giovedì 27 settembre 2018

IL MONDO DI TOTTI AL REAL


Mi sono svegliato ed era un mondo diverso
Totti era andato al Real Madrid nel duemiladue, subito dopo la vittoria dello scudetto giallorosso
Aveva vinto in ordine sparso
Due Champion’s League
Quattro campionati spagnoli
Cinque coppe nazionali e sei supercoppe
Il mondiale del duemilasei da protagonista
(non si era mai rotto il perone in un contrasto con Vanigli)
E nello stesso anno aveva anche ricevuto il pallone d’oro, posizionandosi davanti a Cannavaro e Buffon
(non aveva deciso solo il quarto di finale con l’Australia)
E ora girava il mondo come uomo immagine del Real
Giacca e cravatta
E logo blanco sul taschino
E Ilary a Roma.


Era un mondo diverso
Nessuno più discuteva sul valore di Totti
Non era più l’ottavo re di Roma, ma uno dei primi cinque sei della storia del calcio.
Nessuno lo prendeva più come esempio di chi avrebbe potuto, ma non ha fatto
Di chi è stato grande, ma nel suo piccolo stagno.
Era una stella indiscussa e poteva proferire parola su qualsiasi argomento, dall’asso di briscola giocato troppo presto all’operato di The Donald Trump.

Era un mondo diverso
Anche Zeman alla fine aveva vinto uno scudetto
Con la Fiorentina, nel duemilanove.
Le immagini raccontano di un imbarazzo evidente al momento del triplice fischio
Di chi non sa come reagire alla vittoria.
Era stato osannato dal pubblico viola e da una stampa sempre critica
Aveva messo tutti d'accordo
E poi era tornato in Boemia da vincitore
Si era seduto sul portico della casa in campagna a fumare sessanta settanta sigarette in media
Ed era rimasto lì sornione.

Era un mondo diverso
L’Italia aveva affrontato con metodo la crisi del duemilaotto e poi quella del duemilaundici
Tagliando i rami secchi
Curando i germogli nuovi
Si era risollevata dopo un periodo difficile e ora dettava legge al parlamento europeo
E poteva dialogare alla pari con la Germania della Merkel e il Regno Unito di Cameron - che non aveva mai indetto il referendum.

Era un mondo diverso
I ragazzi conoscevano le ragazze nel momento esatto della loro storia
E stavano insieme il tempo necessario
Si lasciavano quando era finita e non si cercavano più
Tutto accadeva nell’istante preciso in cui doveva accadere
E non c’erano spargimenti di lacrime inutili
Solo discorsi sensati
Gli sguardi giusti, di chi non ha più nulla da aggiungere
E nessuna sofferenza.
Gli ospedali staccavano la spina solo dopo che i pazienti avevano sbrigato i loro ultimi affari, salutato tutti i parenti, amici, conoscenti, il calzolaio di fiducia.

Era un mondo senza poesia
Non c’era spazio, non c’era bisogno
I saggi avevano la meglio su tutto
L’indicativo la faceva da padrone.

Era un mondo diverso
Aveva vinto la storia,
Una, unica, univoca per tutti
E tutti condividevano le stesse radici, gli stessi orizzonti, gli stessi sogni.
E tutto era più realizzabile, anche se un po’ meno speciale.
Era un mondo in cui la campagna non contava più stelle della città.
I treni non erano mai stracolmi e si poteva trovare sempre un posto a sedere.
I bambini non potevano andare al cinema fino ai dodici anni, per evitare che disturbassero la visione agli adulti.
Gli adulti non potevano più entrare nei parchi giochi dopo i vent’anni, per evitare che disturbassero lo spasso ai bambini.
Le villette a schiera erano linde e tinte di un solo colore poco appariscente, gradevole agli occhi.

Mi sono svegliato ed era un mondo pragmatico,
Ordinato,
Equilibrato,
Moderato.
Dalla teoria alla prassi.
Ho trovato anche l’amore, nel mondo di Totti al Real,
Ma quello era amore senza errore
E senza la passione.

