mercoledì 16 settembre 2015

SERIE DI CUI NON PARLERÒ

Detto sinceramente: sono in crisi. Ci eravamo lasciati lo scorso agosto con la promessa di riprendere i commenti alle serie tv il prima possibile per aumentare il numero di articoli settimanali ed evitare che voi sentiate la mia mancanza per troppi giorni consecutivi. Con questi presupposti ho cominciato a guardarmi intorno alla ricerca di nuove serie stimolanti, interessanti e adatte a subire un commento sistematicamente serializzato, ma nulla. Tutto ciò che di nuovo ho provato, tastato con mano, si è rivelato essere poco adatto ai miei piani di conquista del mondo. Per maturare questa profonda decisione ho però dovuto ragionare più o meno a fondo sui pilot visionati; perché quindi buttare via il tempo impiegato a riflettere? Perché non parlare delle serie di cui non parlerò? Tutto questo non ha senso.


The Whispers
Serie prodotta dall’uomo dietro le quinte di Hollywood, Steven Spielberg, e trasmessa in Italia dalla Fox con un ritardo fisiologico perdonabile di qualche settimana. La prima puntata si apre con una bambina che, seguendo le indicazioni di un fantomatico amico immaginario, convince la mamma a salire sulla casa sull’albero favorendo così l’incidente in cui la donna rimane coinvolta. Tanto per la cronaca, la madre della bambina è Taylor Townsend di “The O.C.”, così, per dire.
L’attenzione si sposta quindi sugli agenti dell’FBI incaricati di fare luce sullo spinoso caso dell’amico immaginario che tenta di commettere malefatte attraverso gli innocenti bimbi del quartiere. Bimbi, al plurale, perché si viene a sapere poco dopo che un altro incidente domestico che vede coinvolto un bambino potrebbe corrispondere al primo per caratteristiche peculiari.
Da questo punto in poi la narrazione è abbastanza confusa: vengono introdotti diversi personaggi di cui non viene specificato il ruolo e le indagini sembrano procedere a tentoni piuttosto che secondo un ragionevole filo logico. Fin da subito la serie sembra essere abbastanza forzata nelle meccaniche, nella costruzione e nei colpi di scena, e ciò si ripercuote sulla capacità del prodotto di coinvolgere ed invogliare lo spettatore alla visione del prosieguo. I motivi che più mi hanno allontanato dal commento di questa serie sono diversi: l’eccessiva somiglianza con diversi episodi del capostipite delle serie mystery X-Files, la confusione generale e il finale in cui ci viene mostrato un tuono che cadendo a terra ha generato una struttura luminescente nella quale è rimasto incastrato l'aereo sul quale viaggiava un personaggio chiave. Mi è passato davanti agli occhi lo spettro di Wayward Pines, e nessuno vuole un WP-bis, vero? Serie che tutto sommato sembra studiata bene nel posizionamento dei colpi di scena strategici, ma che non si discosta abbastanza dai soliti canoni, da ciò che abbiamo già visto. Stavolta hanno introdotto la componente bimbi, ma la sostanza rimane la stessa. Magari un giorno la recupererò, ma non oggi.


