martedì 14 aprile 2015

ITALIAN BEAUTY

American Dream. Due parole, centomila sfaccettature. In queste due parole si cela lo spirito di un popolo, o almeno quello che era lo spirito americano fino a qualche anno fa. Prima qualunque statunitense veniva cresciuto con il culto della patria, della famiglia, dell’onore. Veniva educato fin da piccolo che nulla è impossibile, “nothing is impossibile” (la marca con le tre strisce ci sa fare) se a muovere una persona è la passione. La più grande realizzazione umana in questo modello di vita era il raggiungimento della vetta, a prescindere dal percorso intrapreso. Tutti gli Americani puntavano sempre al migliore nel loro settore e, una volta raggiunto, lo superavano forti della loro convinzione. 


Questa filosofia è cresciuta a braccetto con il capitalismo e ha toccato il suo apice negli anni ’90, prima di essere pesantemente inflazionata da varie opere e soprattutto dalla profonda crisi del modello capitalistico stesso. Anche le guerre che si sono susseguite negli anni e a cui gli Stati Uniti hanno preso parte attivamente non hanno fatto altro che erodere lentamente le basi su cui si fondava lo spirito patriottico stelle e strisce. Verso la fine degli anni Novanta  quindi vi fu una forte tendenza a fare satira del modello Americano di società “perfetta”. L’opera che però riuscì meglio a dare un ritratto caricaturale del momento storico americano fu indubbiamente “American Beauty” di Sam Mendes. Il film che ha consacrato Kevin Spacey a mostro sacro del cinema dopo le ottime performance ne “I Soliti Sospetti” (oscar non protagonista) e in “Seven”.


L’incipit della trama, con semplicità e immediatezza, riesce ad introdurre subito i componenti della famiglia, genitori e figlia unica. Inizialmente questi ci vengono presentati come stereotipi, senza una precisa caratteristica che vada al di fuori dello spesso velo di apparenza che li circonda. Tutto sembra ricalcare perfettamente il modello di famiglia americana media, con i classici aspetti positivi e negativi, ma con l’aquila calva sempre sullo sfondo.  Il vero punto di svolta del film è il momento dell’infatuazione del protagonista: ad una partita di basket giovanile nota un’avvenente amica della figlia adolescente, intenta ad intrattenere il pubblico in veste di cheerleader, e comincia a provare pulsioni sessuali per ciò che la ragazza minorenne rappresenta. Le scene oniriche in cui Spacey la immagina nuda su un letto di petali sono ormai cult. Fotografia impeccabile ed intrigante. Colonna sonora memorabile, poche ma incisive note.


Da quel momento in poi la situazione precipita verso il collasso. L’intreccio narrativo e le interpretazioni degli attori tengono lo spettatore incollato allo schermo dall’inizio alla fine. I protagonisti cominciano ad incrociare le loro vite con quelle dei nuovi vicini: un ragazzo mentalmente disturbato e un ex militare in pensione. I personaggi abbandonano le loro finte spoglie e si allontanano sempre più dal modello di famiglia tipo americana per assumere connotati finalmente realistici, profondi, finalmente umani. E la critica definitiva al buonismo medio borghese e al tanto esaltato American Dream si manifesta fragorosamente lasciando forti dubbi nel pubblico sulla validità del modello occidentale di società. Le accuse più profonde sono indirettamente mosse dal protagonista e dall’ex militare che, a discapito di una caratterizzazione volutamente statica, demolisce ogni certezza propria del conservatorismo stelle e strisce. Il finale incredibilmente ipnotico e spiazzante alza ulteriormente il livello del prodotto. Cinque statuine meritate. 


Se quindi una società giovane come quella americana ha sviluppato nel tempo un modus pensandi ben definito legato all’economia che ha contraddistinto la crescita del paese, una nazione ricca di storia e nata dall’incontro di varie culture come l’Italia ha manifestato un suo preciso modello di società? Una traccia comune per l’”Italiano Medio”? Un Italian Dream? Si, esiste. 


Il sogno italiano, ormai consolidato da decenni, non contempla la realizzazione umana o spirituale dell’individuo, ma il raggiungimento di uno stile di vita che rappresenti lo status sociale a cui si vuole essere associati dalla gente che sta intorno. L’individuo in questione però non è culturalmente propenso alla fatica, necessaria per raccogliere i fondi indispensabili all’assunzione del suddetto status. Il giusto compromesso tra queste due necessità umane è quindi guadagnare senza lavorare. Ecco il vero Italian Dream. Apparenza. E qual è il luogo migliore dove questo profondo progetto di vita può essere realizzato? Esatto, si trova a Roma
Il sogno italiano si chiama Montecitorio.

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