mercoledì 28 giugno 2017

TWIN PEAKS 3 - EPISODIO 8

Alla puntata più immanente segue quella più trascendentale. L’intento speculativo e cosmologico della serie, che propone di sciogliere i dubbi più profondi, che attanagliano gli appassionati da venticinque anni, si mescola in modo inimitabile con l’essenza astratta dello spirito di Lynch. La tela bianca assegnatali da Showtime diventa lo spazio della mente in cui ogni immagine può ambire a toccare le coscienze degli spettatori. E la sostanza si arricchisce di una forma onirica sublime che tende a coinvolgere fin dai sensi, per risalire i nervi e ricreare l’immagine di una creazione. In questa puntata Lynch è anche creatore, perché con la sua fantasia produce il fondamento creazionista dell’opera, andando a fornire un sostrato molto più che plausibile per le origini del mito. Ciò che colpisce maggiormente sono le modalità d’espressione in un contesto che non era abituato a cotanta innovazione, ma che andava stabilizzandosi da tempo su compromessi stabili e duraturi tra cinema e televisione. Ma Lynch, che nasce pittore e non morirà regista, riversa la sua visione dell’arte nel mezzo del popolo, per tirarne fuori la perla dell’eccezionalità.


Estrapolare un contesto televisivo classico da questo episodio, andando a ridurre l’essenza alla ricerca di spunti narrativi, è davvero un’operazione innaturale, perché l’esperienza di “Part 8” andrebbe vissuta in prima persona, ma, per una coerenza con gli intenti della nostra serie di commenti, andiamo ad analizzare cosa è possibile dedurre da questo delirio metafisico.


L’episodio si apre con l’omicidio di Mr. C per mano del suo sottoposto Ray. Ma un omicidio nel caso di entità sovrannaturali del calibro di Bob non può certamente rientrare in categorie di pensiero comuni, e infatti, nell’istante successivo all’esplosione dei due proiettili, Ray vede un gruppo di uomini truccati di nero avvicinarsi al corpo del morente Cooper. Si tratta degli stessi individui che avevamo visto nel commissariato di Buckhorne nel primo episodio, e poi nel sesto e nel settimo, sempre in circostanze legate all’omicidio di Ruth Davenport. Possiamo dedurre alcuni caratteri di questi esseri: evidentemente appartengono alla schiera delle entità della loggia, ma essi riescono misteriosamente a vagare nel mondo reale mantenendo il loro corpo, anche se non è chiaro se gli umani possano in qualche modo vederli. Nel caso del primo episodio appare evidente che il preside di Davenport non fosse in grado di vedere l’uomo nella cella adiacente alla sua; nel caso di Ray, invece, egli intravede l’azione di questi spiriti sul corpo di Cooper. Ma in cosa è consistito la loro azione? Per un attimo vediamo che una sfera raffigurante il volto di Bob viene allontanata dal corpo di Cooper, mentre altri spiriti sembrano dilaniare il corpo mortale. Bob sorride, soddisfatto, compiaciuto e sicuro di ciò che sta accadendo, per cui non metterei in dubbio il legame tra le entità. Successivamente il corpo di Cooper si risveglia, senza confermare la presenza di Bob al suo interno. Io credo che gli spiriti truccati di nero siano intervenuti a salvare l’anima di Bob dalla morte - o dal ritorno forzato nella loggia nera, in caso di morte del corpo - espellendolo dalle spoglie umane e accelerando il decesso di Coop. Per poi reintrodurre Bob in un corpo che ha subito i danni degli spari solo nel momento in cui non era presente il simbionte, salvaguardando così l’incolumità dell’entità e garantendogli la sopravvivenza. Non c’è dubbio che questi spiriti siano una componente attiva della loggia nera sul mondo reale, come viene anche dimostrato nel prosieguo della puntata, e che abbiano la funzione di indirizzare alcuni eventi in modo che questi accadano secondo un ordine prestabilito. Bob non doveva perire in quel modo, e il loro intervento ha sventato la minaccia.
Questo evento si pone solo come prologo del fulcro della puntata, ossia un viaggio onirico alla scoperta della nascita di Bob. L’azione si sposta in New Mexico, nel 1945, durante uno dei primi test nucleari. Nel fungo atomico sembrerebbe delinearsi il volto di Bob,che ha quindi in questo evento specifico la sia genesi primaria. Mentre la scena della pompa di benzina sembra invece voler lasciar intendere la creazione del corpo degli spiriti truccati di nero dietro le finestre opache della struttura. Una duplice e contemporanea nascita.


