Dopo l’enorme successo degli articoli-commento dedicati
alla deprecabile 1992 ho deciso di buttarmi nuovamente nel mondo delle serie tv
settimanalmente. Ma quale scegliere? Di quale parlare? A dirla tutta la “mia”
serie comincia a Giugno e davvero non sapevo come occupare il tempo che rimane.
Daredevil? Nah, è già uscita tutta in un colpo grazie a
Netflix. Non avrebbe senso analizzare ogni puntata di una stagione già
terminata. Barcollavo nel buio quando mi ha chiamato mio fratello. “Hanno
istallato MySky, ora abbiamo tutte le serie che vogliamo On Demand”. A quel
punto mi sono deciso: era giunta l’ora di Wayward Pines.
L’occhio si apre e la menta va inevitabilmente a Lost. Il
protagonista si sveglia ed entra in una tavola calda in una cittadina dello
stato di Washington e la menta va inevitabilmente a Twin Peaks (vagamente
citato anche nella struttura del titolo). L’FBI complotta contro il malcapitato
agente attorno a cui ruota la trama e la mente va inevitabilmente a X-Files. La
barista della tavola calda avverte il protagonista della presenza di telecamere
ovunque e la mente va inevitabilmente a The Truman Show.
Diciamo che, tralasciando il fatto che questa mente vada troppo spesso in giro, le ispirazioni del celebre M. Night Shyamalan non sono
affatto male e già i piccoli dettagli del primo episodio possono catalogare
questa miniserie in un filone ben preciso che mescola elementi noir ad altri
soprannaturali, il tutto tenuto insieme dall’immancabile velo di mistero.
Appena dopo i titoli di testa veniamo immediatamente
catapultati all’interno dell’azione. Non sappiamo quasi nulla del protagonista,
né un background né una presentazione, solo un uomo ferito che vaga per una
città semideserta. La storia di fondo ci viene spiegata a mano a mano che la
narrazione prosegue: l’agente Ethan Burke, sposato, con un figlio e un’amante,
era stato inviato a Wayward Pines per investigare sulla scomparsa di due
colleghi, ma, una volta arrivato sul posto deve aver subito un “incidente
stradale” che è costato la vita all’altro agente che era stato inviato con lui
nella sinistra cittadina. Da questo punto in poi entrano in gioco nuovi
personaggi locali che dimostrano di sapere indubbiamente qualcosa più di Burke,
interpretato da un convincente Matt Dillon, e che portano il protagonista a dubitare
della facciata di quella tipica cittadina rustica americana.
Le serie di questo tipo vivono di tensione e in questo
episodio essa è sempre alta grazie a due particolari non da poco: le musiche
ritmate, mixate alla perfezione e posizionate nel momento giusto e le scelte registiche
di Shyamalan, oltretutto produttore e supervisore del progetto. Il regista de
Il Sesto Senso (e davvero poco altro degno di nota) decide di dare un tono
misterioso e personale all’opera preferendo l’uso di primi piani e telecamere
fisse. L’autore di origini indiane opta inoltre per mettere a fuoco unicamente
i volti dei personaggi e ciò tende a creare un effetto etere sfocato in tutti
gli sfondi delle inquadrature; molto misterioso e sovrannaturale. La regia però
può definirsi scolastica nella maggior parte delle scelte e alla lunga l’effetto
appena citato potrebbe risultare pesante. Speriamo che i registi che si
alterneranno nei prossimi episodi osino un po’ di più conferendo una
personalità più interessante all’opera.
Le serie di questo tipo vivono di colpi di scena e questi
non mancano: la scoperta del cadavere del compagno, l’intrigo internazionale
ordito dallo psichiatra e dall’agente dell’FBI e la scena finale con la
telecamera che, spostandosi verso l’alto, mostra una muraglia cinese che
circonda la città.
Nonostante non venga esplicitamente mostrata, la
componente metafisica della serie, che riprende chiaramente quella di David Lynch,
è ben presente e immagino risulterà alla lunga fondamentale per la risoluzione
di alcuni misteri presentati in queste prime battute. Il tempo ad esempio; il
tempo sembra scorrere in maniera diversa tra la città e il resto del mondo,
altrimenti non si spiegherebbe il cambiamento della collega del protagonista
nel giro di cinque settimane. Qualcosa legata al tempo non quadra.
Cosa sta succedendo qui? È tutto frutto della mente del
protagonista in seguito al presunto incidente o davvero esiste una comunità di
persone costrette a vivere in una bolla facendo finta che tutto sia normale? La
scene ambientate al di fuori della città suggeriscono più la seconda e anche io
spero sia così. Certamente tutti sanno tutto e lo dimostra la barista che cerca
di aiutare il protagonista, solo non sappiamo se tutto ciò che vediamo sia
effettivamente vero. Mi dispiacerebbe se dopo dieci episodi si venisse a sapere
che è stato tutto un sogno dell’agente Burke, ma allo stesso tempo mi
dispiacerebbe se tutto si limitasse ad una semplice teoria del complotto ordita
contro il protagonista o contro una branca attiva dell’FBI, ma allo stesso
tempo mi dispiacerebbe se l’elemento fantastico e misterioso venisse esagerato
e quindi tutta la serie perdesse di credibilità. Credo che la buona riuscita di
questo prodotto, evidentemente commerciale e rivolto ad un pubblico
occasionale, dipenda dal costante equilibrio di queste tre componenti
fondamentali.
Per ora posso dire che come prodotto d’intrattenimento
funzione, ma ciò è dovuto principalmente al fatto che si basi sul calco fatto
dai suoi predecessori. Poche novità e molti clichè che, se mescolati bene,
possono dare vita a qualcosa di piacevole. Speriamo bene.
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