Texas Rising
Miniserie coprodotta da History Channel. Già questo dovrebbe suggerirvi la qualità, il tema, il modo e gli intenti della serie. Le avventure narrate si svolgono in Texas, più precisamente nei pressi di Alamo, nel 1836, anno in cui gli indipendentisti texani decisero di seguire le orme degli statunitensi che anni prima si erano ribellati ai governi europei per costituire lo stato dell’aquila calva. Vengono quindi presentate varie fazioni in continua lotta armata tra loro: i Messicani guidati da Santa Rosa che tentano di mantenere il controllo sulle terre contese, i nativi Americani minacciati da ogni fronte e armati solo di asce e frecce e gli indipendentisti di cui sopra.
Il primo elemento che salta all’occhio è indubbiamente la cifra stilistica del prodotto. La fotografia in particolar modo dimostra la mano attenta dei produttori di casa History che hanno voluto riprodurre la polvere, la sporcizia e le atmosfere aride del texas negli anni precedenti alla famosa età d’oro. Sembra quasi che venga interposta una densa coltre di polvere giallastra tra gli interpreti e la macchina da presa in ogni scena. Anche la regia si conferma all’altezza della produzione riuscendo a cogliere sempre al meglio le emozioni degli attori. Tra questi inoltre spiccano Ray Liotta, Brendan Fraser e Bill Paxton. Tutto di alto livello, direte voi. Nessun motivo per non scegliarla come serie da commentare, direte voi. E invece no. L’enorme problema di Texas Rising è che non si capisce nulla. Non si capisce chi è chi, chi sta con chi, di chi stanno parlando, chi vuole cosa e dove si svolgono gli eventi. Io, personalissimamente, non ho capito nulla di tutta la prima puntata. Chi è Ray Liotta? Cosa fa? Alamo è stata bruciata? Perché gli Indiani attaccano i gruppi indipendentisti che evidentemente non sono i reali responsabili delle loro misere condizioni di vita? Chi è quel tizio con la barba e la compagna afroamericana? Mi sento alquanto stupido. Non sempre la veridicità storica si sposa alla perfezione con la narrazione romanzata. Come commentare una serie di cui non si capiscono i capisaldi della trama? Provateci voi.


The Brink
Senza dubbio la migliore tra le tre finora analizzate. Secondo me, l’unico modo di fare comicità intelligente su temi scottanti d’attuali quali droni, ISIS, terrorismo e conflitti internazionali. The Brink, letteralmente il confine, il margine o il limite estremo, narra delle fantasiose disavventure di un gruppo di personaggi molto sopra le righe alle prese con una crisi geopolitica successiva alle tensioni tra USA e Pakistan. Ciò che salta subito all’occhio è il tono scanzonato e dissacrante che contraddistingue sia i singoli personaggi che le situazioni critiche in cui questi si trovano.
Tra gli interpreti principali spicca sicuramente un brizzolato Tim Robbins, eroe per caso della redenzione di Shawshank, in forma strepitosa e perfetto per il segretario di stato per gli affari esteri Larson. Cinico, amorale, alcolizzato, democratico, pacifista, esilarante e molto intelligente a dispetto dei precedenti aggettivi. Davvero un personaggio tridimensionale. Al suo fianco emerge anche un fastidioso Jack Black (o Black Jack, se vi piacciono i giochi di carte) nei panni dell’agente Talbot, sottoposto di poco conto nell’ambasciata americana. Tale agente si ritroverà invischiato in qualcosa di molto più grande di lui e dovrà cercare di sopravvivere ad un sequestro ordito dal sedicente presidente eletto del Pakistan. Oltre a loro la storia coinvolgerà anche un pilota divorziato dipendente da morfina e un autista locale agli ordini della CIA.
Una serie esilarante, fresca, nuova, ben scritta, ben girata e meravigliosamente recitata. Tutto perfetto, una miniserie che rimarrà come metro di paragone nel settore specifico per diverso tempo. Cosa non ha funzionato allora? Il format, la struttura e le tempistiche. La comedy è difficile da commentare e creare una serialità su un prodotto che non fonda sulla trama e sulla suspance il proprio successo sarebbe un’utopia. Da non perdere, ma non adatta alle mie rubriche. Recuperatela, subito.


Detto questo la situazione di partenza rimane immutata. Continuo a non avere una serie da commentare in questi giorni dell’estate che volge al termine. Sono ben accetti i consigli dunque. Conoscete una miniserie o la prima stagione di una serie che verrà messa in onda a breve e che potrebbe rientrare nei taciti canoni che avrete sicuramente individuato leggente questo articolo? Ditelo con un commento, confido in voi. Ogni suggerimento è ben accetto. Speriamo che questo momento di pausa seriale non si prolunghi più del dovuto. A presto, si spera.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ciao e grazie per l'articolo! Posso segnalarvi questo concorso di SES Astra per foto/video con in palio dei buoni amazon da 75€? Qui tutti i dettagli: http://www.parabolaconvista.it/