Ringrazio Zeman per non aver mai vinto lo scudetto.

lunedì 24 settembre 2018

GLI INCREDIBILI 2 - IL MONDO PRIMA IL MONDO DOPO


2004-2018
Bissare il capolavoro a quattordici anni di distanza potrebbe sembrare impossibile, soprattutto se là fuori il mondo è cambiato, e con esso la nostra percezione della realtà. Gli incredibili 2 si concentra su tre grandi temi per affrontare il cambiamento, e lo fa a partire dall’ultima scena del film precedente. Non cambiare nulla per cambiare tutto, circa.


Nel 2004 la Marvel e la DC si spendevano a rilanciare le loro testate fumettistiche per sbucare saltuariamente al cinema e fallire miseramente quasi tutti gli appuntamenti. Era l’epoca di poche eccezioni, dei grandi X-Men di Singer e dello Spiderman di Raimi. Non eravamo coinvolti in un loop seriale e riuscivamo a stupirci più facilmente. In generale la nostra percezione del (super)eroismo era differente e Gli Incredbili, il primo capitolo diretto dallo stesso Brad Bird, prendeva di mira un immaginario collettivo differente. Poi è stata l'abbondanza, poi il caos. E recuperare questo franchise a quasi quindici anni di distanza ha imposto alla Pixar anche una nuova ricerca per ritrovare il cuore della questione. Allora la storia dei vecchi supereroi che tornano per ottenere un riconoscimento nella società è anche la storia di una serializzazione che non esiste più, di uno spirito per le storie che hanno un compimento, per la spettacolarizzazione di una normale famiglia di supereroi, senza proclami. Con Elastic Girl che cerca subitamente di sviare le attenzioni dei riflettori. Gli Incredibili 2 è anche la rivincita di un immaginario supereroistico che ha ceduto il passo alle serie tv cinematografiche prive di guizzi particolari, prive di affezione umana. È lo scontro tra i protagonisti del primo film e una nuova generazione di eroi che - nel tentativo di emulare le gesta dei suoi predecessori - ha finito per perdere di vista il senso di un genere cinematografico e la meraviglia che esso portava con sé.


È esplicativo il discorso dell’Ipnotizzaschermi, quando Elastic Girl riesce finalmente a tracciarne il segnale:

Screenslaver interrupts this program for an important announcement. Don't bother watching the rest. Elastigirl doesn't save the day; she only postpones her defeat. And while she postpones her defeat, you eat chips and watch her invert problems that you are too lazy to deal with. Superheroes are part of a brainless desire to replace true experience with simulation. You don't talk, you watch talk shows. You don't play games, you watch game shows. Travel, relationships, risk; every meaningful experience must be packaged and delivered to you to watch at a distance so that you can remain ever-sheltered, ever-passive, ever-ravenous consumers who can't free themselves to rise from their couches to break a sweat, never anticipate new life. You want superheroes to protect you, and make yourselves ever more powerless in the process. Well, you tell yourselves you're being "looked after". That you're inches from being served and your rights are being upheld. So that the system can keep stealing from you, smiling at you all the while. Go ahead, send your supers to stop me. Grab your snacks, watch your screens, and see what happens. You are no longer in control. I am.

Il bersaglio del film siamo noi spettatori, che abbiamo preferito restare a guardare l’eroismo degli altri. Monologo da brividi che trascende il target dell'opera, o almeno quello che dovrebbe essere.



Lo stesso Ipnotizzaschermi non è una scelta casuale per il senso che gli autori hanno voluto dare al ritorno della famiglia Parr. In quattordici anni è cambiato il rapporto dell’uomo con la tecnologia: oggi siamo dipendenti dallo schermo, la velleità che ci alleggerisce dal peso. Ci perdiamo nella vacuità di tutto ciò che è retroilluminato. Sentiamo una necessità viscerale verso un mondo tecnologico che esiste solo finché non ci accorgiamo di tutto ciò che non può sopravvivere tra righe di codice binario.
La rivincita di Elastic Girl è anche contro un mondo tecnologico che ha visto rispetto alle premesse di quattordici anni fa e ha invaso la nostra vita al punto da monopolizzarla, al punto che, se un supercattivo puntasse sull’ipnosi di massa attraverso gli schermi della nostra vita, avrebbe vita facile e nel giro di poche ore piegherebbe l’intera umanità. Se essa non sia già piegata.



