La storia delle serie tv affonda le sue radici negli anni
’50 quando venne prodotta la prima sitcom in assoluto: “I Love Lucy”. Questa,
nonostante il budget risicato, ottenne un enorme successo di pubblico e
spalancò le porte a quel fenomeno televisivo che oggi sta spopolando sia
oltremanica che nel vecchio continente.
Passando per Batman, con quell’Adam
West tanto parodiato da Seth Macfarlane, il capitano Kirk e Fonzie si arriva
agli anni ’80 in cui vennero gettate le basi per la rivoluzione dei serial del
decennio successivo. È infatti negli anni Novanta che si manifesta in tutte le
sue potenzialità il fenomeno delle serie tv. Ricordiamo i Picchi Gemelli di
Lynch (di cui dovremo assolutamente discorrere un giorno, presto, molto presto
*facciaghignanteemalefica), suo figlio X-Files, Friends, i gialli di Matt e
90210.
In questo periodo i serial smettono di essere cinema di serie b e
cominciano ad assumere dei connotati ben precisi che rappresentano ancora oggi
canoni fondamentali per la buona riuscita di un nuovo prodotto televisivo. Si
arriva poi ai giorni nostri in cui tale format ha ormai raggiunto, se non
addirittura superato, il suo corrispettivo cinematografico. La vera rivoluzione
verificatasi sta nel classico triangolo pubblico - guadagni - investimento: le serie
hanno ottenuto nel tempo sempre maggiori consensi che si traducono in maggiori
guadagni, e i grandi produttori televisivi sono riusciti a reinvestire questi
guadagni e a far elevare il livello dei prodotti stessi, riscrivendo i canoni
che avevano portato il successo agli albori del fenomeno. Questione di soldi e
di idee insomma. L’esempio più lampante degli enormi budget di cui dispongono
le serie tv è Friends: DIECI (O.O) milioni di dollari ad episodio (ciascuno
della durata di soli venti minuti).
Negli ultimi anni è poi salito alla ribalta il fenomeno
delle miniserie, un buon connubio tra cinema puro e serial. Nuovo format che ha
saputo portare linfa vitale al settore e ha saputo dare la spinta definitiva
alla televisione verso nuove frontiere. L’allievo che supera il maestro.
È a questo filone che appartiene l’opera in oggetto oggi,
ossia “True Detective”, miniserie di 8 episodi del 2014 scritta dal giallista
Pizzolatto e diretta da Fukunaga. La trama ripercorre le vite dei due protagonisti,
Rust e Marty, detective alle prese con una complicata caccia ad un serial
killer durata quasi venti anni. L’intreccio funziona alla perfezione. La
narrazione parallela tra il ’95 e il 2012, anno in cui viene riaperto il caso,
mantiene sempre alta l’attenzione dello spettatore e dà la possibilità di
approfondire la psiche dei personaggi principali attraverso l’evidente
evoluzione umana che questi subiscono nei vent’anni che intercorrono tra le due
linee temporali dell’intreccio. Il thriller psicologico per eccellenza. I punti
di forza però non risiedono solamente nella trama e nello sviluppo di questa,
ma anche nei personaggi e nella realizzazione tecnica. I due attori
protagonisti dimostrano qualità da Emmy, specialmente Rust, interpretato da uno
straordinario Matthew McConaughey che riesce a superare se stesso, cioè
l’interpretazione in “Dallas Buyers Club” che lo aveva consacrato
definitivamente al grande pubblico e qualche premio glielo aveva fatto vincere
(*coffcoffoscar). Ogni sguardo carico di straziante sofferenza, ogni
espressione del volto, ogni battuta breve recitata con una roca e flebile voce,
ogni monologo profondamente nichilista. Ogni aspetto che riguarda Rust è un
capolavoro; brividi dall’inizio alla fine. Il nuovo standard per la caratterizzazione
dei personaggi nelle serie drammatiche.
La regia e la fotografia rendono poi True Detective un
capolavoro indiscusso. Fukunaga dà prova delle sue straordinarie abilità
coniugando con precisione introspezione e azione, sovrannaturale e suspance da
noir. Cura maniacale in ogni piccolo dettaglio. Il piano sequenza della retata
alla fine del quinto episodio è da antologia, farà stropicciare gli occhi dalla
meraviglia al cinefilo che è in voi. Superamento degli standard classici e
consolidati per le serie tv. Scene memorabili che rimarranno sicuramente nella vostra
mente per molto tempo. Opera indimenticabile.
L’arte è soggettiva, o meglio lo è il gusto artistico, ma
questo piccolo capolavoro, forse poco valorizzato dai vari Emmy e Golden Globe,
entra di diritto nell’olimpo dei serial e del cinema in generale. L’”Amore e
Psiche” delle serie tv. Piacevole levigatezza al servizio di un intrattenimento
profondo e maturo che vi trasporterà in un turbinio di misteri e sentimenti struggenti e realistici.
Il cinema, quello vero, è arte.
E in Italia? Beh in Italia c’è Don Matteo.
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