FILM: Mad Max: Fury Road (2015)
Lo so, lo so. Abbiamo già parlato approfonditamente di
questo film nella rubrica del giovedì con Antonio Margheriti ma, essendo un
prodotto molto discusso e avendolo visto in settimana, ho pensato di integrare
all’articolo del mio emerito collega con qualche impressione personale. Vi
invito quindi a leggere prima questo articolo per capire i riferimenti fatti.
Sostanzialmente penso che il film in questione non sia un
capolavoro, ma probabilmente questo giudizio é influenzato dal fatto che il
genere action non mi appartiene come altri. Penso però anche di aver visto uno
dei migliori film d'azione di sempre. L'azione é la parte centrale del film,
occupa circa il 70/80% della pellicola. La regia é dinamica e curata. La fotografia realistica ma al contempo eccessiva e spettacolare.
Tutto sembra sopra le righe. L'ambientazione e i personaggi, dal primo
all'ultimo, funzionano alla perfezione. L'innovazione del genere femminile al
centro di una pellicola culturalmente maschilista alza il livello del prodotto.
Finalmente una ventata di novità in un settore per certi versi stantio.
Questa pellicola però presenta dei problemi evidenti che impediscono di raggiungere la perfezione. Il film infatti convince molto più nella prima parte, quando i protagonisti non parlano. Quando invece si raggiunge la prima tregua dalla fuga si ha l'introduzione dei tipici dialoghi stereotipati e improbabili hollywoodiane. Non sono poi d'accordo con Antonio quando dice che il film non eccede mai. Secondo me alcune scene sono volutamente tamarre, ma troppo. A tratti alcune scelte stridono con la durezza e il realismo dell'ambientazione post apocalittica e della carenza di risorse. La trama poi risulta nel suo complesso troppo allungata: non ho apprezzato ad esempio l'introduzione delle donne-guerriere e l'intermezzo inutile con le moto. Alcune imperfezioni che però non intaccano i punti forti del film. Un grande film d'azione. VOTO: 9
Questa pellicola però presenta dei problemi evidenti che impediscono di raggiungere la perfezione. Il film infatti convince molto più nella prima parte, quando i protagonisti non parlano. Quando invece si raggiunge la prima tregua dalla fuga si ha l'introduzione dei tipici dialoghi stereotipati e improbabili hollywoodiane. Non sono poi d'accordo con Antonio quando dice che il film non eccede mai. Secondo me alcune scene sono volutamente tamarre, ma troppo. A tratti alcune scelte stridono con la durezza e il realismo dell'ambientazione post apocalittica e della carenza di risorse. La trama poi risulta nel suo complesso troppo allungata: non ho apprezzato ad esempio l'introduzione delle donne-guerriere e l'intermezzo inutile con le moto. Alcune imperfezioni che però non intaccano i punti forti del film. Un grande film d'azione. VOTO: 9
ALBUM: The Desired Effect (2015)
Apprezzo molto i Killers, secondo me
hanno ottenuto un successo meritato con il loro primo album, Hot Fuss, ma hanno
poi smarrito la retta via perdendosi in prodotti molto meno validi, ripetitivi
ed inutilmente pomposi. Detto questo devo però ammettere che ogni volta che
viene annunciato un nuovo lavoro della band di Las Vegas attendo sempre curioso
di vedere il risultato sperando in un’inversione di tendenza.
Brandon Flowers, cantante, frontman e
principale fondatore del gruppo, ha iniziato nel 2010 una carriera parallela da
solista con la pubblicazione di Flamingo, album vuoto e dimenticabile, senza
infamia né lodi. Nel 2015 però ci riprova e stavolta il risultato è anche
peggiore. The Desired Effect è a tutti gli effetti uno dei peggiori album che
io abbia mai ascoltato: una serie di canzoni pessime, ripetitive, dai toni alti
e prive di elementi che possano renderle interessanti. Riff di chitarra
sovrastati da tastiere che sintetizzano suoni tipici degli anni ’80. Sfarzo e
pomposità esagerati per testi e strutture che non reggono affatto. Molto più
vicino ad un album di canzoni di Gardaland, ma neanche di quelle accattivanti
che si ascoltano in fila per Raptor o per Oblivion, no, di quelle che portano
alla pazzia nella Casa di Prezzemolo. Forse un giudizio condizionato dalle
aspettative e dell’amore incondizionato che provo per l’opera prima degli
Assassini, ma questo album non voglio ascoltarlo mai più. VOTO: 3.5
ALBUM: Wilder Mind (2015)
Con il primo avevano stupito, con il
secondo confermato. Con i terzo album invece i Mumford and Sons cambiano e
deludono. La chitarra acustica che aveva fatto la fortuna del gruppo lascia il
posto ad una elettrica meno ispirata e meno amalgamata con il resto delle
sonorità proposte dall’album. Tutto sembra più forzato, tutto sembra più
artificioso e anche i punti forti del gruppo che avevamo imparato a conoscere,
quali la voce del cantante, non vengono valorizzati da questo cambio di rotta.
