FILM: Soap Opera (2014)
Spinto dalla curiosità dopo aver saputo della partecipazione di Genovesi a “Happy Family”, pellicola che apprezzai molto all'epoca dell'uscita, e spronato dalla marea di critiche negative mosse a questo film, mi sono deciso a recuperarlo. Soap Opera sembra un opera teatrale riproposta su grande schermo. Un gruppo di personaggi che vivono nello stesso condominio si trova a fare i conti con il suicidio di un inquilino di cui tutti sapevano molto poco. Questo l’incipit di una serie di rapporti particolari, sui generis e complessi da riassumere in una receimpressione flash.
La prima cosa che salta all’occhio è indubbiamente la cifra stilistica dell’opera che, pur essendo ambientata ai giorni nostri cerca di imitare le atmosfere passate, gli anni ’50 e ’60, attraverso piccoli dettagli quali le auto d’epoca usate o il vestiario di alcuni personaggi secondari. La neve che segna costantemente il grigio cielo di una Milano velata. Anche la fotografia e l’uso della luce ricalcano a grandi linee i gusti del passato. Se dovessi basarmi solo sul comparto tecnico, movimenti di macchina, sonoro e colonna sonora compresi, il film in oggetto sarebbe un piccolo cult, un prodotto per pochi e pieno di sorprese, ma non è così. Soap Opera è un prodotto complesso e assai controverso che varia troppo spesso registro e linguaggio visivo per riuscire a raggiungere lo spettatore. La comicità passa dal cinismo della Francini e di Ale e Franz al buonismo di Francesca, dalla pesantezza di Francesco alla banalità del personaggio di Abatantuono. Un complesso intricato e senza forma definita. Anche la storia non riesce a trovare una strada univoca tastando vari terreni e alternando momenti di piece teatrale a banalità e forzature. Il finale inoltre rimane per me una confusionaria incognita. A tratti sembra voler essere un prodotto maturo, impegnato e riflessivo, ma poi scene prive di un vero nesso logico con il resto del film stroncano il phatos e abbassano la resa dell’opera. Tanti buoni aspetti che singolarmente non riescono a prevalere sulla parte intollerante. Un peccato vedere determinati spunti andati sprecati così. VOTO: 5.5
FILM: My Name is Tanino (2003)
Virzì è un regista che apprezzo molto per stile, intenti
e temi trattati. Non sempre riesce a muovere fino in fondo una critica
strutturata attraverso i suoi film, ma si avverte sempre che il materiale umano
dietro la settima arte non manca mai. Le esperienze di una vita tradotte su
pellicola. Questa volta il protagonista di una serie di avventure rocambolesche
ma mai irreali è Tanino, giovane laureando siciliano alla ricerca di se stesso
in America. Il road movie di formazione è ben scritto e ben strutturato,
costruito principalmente sul protagonista il cui atteggiamento nei confronti
del mondo viene mutato dall’incontro di alcuni personaggi dalla moralità assai
dubbia. Anche in questo caso la qualità tecnica non è eccelsa e probabilmente ciò
è voluto, o meglio, le imperfezioni sono volute per lasciare al film un’aria
indipendente in ricordo dei primi lavori del regista livornese, un’aria che
perfettamente si sposa con i temi trattati dal film.
Un prodotto che mostra l’innocenza, la speranza e la bellezza
di una gioventù difficile da mantenere rispetto ad un mondo che ci vuole grigi
e rinunciatari.
Indeciso e a tratti indecifrabile il finale che vorrebbe
aggiungere una componente giallo-thriller al film, ma confonde e stona rispetto
a resto della pellicola. Non un capolavoro, ma un Virzì minore decisamente da
recuperare. VOTO: 7.5
FILM: La Verità è Che Non Gli Piaci Abbastanza (2009)
Solita commedia americana in cui alcuni trentenni in
piena crisi amorosa incrociano le loro vite per generare situazioni divertenti,
appassionanti (poco) e nel finale anche commoventi (meno di appassionanti). In
realtà, volendo essere sinceri, il film riesce nel suo intento di intrattenere
un pubblico distratto, e di ciò bisogna dargli atto. I temi trattati però sono
al limite del ridicolo, ma un cast di attori in rampa di lancio, liete sorprese
e solite conferme riesce a sopperire a mancanze in fase di scrittura, idee
riciclate e una struttura di fondo ripetitiva e poco accattivante per chi
frequenta l’ambiente cinematografico da almeno un paio di giorni. Un film
insomma che se preso per il verso giusto e senza grandi aspettative potrebbe
regalare un paio d’ore di rilassatezza e sorrisi sinceri. VOTO: 5.5
FILM: Ricordati di Me (2003)
Ogni tanto noi Italiani esportiamo prodotti culinari di
classe, altre volte criminalità organizzata. Altre ancora registi non molto
simpatici e probabilmente non all’altezza del pubblico statunitense. Ma
facciamo un passo indietro.
Gabriele muccino, dopo l’inaspettato successo de
“L’Ultimo Bacio”, scrive e dirige “Ricordati di Me”, spaccato della crisi di
una famiglia media in cui il padre, il sempreverde Bentivoglio, si sente
oppresso dalle scelte del passato e da una vita che non gli appartiene. Le
premesse potrebbero essere interessanti, quello che ne viene fuori è però in
realtà un prodotto standard, piatto e privo del mordente che prometteva di
mostrare.
Altro grande problema di Muccino è la gestione delle
reazioni umane. Egli infatti, fin dagli esordi, ha dimostrato di concepire i
toni delle conversazioni tra comuni mortali almeno due o tre ottave sopra. I
sussurri diventano toni medi, i toni medi grida, le grida strazi irreali e
fastidiosi. Per farvi capire meglio consiglio questo esilarante video dei TheJackal.
Film banale salvato da qualche interpretazione (non da
quella della Bellucci) e dalla qualità tecnica medio-alta. VOTO: 5
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