domenica 12 aprile 2015

RECENSIONI DELLA SETTIMANA 6 - 12 APRILE


FILM: Sin City - A Dame to Kill For (2014)
Rodriguez e Miller tornano nella sporca e corrotta città del peccato a distanza di nove anni dalla prima volta e il peso dell’età comincia a farsi sentire in maniera pesante. I dialoghi sono poco fluidi e talvolta campati in aria. La storia riprende quella del primo capitolo ma dimostra fin da subito di avere meno mordente e carte da giocare. La fotografia è a tratti fastidiosa, a volte sembra che due personaggi, uno in bianco e nero e uno colorato (tecnica già vista nel primo film), siano illuminati diversamente, come se non fossero realmente nella stessa stanza, e ciò porta ad un fastidioso effetto collage che suggerisce sbadataggine nella realizzazione tecnica. Se nella pellicola del 2005 la violenza eccessiva era ben amalgamata nel complesso della trama e della caratterizzazione dei personaggi, nel secondo capitolo essa viene proposta come puro fan service fine a se stesso (vedi la scena in cui Marv cava L’occhio al capo delle guardie Manute), talvolta fastidiosa. I nuovi personaggi introdotti non convincono pienamente sembrando più statici e meno carismatici.
Se Quentin Rodriguez e socio non avessero scritto e girato un cult memorabile nove anni orsono oggi staremmo parlando di un film discreto, caratterizzato soprattutto da uno stile grafico-fotografico davvero particolare. Ma non è così. VOTO: 5.5



FILM: Coach Carter (2005)
Film sul basket liceale interpretato da un duro, convincente e carismatico Samuel L. Jackson che impersona Ken Carter, ex giocatore simbolo della Richmond High, chiamato a rimettere in sesto la squadra giovanile di pallacanestro della stessa scuola. La situazione disastrosa presto verrà migliorata attraverso i metodi duri del nuovo allenatore dietro ai quali si cela la volontà di trasmettere messaggi di vita ai problematici ragazzi e di indicare loro la retta via in un periodo complicato del loro percorso di crescita. Il basket è quindi sostanzialmente un mezzo in questo film, anche se le scene realizzate meglio si rivelano essere quelle sportive. La pellicola infatti soffre di una scrittura dei personaggi eccessivamente stereotipata e di conseguenza poco credibile. Alcune tematiche fondamentali, come l'aborto, vengono trattate con incredibile leggerezza.
Un film che vive di alti e bassi ma che offre comunque una buona trama e qualche performance più che discreta. Consigliato agli amanti del basket e dello sport in generale. VOTO: 7.5



ALBUM: No Sound Without Silence (2014)
Quarto album degli irlandesi The Script, dopo il successo di “#3”. La band decide di svoltare verso sonorità decisamente più pop che rock e ciò abbassa molto le pretese del lavoro in questione. Ascoltando anche solo distrattamente l’album è possibile riconoscere in ogni canzone due elementi comuni: i cori maschili di un’ottava più alta rispetto al tono del brano e la traccia di batteria che emerge sul resto della strumentazione. Ciò rende i pezzi molto simili tra loro con poche eccezioni. I testi poi meritano una menzione speciale per la loro banalità e inutilità.
Se preso come un lavoro alternative rock l’album sarebbe da bocciare dopo il primo ascolto, se invece lo si valuta con orecchio meno critico e con meno aspettative si possono trovare delle canzoni sopra la media nel panorama pop, nello specifico la coinvolgente “Superheroes”, l’armonica “Man on a Wire” e la dolce “Flares”. Ispirata ed evocativa la cover. VOTO: 5.5



ALBUM: 9 (2015)
Finalmente riecco i Negrita che avevamo imparato ad apprezzare alla fine degli anni ’90. Accantonate le sonorità leggere sudamericane che avevano contraddistinto i precedenti lavori, il gruppo aretino torna al rock per cui sono diventati famosi. L’album parte alla grande con “Il Gioco”, singolo di alto livello, “Poser”, di cui solo l’intro dovrebbe bastare a convincere l’ascoltatore della bontà del prodotto, e la provocatoria “Mondo Politico”. L’ottimo lavoro della band però non finisce qui: le sonorità si ammorbidiscono e i testi vertono verso temi più intimi. Il risultato è una commistione di sonorità diverse tra loro, particolari, ma perfettamente in linea con il tema centrale dell’album. Un lavoro a 360 gradi che dà nuova linfa al repertorio e alla storia musicale del gruppo riportando alla ribalta un rock classico che in Italia manca terribilmente. Testi intelligenti, musica di qualità. VOTO: 8.5



ALBUM: Chaos And The Calm (2014)
Album di debutto per il ventiquattrenne anglosassone James Bay. Lavoro che prende a piene mani dalla tradizione indie folk americana. Una traccia di chitarra a tratti più leggera e dolce, a tratti più forte e dirompente segna ogni pezzo. Se da una parte ciò contribuisce ad associare a questo artista un genere musicale ben preciso, dall’altra le sonorità base dell’album sono davvero poche e quelle più ispirate sembrano non essere del tutto originali, o almeno non così fresche come ci si potrebbe aspettare da un artista esordiente. Nel complesso il prodotto è comunque molto orecchiabile; la voce di Bay è convincente, calda e perfettamente armonizzata con le sonorità presenti. “Hold Back The River” emoziona, coinvolge e trascina l’album, davvero un brano ben riuscito. Degne di nota anche “Craving”, la più dolce “Move Together” e la calda e lenta “Need The Sun To Break”.
Se non ci fosse “Hold Back The River” ci troveremmo di fronte ad un prodotto incompleto, poco innovativo e qualitativamente non eccelso. Ma il brano in questione c’è. La strada è ancora lunga, ma qualcosa questo Bay promette. VOTO: 6

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