FILM: Sin City - A Dame to Kill For (2014)
Rodriguez e Miller tornano nella sporca e corrotta città
del peccato a distanza di nove anni dalla prima volta e il peso dell’età
comincia a farsi sentire in maniera pesante. I dialoghi sono poco fluidi e
talvolta campati in aria. La storia riprende quella del primo capitolo ma
dimostra fin da subito di avere meno mordente e carte da giocare. La fotografia
è a tratti fastidiosa, a volte sembra che due personaggi, uno in bianco e nero
e uno colorato (tecnica già vista nel primo film), siano illuminati
diversamente, come se non fossero realmente nella stessa stanza, e ciò porta ad
un fastidioso effetto collage che suggerisce sbadataggine nella realizzazione
tecnica. Se nella pellicola del 2005 la violenza eccessiva era ben amalgamata
nel complesso della trama e della caratterizzazione dei personaggi, nel secondo
capitolo essa viene proposta come puro fan service fine a se stesso (vedi la
scena in cui Marv cava L’occhio al capo delle guardie Manute), talvolta
fastidiosa. I nuovi personaggi introdotti non convincono pienamente sembrando
più statici e meno carismatici.
Se Quentin Rodriguez e socio non avessero scritto e
girato un cult memorabile nove anni orsono oggi staremmo parlando di un film
discreto, caratterizzato soprattutto da uno stile grafico-fotografico davvero
particolare. Ma non è così. VOTO: 5.5
FILM: Coach Carter (2005)
Film sul basket liceale interpretato da un duro,
convincente e carismatico Samuel L. Jackson che impersona Ken Carter,
ex giocatore simbolo della Richmond High, chiamato a rimettere in sesto la
squadra giovanile di pallacanestro della stessa scuola. La situazione
disastrosa presto verrà migliorata attraverso i metodi duri del nuovo allenatore dietro
ai quali si cela la volontà di trasmettere messaggi di vita ai problematici
ragazzi e di indicare loro la retta via in un periodo complicato del loro percorso di crescita. Il basket è quindi sostanzialmente un mezzo in questo film, anche se le
scene realizzate meglio si rivelano essere quelle sportive. La pellicola
infatti soffre di una scrittura dei personaggi eccessivamente stereotipata e di
conseguenza poco credibile. Alcune tematiche fondamentali, come l'aborto, vengono trattate con incredibile leggerezza.
Un film che vive di alti e bassi ma che offre comunque una buona trama e qualche performance più che discreta. Consigliato agli amanti del basket e dello sport in generale. VOTO: 7.5
Un film che vive di alti e bassi ma che offre comunque una buona trama e qualche performance più che discreta. Consigliato agli amanti del basket e dello sport in generale. VOTO: 7.5
ALBUM: No Sound Without Silence (2014)
Quarto album degli irlandesi The Script, dopo il successo
di “#3”. La band decide di svoltare verso sonorità decisamente più pop che rock
e ciò abbassa molto le pretese del lavoro in questione. Ascoltando anche solo
distrattamente l’album è possibile riconoscere in ogni canzone due elementi
comuni: i cori maschili di un’ottava più alta rispetto al tono del brano e la
traccia di batteria che emerge sul resto della strumentazione. Ciò rende i
pezzi molto simili tra loro con poche eccezioni. I testi poi meritano una
menzione speciale per la loro banalità e inutilità.
Se preso come un lavoro alternative rock l’album sarebbe
da bocciare dopo il primo ascolto, se invece lo si valuta con orecchio meno
critico e con meno aspettative si possono trovare delle canzoni sopra la media
nel panorama pop, nello specifico la coinvolgente “Superheroes”, l’armonica “Man
on a Wire” e la dolce “Flares”. Ispirata ed evocativa la cover. VOTO: 5.5
ALBUM: 9 (2015)
Finalmente riecco i Negrita che avevamo imparato ad
apprezzare alla fine degli anni ’90. Accantonate le sonorità leggere
sudamericane che avevano contraddistinto i precedenti lavori, il gruppo aretino
torna al rock per cui sono diventati famosi. L’album parte alla
grande con “Il Gioco”, singolo di alto livello, “Poser”, di cui solo l’intro
dovrebbe bastare a convincere l’ascoltatore della bontà del prodotto, e la
provocatoria “Mondo Politico”. L’ottimo lavoro della band però non finisce qui:
le sonorità si ammorbidiscono e i testi vertono verso temi più intimi. Il
risultato è una commistione di sonorità diverse tra loro, particolari, ma
perfettamente in linea con il tema centrale dell’album. Un lavoro a 360 gradi
che dà nuova linfa al repertorio e alla storia musicale del gruppo riportando
alla ribalta un rock classico che in Italia manca terribilmente. Testi
intelligenti, musica di qualità. VOTO: 8.5
ALBUM: Chaos And The Calm (2014)
Album di debutto per il ventiquattrenne anglosassone
James Bay. Lavoro che prende a piene mani dalla tradizione indie folk
americana. Una traccia di chitarra a tratti più leggera e dolce, a tratti più
forte e dirompente segna ogni pezzo. Se da una parte ciò contribuisce ad
associare a questo artista un genere musicale ben preciso, dall’altra le
sonorità base dell’album sono davvero poche e quelle più ispirate sembrano non
essere del tutto originali, o almeno non così fresche come ci si potrebbe
aspettare da un artista esordiente. Nel complesso il prodotto è comunque molto
orecchiabile; la voce di Bay è convincente, calda e perfettamente armonizzata
con le sonorità presenti. “Hold Back The River” emoziona, coinvolge e trascina
l’album, davvero un brano ben riuscito. Degne di nota anche “Craving”, la più
dolce “Move Together” e la calda e lenta “Need The Sun To Break”.
Se non ci fosse “Hold Back The River” ci troveremmo di
fronte ad un prodotto incompleto, poco innovativo e qualitativamente non
eccelso. Ma il brano in questione c’è. La strada è ancora lunga, ma qualcosa
questo Bay promette. VOTO: 6
Nessun commento:
Posta un commento