Le canzoni che si alternano sono
simili e poco ispirate, manca la verve, manca l’innovazione e manca anche la
tradizione. Tutto ciò che rimane è mediocrità, pop poco interessante e poco
accattivante. Solo il singolo Believe e Hot Gates ricordano i fasti dei
precedenti album.
Cambiare non vuol dire per forza
peggiorare. Apprezzo molto gli artisti che rischiano e decidono di abbandonare
una strada battuta per esplorare l’inesplorato, ma molto spesso questi
commettono evidenti passi falsi, come in questo caso. Il problema di fondo è
l’eccessivo avvicinamento ad un pop orecchiabile che non appartiene alla band e
che stona inevitabilmente. Sarebbe stata più interessante una sperimentazione
ragionata all’interno dello stesso ambito indie. Peccato, aspettiamo però il
prossimo album quando sicuramente si tornerà alle origini. VOTO: 5
ALBUM: Wanted on Voyage (2014)
Senti la sua voce profonda e potente
e immagini un omone sulla trentina, magari nero, magari sovrappeso, alla Berry
White per intenderci. Lo vedi cantare dal vivo e ti ritrovi di fronte un
ragazzino di vent’anni con la chitarra, mediamente alto e decisamente molto
magro. È difficile pensare che da quel corpicino esca una voce così poco adatta
all’idea che l’immagine suggerisce, ma l’abito non fa il monaco e il primo album
del giovane artista inglese esalta degnamente le sue doti canore e
cantautoriali. George Ezra confeziona un prodotto fresco e classico, un buon
mix tra innovazione della nuova generazione e classico indie folk britannico.
La chitarra si sente e sovrasta gli altri strumenti. Semplicità è la parola
d’ordine che garantisce a questo primo lavoro di Ezra un successo inaspettato
ma giustificato. I singoli risultano i brani più orecchiabili e immediati. Una
bella scoperta molto promettente. VOTO: 7
ALBUM: Drones (2015)
E voi direte: “Ma quest’album deve ancora uscire. Come fa a
receimpressionarlo già?”. E avete ragione, l’album deve ancora uscire e noi
oggi parliamo solo dei singoli finora estratti per tenere alto l’hype. I singoli
in questione sono tre, in ordine d’uscita, “Psycho”, “Dead Inside” e “Mercy”.
Premetto che nessuno dei tre mi sembra assolutamente da
bocciare, ma, già con soli tre brani, la band inglese ha dato prova delle sue
potenzialità e ha palesato il fatto che il nuovo album conterrà influenze assai
diverse, influenze vecchie e nuove.
Mi duole ammetterlo ma Psycho è forse la meno ispirata delle
tre ma anche la meno Muse, la più nuova. Le chitarre elettriche risuonano con
potenza e sovrastano tutto il resto, purtroppo anche la voce di Bellamy. Il riff
ripetuto però funziona, anche se non coinvolge e prende come al solito. Buoni il
testo e il video.
Dead Inside ripropone già una struttura più consona allo
stile dei Muse. Le chitarre del singolo precedente vengono affiancate da una
batteria imponente e convincente. La voce del frontman è più libera di
esprimersi e il testo risulta il migliore dei tre brani estratti finora.
Mercy è invece la migliore, decisamente la migliore. Sembra
di essere tornati ai fasti di Starlight. Un prodotto che mescola alla
perfezione chitarre, piano, basso, batteria e soprattutto voce. Il cantante è
libero di spaziare e mostrare tutte le sue abilità regalando una delle sue
migliori performance canore che non vedo l’ora di sentire live. I cori sul
ritornello fanno molto anni ’80 ma funzionano ed esaltano. La migliore.
Ovviamente non posso dare un voto su tre soli brani, ma la
via è quella giusta. Potrebbe essere un grande album. L’hype aumenta.
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