Siamo dunque arrivati al fatidico confronto tra la prima
e pluripremiata stagione di True Detective andata in onda nel 2014 e la
seconda, più controversa e criticata, appena conclusasi. Le due stagioni
potrebbero sembrare molto diverse ad un primo e poco attento sguardo; in realtà
nascondono punti in comune a partire dallo stile, fino ad arrivare agli intenti
più profondi. Se non ci fossero questi piccoli dettagli a collegare i due prodotti
e se il creatore non fosse lo stesso Nick Pizzolatto, non mi sarebbe mai
balzata in mente l’idea di proporre un confronto netto e definito tra le due
stagioni. Per fare ciò ho pensato fosse più interessate e veritiero sviluppare
il confronto per punti, magari cinque, che possano analizzare ordinatamente i
vari aspetti delle serie TV che io ritengo fondamentali. Eviterò di fare
spoiler clamorosi e fastidiosi per chi non avesse ancore visto una o entrambe
le stagioni, ma un punto in particolare mi costringerà a parlare chiaramente
dei finali.
Prima di gettarci nel confronto vero e proprio però
verrei aprire una piccola parentesi sulle aspettative: la prima stagione fu
incredibile per impatto di critica e pubblica in quanto nuova, inedita e
inattesa. Le aspettative erano sì modeste ma nulla più. In pochi la videro al
lancio, ma molti, me compreso, lo ammetto, la recuperarono mesi dopo su
consigli di amici, siti e quant’altro. Ciò ha ovviamente creato delle notevoli
aspettative nei confronti della seconda, che quindi è stata accolta in maniera
totalmente diversa rispetto alla prima. In questo caso il pubblico ha preteso
naturalmente netti miglioramenti sotto tutti i punti di vista, ma, come spesso
accade, un seguito pecca in alcuni frangenti, ma mostra delle migliorie in
altri. La critica e il pubblico, a mio parere, sono stati ampiamente
condizionati da fattori esterni e regressi sulla valutazione complessiva della
seconda serie. Il mio intento, in questo speciale confronto diretto, sarà
quello di non cedere a facili qualunquismi di sorta e di analizzare i due
prodotti evitando di tirare in ballo le aspettative. Parentesi chiusa.
Cominciamo…
I) Sigla
Gli show televisivi, di consueto, cominciano tutti con
una sigla; perché non cominciare anche noi il confronto in questo modo? Quella della
prima stagione era più adatta alle atmosfere che si apprestava ad introdurre,
le immagini erano più scure, gotiche e allungate, in linea con il finale
metafisico che avrebbe concluso la miniserie. La sigla della seconda è invece
più iconica, d’ampio respiro. Le immagini che scorrono più suggestive e
profonde nei loro contrasti di colore. Forse però la seconda pecca nella
lunghezza e nell’imperfetto incastro tra colorazione di fondo ed atmosfere. Chi
vince allora? Ai punti opterei per un pareggio, ma la voce di Leonard Cohen è
semplicemente meravigliosa e non può uscirne senza il punto. VINCE 2. 0-1
II) Personaggi
Cominciamo a fare sul serio. Ecco uno dei tasselli
fondamentali per la buona riuscita di un prodotto di altissimo livello. In questo
punto mi prospetto di analizzare sia la costruzione e la caratterizzazione dei
personaggi che le interpretazioni fornite dagli attori.
Da una parte Rust, Marty e Maggie, l’avvenente moglie di
quest’ultimo, dall’altra invece il parco di protagonisti è più ampio: Ray. Ani,
Paul, Frank e la moglie, più svariati personaggi secondari, discretamente
caratterizzati, che risulteranno a tratti fondamentali per il prosieguo della narrazione.
La discrepanza numerica fa sì che ovviamente nella prima
stagione l’attenzione si concentri maggiormente sulle vite private dei due
detective e quindi indirettamente anche sulla loro indagine. A dispetto delle aspettative però i caratteri dei due sono più velati, nascosti e centellinati
nel corso dell’intera stagione rispetto a ciò che avviene con i protagonisti
della seconda. Nella serie ambientata a Vinci infatti i personaggi vengono
rappresentati in maniera troppo appesantita e a tratti caricaturale. Essi partono
come un libro aperto nel quale è possibile leggere fin da subito del buio
tormento che attanaglia le loro anime, e solo progredendo nella narrazione
acquistano connotati interessanti e umani che li rendono fortunatamente
tridimensionali e non più macchiette.
Passiamo poi all’analisi dei singoli: sostanzialmente Ray
e Rust. Ray si dimostra alla lunga più concreto del metafisico protagonista
della prima stagione, egli infatti non si perde in volatili discorsi sul senso
della vita e non disdegna l’uso della violenza per la soluzione di questioni
personali. Rust invece è più complesso e complessato. Più intelligente. Pensa
e scrive piuttosto di parlare e quelle poche volte che apre la bocca sembra di
leggere un trattato ottocentesco scritto in linguaggio volutamente aulico. Nessuno
dei due potrebbe mai esistere nella realtà, ma Ray Velcoro sembra essere
quantomeno più plausibile del suo predecessore. Il finale della prima stagione
però potrebbe in un certo senso giustificare cinematograficamente l’intero
personaggio di Rust. A mio parere un confronto tra questi due fantastici
protagonisti dipende unicamente dai gusti personali, ma, visto che devo obbligatoriamente
dare un parere definito ai fini del confronto, tiro in ballo la sopracitata
recitazione; e qui non c’è storia, non c’è autostrada che tenga: Matthew
McConaughey stravince su Colin Farrell con L’Interpretazione del 2014. Qualcosa
che va oltre. Scusa Ray, ma non ce n’è per nessuno. VINCE 1. 1-1
Dopo aver rimesso in pari la situazione, prendo una pausa
molto breve per riflettere, curare maggiormente gli ultimi e decisivi punti del
confronto ed evitare l’appesantimento di questa prima parte. L’appuntamento è
quindi fissato per domani alla stessa ora, quando spero che i miei dubbi siano
ormai sciolti. Intanto vi invito a dire la vostra sui primi due aspetti
esaminati e sul confronto generale tra le due stagioni. Spero che non siate
d’accordo con me. Senza disaccordo non c’è dialogo.
Clicca qui per la seconda ed ultima parte.
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