”, a Nord o a Sud? A voi il lauto gusto di
scoprirlo. Siamo uomini d’amore o di libertà? Terroni o Polentoni? No, siamo Uguali.
Posate le armi, posate la lingua. Siamo umani. “Si è sempre meridionali di
qualcuno”.