La notizia migliore delle ultime due puntate è che “1992”
è finalmente finito. Non mi aspettavo che il trend cambiasse e di fatto non è
cambiato, anche se qualcosa di salvabile c’è, ad esempio la storia della decadenza
della DC o la morte di Venturi (c’avevo preso la scorsa settimana, eh?), ma se
questi vengono paragonati a tutto ciò che non funziona il bilancio è
decisamente negativo. Sostanzialmente non ci si accorge che si tratta degli
episodi conclusivi fino a quando mancano ormai pochi minuti e una canzone
discretamente azzeccata comincia a sovrastare le parole dei personaggi che
intanto si muovono e cercano di mettere più di una pezza su un finale
abbozzato. La sequenza in sé non è cattiva, ma a parte la vicenda legata a
Bettino Craxi e Di Pietro, le altre storie sembrano avere una conclusione
insoddisfacente, in particolare quella di Bosco e della Castello.
Discreta anche la scelta di far riassumere Pastore nel
pool di Tangentopoli per poter riallacciare un rapporto interessante con la
realtà degli eventi di quell’anno.
Ecco, gli aspetti positivi sono finiti a mio parere,
quindi proporrei di passare a quelli negativi.
Non credo di aver capito bene il rapporto tra Bibi e Leo
Notte: perché si frequentano? Cos’hanno in comune? Stanno insieme o è un
rapporto di amicizia o è un rapporto di interesse? Non si capisce. Il loro
legame è giustificato unicamente dal seppellimento del cadavere di Venturi
nella proprietà Mainaghi, per il resto sembra tutto forzato, irreale e di
conseguenza fastidioso. Non viene poi fatta luce sul rapporto tra l’azienda
della Falco e le organizzazioni mafiose milanesi; intendiamo alla fine che
tutto emerga poi fragorosamente, ma la serie non indaga oltre sulla faccenda.
Pastore improvvisamente lascia perdere la sua battaglia
personale contro il traffico di sangue e plasma infetti e decide di tornare sui
suoi passi per contribuire attivamente all’inchiesta Mani Pulite. Ciò in parte
funziona perché la fissazione del personaggio per la storia delle trasfusioni
dannose stava diventando pesante e ripetitiva, ma abbandonarla così, da un
momento all’altro, rischia di risultare controproducente.
La storia di Bosco e della Castello è forse la peggiore
delle ultime due puntate. Una gravidanza da “Gli Occhi del Cuore” che allunga
il brodo e tenta di approfondire ulteriormente due personaggi già ampiamente
definiti quando ormai la fine è vicina e bisognerebbe tirare le somme piuttosto
che aggiungere elementi. Un errore abbastanza grave degli sceneggiatori, errore
banale. Una sottotrama che non porta a nulla di interessante se non alla
separazione di due personaggi che per storie e personalità era evidente sarebbe
avvenuta. Una sottotrama che almeno si può definire conclusa, non come quelle
di Stefano Accorsi. Buio, non smetterò mai di dirlo, rappresenta in pieno tutta
l’inutilità della serie: storie non concluse (come quella del vicino
spacciatore), relazioni capate in aria e dialoghi imbarazzanti (tutti quelli
con Bibi). Ma l’incontro con Silvio che tutti (si fa per dire) stavamo aspettando?
La figlia showgirl? La relazione con la minorenne in Sardegna? Il rapporto con
la Castello? L’assassinio di Venturi? Bah. Quanta futilità.
Anche stavolta a salvarsi è il solo Di Pietro che, con
una scena in un bar in cui ordina due drink di fila, riesce a risultare
credibile, ben caratterizzato e decisamente interessante.
Dopo dieci lunghi e strazianti episodi possiamo
analizzare in la serie nel suo complesso. Sicuramente, se non si fosse chiamata
“1992”, nessuno si sarebbe accorto dell’ambientazione vintage. Una fotografia
curata ma a tratti irrealistica ed eccessiva allontana molto dall’idea di anni ’90
a cui siamo abituati e qualche canzone caratteristica o qualche riferimento
sporadico non possono cambiare la cosa. Il comparto tecnico rimane comunque di
livello medio-alto per il nostro paese. Peccato per la recitazione di alcuni
personaggi decisamente non all’altezza. Un plauso ad Alessandro Roja e Guido
Caprino, Messinese nelle vesti del deputato della Lega Nord, attori più che all’altezza,
quasi sprecati.
I veri problemi della serie però sono due: il nome troppo
pesante che porta consapevolmente e la scrittura. Inizialmente la serie si era proposta come un affresco
della situazione politico-economica italiana, un affresco duro e crudo, cattivo
ma realistico. Niente di tutto ciò. “1992” perde dopo due episodi il contatto
con la realtà dei fatti e l’attenzione si sposta sulla finzione, sulla fiction,
perché checché se ne dica la scrittura dei personaggi e lo sviluppo della trama
si discostano ben poco da quelli della fiction italiana. Se fosse stato un
prodotto meno pretenzioso, ma più umile, se si fosse presentato fin dall’inizio
senza la volontà di denunciare la situazione italiana dei primi anni Novanta,
senza la volontà di stupire e di proporsi come nuovo punto di riferimento,
sarebbe potuto essere discreto, quantomeno una delle migliori fiction italiane.
Peccato che in un’analisi complessiva pesa molto anche come una serie si
propone.
Indubbiamente scalinate sotto “Gomorra - la serie” e “Romanzo
Criminale - la serie”, e quindi incomparabile con i migliori prodotti
oltreoceano.
Le premesse per un prodotto di livello c’erano tutte e da
parte mia le aspettative erano alte, forse troppo. Nessun alto, solo qualche
picco medio che nella pochezza generale sembra più di quello che è. Peccato,
potenzialità e risorse sprecate. Ora spero che Accorsi torni a gridare per la
sua Giulia e la Falco a fare foto, Roja a produzioni più decenti e la miss a
Uno Mattina.
Dimentichiamoci in fretta di una serie dimenticabile.
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