Torna preponderante il tema familiare, stavolta sviluppato soprattutto attorno alla figura di Bob - alias Mr Incredibile. Oltre le tragicomiche difficoltà di adattamento dell'ex capofamiglia ad una vita quotidiana, anche da questo punto di vista la ricostruzione rispetto alla situazione odierna è evidente: dopo aver raggiunto una certa considerazione da parte dei genitori nel primo film, i due figli sono chiamati ad un vero e proprio scontro con essi in modo da superare l’autorità e contemporaneamente salvare il nucleo familiare dalla deflagrazione. Tutte queste responsabilità ricadono sulle spalle esili di Violetta e Flash. Metaforicamente, la tematica familiare si rifà ad un momento storico in cui i figli sono chiamati al doppio compito di salvare i propri genitori e contemporaneamente costruirsi una vita autonoma, sia da un punto di vista economico che emotivo. Ora dipende dai figli. E l’esito è certamente positivo, speranzoso, in linea con i dettami Disney-Pixar. Uno sviluppo concettuale di certo meno approfondito e interessante rispetto a quanto fatto con Inside Out, ma comunque valido, soprattutto alla luce delle vicende del primo capitolo.



Gli Incredibili 2 non si limita, ma si rielabora e si reinventa per fare del tempo tiranno un’occasione invece che una debolezza. In tutto ciò mancano l’effetto sorpresa che aveva saputo produrre il primo film, qualche guizzo degno dello studio d’animazione e una narrazione originale in grado stupire lo spettatore osando oltre i normali standard del mercato. Ma lo sviluppo dei temi illustrati, unito ad un’animazione a tratti mozzafiato, rende Gli Incredibili 2 l’ennesima prova di maturità della Pixar. Un’opera ricca di dettagli, stratificata, ambiziosa, superiore. Uno sguardo al mondo prima, al mondo dopo.

venerdì 21 settembre 2018

LOVE - THEGIORNALISTI


Io e i Thegiornalisti.


Nel 2015 andai al MI AMI, all’idroscalo a Milano, e sul Rizla stage - il secondo per importanza - assistetti all’esibizione di Tommaso Paradiso che “performava” (che è la traduzione italiana di “performing”) Bollicine del Pio Vasco Rossi. Entrò in scena e disse: “Famola sta cafonata”. E non gli si poteva non volere bene.

Nel 2015 venivamo dal grande Fuoricampo, che aveva cambiato rotta e aveva portato i Thegiornalisti al successo “indie”. Fuoricampo era un album mio. Non erano più i ragazzi alternative rock, tristi e disillusi degli inizi, ma sembravano più a loro agio in una dimensione scanzonata. E andava bene così.

Nel 2015 stavamo andando verso Completamente Sold Out. Erano usciti come singoli Tra la strada e le stelle e Il tuo maglione mio, che non mi avevano fatto impazzire. Tommy suonò anche quelli in solitaria sul palco del Miami, e anche il live pareva fiacco, posticcio.

Nel 2016 uscì Completamente Sold Out,che consacrò il gruppo romano a faro del pop italiano. Mi dissociai. Da quel momento i poi il mio rapporto con i Thegiornalisti è stato a senso unico: più Tommaso Paradiso andava verso il suo personaggio televisivo, più sentivo meno mia la loro musica. Anche retroattivamente, anche Fuoricampo.



Mia madre e i Thegiornalisti.
Era il 2017, estate. Eravamo in auto durante un viaggio abbastanza lungo. Per radio passa Riccione - hit definitiva - e mia madre, seduta al posto del passeggero, alza il volume a quello che era stato indipendente anche dalla “loro” musica leggera per cantare dell’aquila reale e del mezzo panino di Berlino.

