FILM:
Voglia di Vincere (1985)
La
traduzione italiana del brillante titolo originale è quantomeno delittuosa;
Teen Wolf (da cui poi è stata presa l’idea per l’omonima serie tv) riassume
alla perfezione quello che è lo spirito del film e la linea principale legata
all’improvvisa metamorfosi di Marty McFly in un lupo. Marty perché,
tralasciando qualche particolare, il personaggio del film in analisi oggi
potrebbe tranquillamente essere sovrapposto a quello di Ritorno al Futuro:
giovani liceali bersagliati dai bulli e poco usi a sottostare alle norme
scolastiche che otterranno, prima della fine della rispettive disavventure, una
rivincita personali nei confronti dell’oppressivo ambiente rurale in cui sono
cresciuti. Entrambi i personaggi inoltre si chiamano Marty, ma ciò fu un’opera
di marketing tutta nostrana per sfruttare il successo al botteghino del film di
Zemeckis. Teen Wolf è infatti antecedente a Back to the Future per anno di
produzione. In Voglia di Vincere viene inoltre introdotto la componente
sportiva attraverso il basketball, da ciò la traduzione italiana del titolo.
Nonostante
effetti speciali scadenti e un budget tutto sommato ridotto, il film riesce a
divertire e a ricreare le atmosfere giovanili degli anni ’80, o almeno credo;
essendo nato dieci anni dopo l’uscita del film non posso confermare alcune
scelte stilistiche ma rimane comunque tutto convincente, tranne le
trasformazioni in lupo del protagonista e del padre, ma quelle sarebbero
imbarazzanti a prescindere dall’epoca in cui il film è ambientato.
Una
sorta di ampliamento dell’universo mondo del Marty che tutti conoscono. Un
opera non eccellente ma legata ad un filone giovanile che troppo mi manca di
questi tempi. VOTO: 7
FILM:
Maps to the Stars (2014)
Cronenberg
è sempre Cronenberg e solo questo dovrebbe giustificare la visione di ogni sua
opera, ma anche The King finì la sua carriera sovrappeso, malato e solo. Non
tutto quello che un ottimo autore
produce è oro colato, questo Maps to the Stars ad esempio è, a mio parere, un
prodotto controverso e lontano dall’essere un capolavoro all’altezza del
miglior Cronenberg.
La
pellicola narra la vicende di un gruppo di individui collegati al mondo del
cinema hollywoodiano e in qualche modo legati tra loro. La situazione di quiete
iniziale viene sconvolta dall’arrivo in città di una giovane Mia Wasikowska, appena uscita da una clinica psichiatrica e dalle dubbie intenzioni. Da quel
punto in poi la trama vira verso il dramma proponendo sempre la soluzione più
tragica in caso di bivio nello sviluppo della narrazione. Un modello che sì
colpisce, ma non riesce ad empatizzare appieno con lo spettatore. Oltre a ciò
si aggiunge una componente metafisica che inciderà in maniera considerevole
nella storia del ragazzo prodigio ma che striderà non poco nel contesto
generale. Buona invece la caratterizzazione dei personaggi, in particolar modo
quello interpretato da Julianne Moore, discreta anche la critica all’ambiente
cinematografica tanto alto quanto finto e ipocrita.
Il
vero problema di questo prodotto è la confusione generale: non si riesce a
cogliere lo spirito del regista che sembra frastagliato e titubante riguardo
determinati aspetti, non si capisce mai fino in fondo dove voglia andare a
parare e il risultato è un miscuglio di generi interessante ma dalla forma
indefinibile. Non indimenticabile, ma da rivedere per cogliere altri messaggi
celati. VOTO: 6.5
FILM: Andiamo a Quel Paese (2014)
Devo
essere sincero: nonostante come comici non mi facciano impazzire, mi ero
divertito a guardare “Il 7 e l’8”, loro primo film, e avevo trovato
intelligente il modo in cui veniva trattato il tema mafioso ne “La Matassa”. Il
terzo invece mi aveva abbastanza deluso, ma qui Ficarra e Picone sono davvero
scaduti nel banale nel tentativo di rigirare la crisi economica attuale
cercando di farne motivo di riso. Ficarra perde il lavoro e decide di tornare
nel paese d’origine della moglie per vivere con la pensione di una zia. Capendo
di poter applicare questo stratagemma anche con altri anziani pensionati, crea
una sorto di ospizio nel palazzo in cui vive. Questa la prima parte del film,
un po’ prevedibile e un po’ lenta. Ma il peggio arriva dopo. Gli anziani
muoiono a causa del cioccolato e rimane solo la prima zia da cui era partito il
“sistemone”; a questo punto quindi Ficarra impone a Picone (trantacinquenne
nella finzione) di sposare la suddetta zia (settantenne). Da qui in poi
disavventure mai comiche al limite del grottesco, recitazione scadente,
messaggi assai superficiali e negativi e noia infinita. Il loro peggior lavoro
che mostra il peggio nella scena finale del matrimonio con la platea-pubblico
che ripete ciò che dicono i protagonisti. Comicità da scuola materna. VOTO: 4.5
ALBUM:
Songs of Innocence (2014)
Gli
U2 tornano a stupire dopo qualche comprensibile passaggio a vuoto. Songs of
Inncocence è dolce, morbido, leggero e profondo. Le prime quattro tracce
rappresentano una vetta di perfezione che ha regalato loro il Grammy per il
miglior album rock. Every Breaking Wave, specialmente se ascoltata nella
versione acustica (che purtroppo non è presente nella versione standard
dell’album) colpisce al cuore di chi l’ascolta, The Miracle (of Joey Ramone)
invece trascina e rimane impresso come singolo. La vera punta di diamante è
però Songs for Someone, lenta, bilanciata e meravigliosa. Il resto dell’album
cala leggermente dal punto di vista della qualità e dell’innovazione sonora del
quartetto irlandese, ma si conferma comunque su buoni livelli, soprattutto con
un pezzo classico come Volcano o con la riflessiva Cedarwood Road.
Quando
una band storica non smette di stupire. VOTO: 9
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