Queste sono le conseguenze di avere Sky on Demand: guardi
un nuovo episodio, ti aggrada, lo commenti sul tuo blog e solo dopo scopri che in realtà
ogni settimana ne vengono messi in onda due e quindi sei costretto a recuperare
il terreno perduto con un articolo triplo. L’impresa è ardua. Sostenetemi.
Ricordate il domandone con cui avevo chiuso questo articolo? Mi domandavo come potesse reggere per tredici episodi una serie crime
in cui il malfattore, mascalzone, ricercato principale, con la cui faccia hanno
tappezzato ogni prodotto caseare, è ben noto ai detective che si occupano del
caso fin dalla prima scena. Beh, ho ottenuto una risposta più che
soddisfacente: il caso principale andrà ad intrecciarsi sistematicamente con
altri casi minori e decisamente meno importanti che reggeranno il tempo di una
puntata per poi essere risolti abilmente dal poco professionale ma funzionale Fox Mulder (che è
sulla via del ritorno, non dimenticatelo). Questa decisione degli sceneggiatori
pesa però terribilmente sulla natura dell’intera serie che quindi si conferma
esattamente come un crossover, un ibrido tra CSI e True Detective ambientato
nel 1967, poco prima che la rivoluzione hippie sconvolga il mondo. La scelta di
diluire la trama principale potrebbe però, a lungo andare, ritorcersi contro gli
stessi sceneggiatori che saranno costretti ad inventare sempre nuove soluzioni
a nuovi casi per riuscire a non cadere nella banalità e nella ripetitività. Non
commettere l’errore del Detective Conan insomma. Per ora la scelta sta pagando
e la duplice struttura regge bene, seppur mostrando lievi scricchiolii nella
parte iniziale delle puntate, quando i detective decidono deliberatamente di
accantonare momentaneamente il caso principale per dedicarsi ad altro,
nonostante la presenza di numerosi colleghi nel distretto.
Altro elemento emerso da
questo trittico di episodi è la caratterizzazione dei personaggi
principali: David si mostra brutalmente superiore in ogni situazione lavorativo
e ciò mina leggermente la credibilità del personaggio in una serie semifedele
alla realtà dei fatti, ma nel privato toglie la maschera e lascia uscire la sua
parte umana di uomo frustrato del divorzio e corrotto dall’alcool in passato. Un
quadro generale tutto sommato non originale, nel senso stretto della parola, ma
in ogni caso interessante da approfondire. Il coprotagonista invece risulta
meno caratterizzato e a tratti piatto, se non fosse per la sua personale
sottotrama legata al fatto di avere una bambina con una donna nera negli anni ’60
(comportamento visto non proprio benissimo dalla società civile). L’agente infiltrata
nelle fila di Manson invece continua a rimanere un’enorme incognita. Sulla carta
avrebbe le potenzialità per spiccare sugli altri ma finora è stata relegata ad
un ruolo decisamente secondario. Indubbiamente però molto dedita al mestiere. Non
capisco poi se gli autori hanno voluto lasciar intendere che ci sia del tenero
tra lei e l’agente Shafe, tecnicamente sentimentalmente impegnato, o sono io
che guardo le serie tv con i cuoricini al posto degli occhi, manco fosse la
Stagione dell’Amore.
Lo sviluppo della trama principale legata a Charles
Manson invece mi è parso abbastanza lineare e scorrevole, anche se la logica
del criminale musicista sembra spesso essere confusa e contorta. Prima convince
giovani ragazze a seguirlo, poi abusa di loro, poi le usa come merce di scambio
o le convince a commettere piccoli furti per mantenersi e mantenerlo, ma ad un
certo punto si scopre che il suo vero scopo è (o dovrebbe essere) quello di
incidere un demo per sfondare nel mondo della musica folk. In quest’ottica non si
comprende appieno il rapporto con il padre della ragazza rapita e il passato
del malvivente. Ogni sua azione sembra inconcludente e fine a sé stessa; come
se fossero tanti eventi messi in fila, e quindi facilmente comprensibili
singolarmente, ma isolati tra loro. Un personaggio interessante e accattivante
ma ancora difficilmente inquadrabile nello scacchiere della serie.
Un personaggio il cui sviluppo non mi è affatto piaciuto
è invece quello di Emma: in sole quattro puntate è passata dall’innocenza di una
dolce diciassettenne all’impudicizia più sfrenata. Ladra per il guru,
prostituta per passione (!) e chi più ne ha più ne metta. Poco credibile il
voltagabbana della ragazza nei confronti di una madre sì apprensiva e pedante,
ma non tirannica. Qualche dubbio in più potrei nutrirlo per la controversa
figura del padre, ma in ogni caso la scrittura del personaggio rimane poco
convincente.
Una serie insomma che ha sfruttato finora solo alcune
delle potenziali che ha dimostrato di avere. Indubbiamente non un prodotto di
primissimo livello, nonostante un comporto tecnico invidiabile e degno di
plausi. Il problema fondamentale è una scrittura ancora ancorata a modelli
ormai superati dalle innovazioni introdotte dalla sopracitata Investigatori
Veri e da Fargo (avete visto la seconda puntata? Presto il commento). Fosse uscita
dieci anni fa sarebbe diventata in breve tempo un piccolo capolavoro, ma il
tempo fa il suo corso e i modelli di riferimento cambiano. Tutto ciò per
invogliarvi a scoprire con me se gli sceneggiatori saranno in grado di fare il
definitivo salto di qualità sfruttando in particolar modo quel veterano di
David Duchovny.
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