Era il 2018, giugno. Mia madre, cinquant’anni, prende e va ai Wind music award senza dire niente ai figli che magari volevano andarci anche loro. Prende l’acqua - perché le colpe vanno espiate - e quando torna, mezza assonnata mi fa: “Ma sai, ho visto pure i Thejournlist”. All’inglese, perché pure a lei pareva che Thegiornalisti - mezzomezzo - suonava male.



LOVE.
Così abbiamo eliminato ogni dubbio. Fuoricampo è il luogo figurato da cui cantavano e stare fuori era sinonimo di sincerità, naturalezza. Oggi Tommaso Paradiso è completamente al centro di questo vortice amoroso che chiamano successo.
Non c’è nulla da svelare: è stata fatta una scelta, suggerita dal cuore o dalla moda, questo non è importante. Non dobbiamo smascherare la culla di cultura pop da cui i Thegiornalisti attingono per acciuffare la loro ispirazione più profonda. Da Verdone a Vacanze di Natale, dalle serie americane al pop italiano anni ’80. Ma il pop italiano anni ’80, visto oggi, era un po’ triste. Musicalmente arretrato, stilisticamente imbarazzante. A volte Tommaso Paradiso non rende giustizia ai grandi del passato che tira in ballo in sbiascicate interviste. A volte sembra voler prendere il peggio di una decade variegata, valida e confusa. E a prendere il peggio, a volte, i pezzi dei Thegiornalisti sembrano delle divertentissime parodie.

Love bissa Completamente Sold Out. Molti effetti, molti synth, molti sussurri al cuore, molto amore. Poco o nulla di nuovo. Non ho mai atteso quest’album, non c’ho mai davvero creduto, ma paradossalmente i primi due singoli - una buona, classica canzone d’amore al piano come Questa nostra stupida canzone d’amore e la frivola ma estiva e divertente Felicità puttana - avevano alleviato la mia amarezza. Poi Overture, che apre l’album con una dose di pura autoironia. Poi Zero stare sereno, che pare  un pezzo scartato in extremis da Fuoricampo. Con la nostalgia, ancora quella giusta. Un brano con poche pretese da ascoltare volentieri in radio.


E invece tornano gli anni ’80, la decadenza e i testi improbabili. Con l’aggiunta di qualche effetto trap o dance. Ma almeno ci siamo risparmiati il reggaeton, almeno per ora.


In questo locale dove tutti s’innammòu
E le canzoni
E le canzoni cadono dagli occhi


Sto cercando su Google i nei sulla pelle


A qualcuno di voi piacerà questa musica e va bene così. Nessuno giudica gli ascoltatori, e alla fine non giudichiamo neanche la musica. Queste erano considerazioni su un momento, un paio di ascolti, sulle interviste al personaggio che ha divorato la persona e io potrei avere torto. Potrei essere io lontano da questo revival anni ’80. Potrei non essere in grado di apprezzare ciò che voi amerete, e va bene così.
Ma la canzone dedicata al Dr. House è imbarazzante.
Basta.

È un brutto mondo

Per chi la pensa come me, invece, spero che le cose cambino prima o poi, che ci sia spazio per qualcos'altro. Ma finché mia madre ascolterà i Thejournalist…

Sto
Sto pensando a te
Come non ho mai
Pensato a te
E sinceramente come non ho mai
Pensato ad altro

mercoledì 19 settembre 2018

VIITO - ITALIANI TRA INSTAGRAM E LEXOTAN

Questa è sublimazione dell’arte.

Dall’indie alle major al it-pop al mashup definitivo. Viito arriva per dare il colpo di grazia al gusto e rendere reale una nuvola di pensieri sparsi.

Dall’anno zero dell’indie, a volerlo ancora chiamare così - facciamo per capirci -, facciamo il 2015, anno di pubblicazione di Mainstream di Calcutta, il mercato del sottobosco discografico è andato consapevolmente in contro ad un imbuto che ha contribuito ad indirizzare il gusto verso un certo genere musicale, un certo personaggio, un certo sottotesto sociale. Viito è il primo - non l’ultimo - prodotto perfetto dell’imbuto indie.


