FILM: ZODIAC (2007)
Bryan Singer conferma ancora una volta le proprie doti
registiche confezionando un prodotto stilisticamente impeccabile. La sola
sequenza iniziale, con movimenti di macchina classici ma ben realizzati, vale
da sola il prezzo del biglietto. L’ambientazione anni ’60 è resa in maniera azzeccata attraverso una precisa cura del particolare, meno ispirata quella anni ’70, ma
comunque accettabile. Le interpretazioni dei tre protagonisti sono discrete ma
nulla più; se dovessi premiarne una sceglierei quella di Mark Hulk Ruffalo perché
più convincente, anche se non supportata da un doppiaggio italiano all’altezza.
Il vero problema del film è la lentezza: da un thriller-giallo-poliziesco ci si
aspetterebbe una dose di adrenalina decisamente maggiore, invece, complice
anche la lunghezza eccessiva della pellicola, i momenti di tensione risultano
essere due o tre, nulla più. Per il resto è calma piatta, solo investigazione
su investigazione. Ovviamente stiamo parlando di una scelta stilistica e
registica, non di una mancanza del film. Singer ha voluto esplicitamente
rifarsi ad un genere di cinema che si riprende i polizieschi degli anni in cui
la pellicola è ambientata, quei polizieschi realizzati con poco budget e quindi
privi di scene d’azione e inseguimenti al cardiopalma, ma fondati sui dialoghi,
sul carisma dei personaggi e sulla scoperta progressiva di nuovi indizi. Tutto
in verità è lineare, coerente e credibile, ma troppo lontano dalla frenetica
realtà odierna per riuscire a coinvolgere appieno lo spettatore. Un film di
nicchia, un film d’altri tempi. La pecca più grande rimane però il finale
mozzato, una mancanza che abbassa inesorabilmente il livello del prodotto
facendo sfociare nel nulla quella poca tensione che si era accumulata in due
ore e mezza di visione. Iron Man sfruttato male. VOTO: 6.5
FILM: I FRATELLI GRIMM E L’INCANTEVOLE STREGA (2005)
Terry Gilliam. Dicono di lui sia un regista visionario,
un genio del cinema moderno, e a dirla tutti i suoi grandi film li ha girati
(“Brazil” e “La Leggenda del Re Pescatore”), ma stavolta pecca di presunzione
nella riproposizione romanzata della storia dei due fratelli tedeschi scrittori
di fiabe per bambini. La trama sa di già visto e a tratti fa acqua ma tutto
sommato è godibile nella sua semplicità e immediatezza, i protagonisti invece
sono stati rielaborati in maniera interessante e più moderna, Il genio ribelle
e il Joker riescono poi a caratterizzarli in maniera soddisfacente. I problemi
sono da ricercarsi altrove: la comicità quasi sempre banale ad esempio non
strappa mai neanche un sorriso abbozzato, sembra quasi diretta ad un pubblico
infantile (quello delle fiabe dei Grimm appunto), ma alcune scene crude e le
ambientazioni cupe allontanano i bambini dal prodotto. I personaggi secondari
sono sempre eccessivi e macchiettistici e ciò risulta fastidioso alla lunga. La
regia è monotona e stancante, Gilliam ripropone sempre le stesse inquadrature
che potrebbero sembrare azzardate e innovative solo la prima volta che vengono
realizzate, alla seconda cominciano a sembrare pesanti, alla terza il regista
ha ormai definitivamente superato il limite. Variare e spaziare senza mai far
sentire la propria mano sull’opera in maniera eccessiva. La fotografia inoltre
ha degli sbalzi improvvisi e inspiegabili, per non parlare dell’uso della
computer grafica, forse l’unico motivo di riso in tutto il film.
Gillian ci propone poi delle "finissime" citazioni alle
fiabe classiche, come Raperonzolo e l’omino di marzapane, ma sono fatte in
maniera così grezza e superficiale che riescono a diventare una pecca per il
film anziché elevarne il livello. A tratti il restista sembra temporeggiare
sulle inquadrature relativa alle citazioni, come a voler dire: “Ehi! Avete
visto tutti, vero? Avete visto tutti che magistrale citazione che ho fatto?”.
Irritante e presuntuoso. VOTO: 4.5
ALBUM: DEMON DAYS (2005)
La band virtuale più famosa al mondo si conferma con
questo secondo lavoro in studio ancora più eclettico, ancora più coinvolgente.
Stavolta Damon Albarn decide di puntare prevalentemente sull’elettronica
applicata all’alternative rock classico dei Blur senza però trascurare
influenze pop, hip-hop e rap. Il risultato di questa commistione è un disco
complesso, musicalmente particolare e indubbiamente di qualità. Ogni brano
dimostra di avere una linea di fondo che non viene mai stravolta del tutto, una
sorta di coerenza musicale che contraddistingue l’opera in toto. I suoni non
sono mai esasperati e ridondanti, ma sottili e ricercati anche se faticano a
raggiungere un livello di introspezione tale da risultare diversi a seconda dell’ascoltatore.
A tratti quest’album sembra non voler andare incontro all’acquirente, ma
aspetta che sia questo a porsi nel giusto stato d’animo per poter gustare ciò
che il prodotto ha da offrire. “Feel Good Inc.” funziona splendidamente perché è
la più pop e accessibile delle canzoni presenti, ma anche “DARE” segue la
stessa linea. I brani che invece colpiscono maggiormente un individuo ben
disposto all’ascolto potrebbero essere “Kids With Guns”, “Dirty Harry” e “Damon
Days”. Le collaborazioni sono quasi tutte valide e interessante, leggermente
meno ispirate quelle legate al mondo dell’hip-hop.
Un lavoro
innovativo, coraggioso e non immediato. Un album di nicchia ben riuscito. VOTO:
8
ALBUM: TURISTI DELLA DEMOCRAZIA (2012)
Il panorama indie in Italia negli ultimi anni è
decisamente in crescita. Sempre più gruppi, meno pop di quelli famosi, nel
loro piccolo producono lavori molto validi e interessanti che
purtroppo non riescono ad emergere e raggiungere la notorietà. È questo il caso
de “Lo Stato Sociale” che con due album hanno ottenuto un successo notevole
a livello nazionale. Oggi parliamo del primo, “Turisti della Democrazia” che
già dalla copertina suggerisce l’irriverenza che caratterizza l’intero
prodotto. Le sonorità spaziano dall’elettronica, al pop, all’indie rock
rimanendo però sempre orecchiabili e accessibili a tutti. L’accessibilità è
infatti uno dei punti cardini della musica del quintetto bolognese; l’obiettivo
principale infatti è quello di far risaltare i testi, vera anima dell’album, e
quindi l’aspetto musicale è sì curato, ma non vuole eccedere per rischiare di
allontanare un determinato pubblico dal messaggio che ogni canzone porta con sé.
Come detto i testi sono il veri protagonisti dell’opera; testi intelligenti,
acuti, ironici e acidi che denunciano la politica italiana, le nuove tendenze
giovanili, l’ipocrisia della classe media-borghese e in generale tutto il
marcio che si nasconde nello stivale. Testi che aumentano il valore del
prodotto e invitano a riflettere accompagnati da motivetti coinvolgenti. Una conferma
che i luoghi comuni sulla mancanza di valore artistico oggi in Italia lasciano
il tempo che trovano. VOTO: 8
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