Troppoforte è la summa definitiva di questi anni amari, giovani e meno giovani, di un paese che si è adattato. E forse la rabbia e la carica mezze rock dell’adattamento tutta questa rabbia e tutta questa carica non le possiedono davvero. Il primo lavoro di Viito e Giuseppe, direttamente from Capital City, è un po’ come Rimini, che è come il blues: dentro c’è tutto; ma di tutto di quello che già c’era, che già avevamo dentro.
Il sound anni ’80, con tutti i suoi synth, è ripreso pari pari dagli ultimi due album dei Thegiornalisti, quelli che hanno consacrato Tommaso Paradiso a personaggio nazionalpopolare. E di Tommy Paradise si ritrovano anche i bridge sbiascicati, che prima erano di Jovanotti e adesso appartengono all’indie.
I testi dei Viito corrono abilmente sul filo di lana che separa lo sfarzo della vita digitale su Instagram e la fine della storia giovanile, annegata in un cocktail di Redbull e lexotan. Il lexotan era proprio uno dei cavalli di battaglia dei Cani più pop-punk di Glamour. Il precariato invece arriva direttamente dagli Ex-Otago e dalle loro dispute tra giovani e matusa. In generale Troppoforte porta con sé - o almeno tenta di farlo - il fardello del disagio giovanile, delle mode scadenti, della vita priva di prospettive ed obiettivi, del mondo degli adulti che ha prosciugato le risorse e di una postadolescenza complicata. Ma arriveranno tempi migliori.
C’è l’industria porno, c’è la nazionale del duemilessei ma dentro casa, molto alcool, qualche serie su Netflix, le coste libiche, la droga giusta. E poi c’è Roma, culla dell’indie. Imprescindibile in ogni album che voglia passare in fretta dal baretto dell’amico di papà al Palalottomatica, o all’Arena, se vi gira particolarmente bene.


Il punto più alto del disco è però il campionamento dell’Inno di Mameli in chiave dance anni 2000 presente in Mondiali. Ed è subito Materazzi è caduto / perché ha preso una testata / la testata gliel’ha data / Zinedine Zinedine Zidane, e le suonerie per i primi cellulari con lo schermo a colori, i servizi in abbonamento, quando si stava peggio ma si stava meglio, aridatece la Ggioconda!!! Nun c'avete manco er bidè!!!


Nel complesso Troppoforte è un album musicalmente scadente. Nostalgico ma idiomatico. Rappresenta l’italianità e il gusto che abbiamo acquisito negli ultimi tre anni. Ma è il nostro gusto ad aver rovesciato l’industria musicale o ci siamo adattati fin troppo bene, senza pretese, senza fare storie? Sta di fatto che ora siamo questi, la mia generazione di ossimori. Scappati di casa che vivono con i genitori. E torniamo idealmente su noi stessi in una storia che ha smesso di scorrere dal tempo e forse va all’indietro o forse si è fermata. L’eterno ritorno dei Mondiali del 2006 è il nostro momento di libidine quotidiano.
I Viito prendono fin dal primo ascolto, sanno come farsi voler bene, perché non sono loro, loro siamo noi. Stiamo ascoltando noi stessi, ma non ci si stanca mai di ascoltarsi?

Può un uomo collocarsi fuori dalla sua storia [... ]? No, non lo può. Questo uscire dalla storia, adottando una falsa e bugiarda ottica di postero o di cherubino, è un atto caro ai reazionari, e i giornali di destra sono pieni di scrittori che si prestano a simili ascesi, atte a soddisfare il bisogno spiritualistico dei piccoli borghesi

E io sarò pure piccolo borghese di nascita, ma di sicuro non sono reazionario, né tantomeno un giornale di destra. Quindi cerco di criticare le cose con poche competenze e poi ascolto i Viito da una settimana ogni volta che salgo in auto, quando faccio la doccia, quando ramazzo la stanza servile. Sorrido quando dice “Se facciamo l’amore, l’industria porno muore” e canto a squarciagola il ritornello di Compro oro.


E quando sono triste vado a rivedere il gol di Del Piero contro la Germania:

Arriva il pallone, lo mette fuori Cannavaro! Poi ancora insiste Podolski, CANNAVARO! Via il contropiede con Totti, dentro il pallone per Gilardino. Gilardino la può tenere anche vicino alla bandierina. Cerca l’uno contro uno, Gilardino dentro Del Piero, Del Pieroooo! Gooooooooooool!!! Aleeeeeeeeex Del Pierooooooooooooo!!! Chiudete le valigie, andiamo a Berlino! Andiamo a Berlino! Andiamo a prenderci la coppa! Andiamo a Berlino!

E andiamo a Berlino. Magari è meglio di qua e di quando guardavamo Roma.

lunedì 17 settembre 2018

UNA CARTOLINA MIA E DI UN MIO AMICO

Questa storia è un po’ mia e un po’ di un mio amico che a ripensarci c’ha perso quasi tutti i capelli.


Era l’estate del 2009 e avevo da poco finito gli esami di terza media e mi sentivo con una ragazza (sentirsi è un po’ d'ingenuità e un po’ di vergogna. Che le cose poi le sai le sa anche lei ma fate finta di non saperlo). E quindi estate del 2009. Come ogni estate prima dei diciotto ero in procinto di partire per le vacanze con la mia famiglia. Un impossibile viaggio in camper fino in Normandia e ritorno. Ora, nel 2009 sentirsi era più complicato ma anche più esaltante, aveva qualcosa di magico. Di sicuro più costoso e la tariffa Vodafone summer non contemplava coppie di tredicenni sparpagliati per l’Europa. Io e lei avevamo deciso di mandarci un solo messaggio al giorno, ma quando c’è trasporto un messaggio al giorno è una parola sbiascicata detta sovrappensiero

partimmo e giorno dopo giorno cresceva in me la voglia di parlarle per dirle tutto. Per rispettare il patto del messaggio quindi il quinto giorno decisi di comprare una cartolina della scogliera per colpirla a lei che piacevano i viaggi e i paesaggi e per scriverle quello che avevo provato in quei giorni e mettere le parole sul non-detto e i silenzi. Presi quattro cartoline: tre per gli amici e una per lei. Anche se a dirla tutta degli amici mi interessava niente in quel momento. Ero preso. Ma mi vergognavo anche di mostrarmi così ai miei genitori e quattro e si nasconde bene e via

la sera stessa presi per mano la sua cartolina e cominciai a scrivere. La mano andava che era una bellezza e più scrivevo e più tornavo sui miei passi a correggere e cancellare. E cercavo le parole con qualche disegnino abbozzato, era arte astratta. La differenza con i messaggi è questa: oggi il ricordo di un messaggio mai arrivato resta in uno sta scrivendo mancato, sulle cartoline invece gli errori restano e rovinano il bianco

mezzo soddisfatto del risultato, la mattina dopo mi recai alla buca delle lettere della stazione di posta più vicina. Imbucai le cartoline degli amici e poi rimasi a fissare i miei scarabocchi per lei. Pensavo e ripensavo a quello che avevo scritto se fossero le parole giuste se lei avrebbe capito i miei sentimenti o avrebbe frainteso se lei stesse ancora pensando a me. E mentre riflettevo mi lasciai prendere dalle paure. Accanto alla buca delle lettere c’era un cestino. Partì convinto di imbucare la cartolina ma qualcosa di magnetico non so la gettai nel cestino tirando anche un sospiro di sollievo.

Inutile dire che quella ragazza non l'ho più rivista

oggi sono passati nove anni e vorrei anche aver imparato qualche lezione. Ogni giorno ci ripetiamo che quell'errore non lo ripeteremo più ma ogni giorno è il MIO errore e di nessun altro. Vorrei smetterla di cancellare i messaggi prima di inviarli e domandarmi se lei ha visto il mio sta scrivendo e cosa ha pensato se ci è rimasta male se voleva scrivermi lei se le manco. E lei mi manca (?)
Vorrei trovare il coraggio di comprare una cartolina e imbucarla.

Grazie anche al mio amico che mi ha dato la storia e qualche buona parola.