Vediamo poi un essere somigliante sia alla donna senza occhi del terzo episodio, sia all’efferato omicida della scatola di vetro, vomitare un fiume di garmonbozia in uno spazio privo di gravità, e all’interno della sostanza la telecamera ci mostra una sfera con il volto di Bob, un uovo e la creazione di un oggetto dorato, che richiama da vicino gli anelli e la sfera usata da Bob - o chi per lui - per ricreare l’anima di Dougie Jones.
Veniamo quindi condotti nuovamente nel mare viola del terzo episodio, ma stavolta in una struttura soprelevata, che richiama solo per alcuni particolari quella in cui era finito Coop nella sua rimaterializzazione. Gli unici due personaggi che vengono mostrati sono il gigante e una donna, riconosciuta nei titolo di coda come senorita Dido. Qui, in un’atmosfera fortemente evocativa e autocitazionista, una campana suona sola, come fosse un allarme che muove i due personaggi, i quali si spostano in un’altra stanza dell’edificio. In essa è presente uno schermo che mostra loro sostanzialmente gli stessi eventi mostratici in precedenza: la genesi di Bob e la produzione degli uomini truccati di nero. Il gigante quindi si solleva dal suolo e produce con la mente una sfera dorata raffigurante il più famoso sorriso di Laura Palmer. La donna poi bacia la sfera in segno di speranza e la invia sulla terra.


Undici anni più tardi, nel 1956, nello stesso luogo dell’esplosione atomica, un uovo si schiude lasciando fuoriuscire un essere a metà tra una rana e un insetto alato. Una ragazza adolescente si scambia un bacio di congedo con un ragazzo e rientra in casa. Intanto alcuni uomini truccati di nero si aggirano per le strade buie del New Mexico, alla ricerca di un accendino. Uno di loro entra in una stazione radiofonica, uccide un uomo e una donna e comincia a ripetere senza sosta una serie di frasi all’apparenza sconnesse:

Questa è l’acqua e questo è il pozzo
Bevi fino in fondo e calati
Il cavallo è come il bianco degli occhi e oscuro al’interno

Queste parole fanno cadere la ragazza di prima in un sonno profondo e l’essere uscito dall’uovo, dopo essersi intrufolato dalla finestra nella camera della ragazza, può approfittarne per entrare nell’adolescente attraverso la bocca.


Facciamo ordine. La genesi appare chiara, ma è ciò che succede contemporaneamente ad essa a destare un certo interesse. Nello specifico la scena nella struttura sul mare viola, che a questo punto potrebbe rappresentare la celebre loggia bianca, che aspettiamo invano da ventisette anni.  Il gigante infatti, personaggio chiave tra le entità della loggia, esiste ancor prima della venuta di Bob e agisce quasi a voler contrastare l’operato futuro dello spirito maligno. La sua creazione della sfera di Laura sembra essere la risposta alla venuta di Bob. Ma cosa potrebbe essere la sfera di Laura? Per comprendere il senso dell’analisi di questo elemento, dobbiamo definire la possibilità che tutta la serie sia stata governata dalla predestinazione. Partiamo dal prequel, FWWM. In una scena famosa, Laura ha una visione in cui Annie Blackburne, ferita e provata, le appare per chiederle di scrivere nel suo diario che il vero Coop è rimasto rinchiuso nella loggia nera, evento che si verificherà solamente nel finale della seconda stagione. Tutti gli eventi che vanno dal prequel al finale, e quindi presumibilmente anche ciò che è avvenuto successivamente, seppur non trasposto in pellicola, potrebbero essere stati predeterminati da un gioco di entità. La sfera di Laura potrebbe quindi essere il microcosmo all’interno del quale è riassunta l’essenza dei predicati che Laura potrà esprimere nel corso della sua esistenza. Uno specchio parziale dell’universo dal punto di vista della ragazza, che quindi comprende anche tutte le persone che sono entrate in contatto con la sua sfera personale. Un percorso già definito in partenza, quindi, oppure no? Perché dall’altra parte, i neonati esseri della loggia nera hanno a loro volta preparato il terreno per le future azioni di Bob. Per provare ciò, dobbiamo accettare che la ragazza del 1956 sia Sarah Palmer, la quale potrebbe perfettamente inserirsi nel personaggio dal punto di vista cronologico. Ricordiamo quindi che Sarah era, e probabilmente lo è tuttora, una delle poche persone in grado di vedere lo spirito di Bob nella realtà. Lo stesso era in grado di fare Laura, prima della morte. Avevamo sottovalutato quest’aspetto, riconoscendo al personaggio di Sarah solamente una particolare sensibilità agli eventi della loggia, ma a questo punto dobbiamo presumere che sia entrata in contatto precedentemente con le entità maligne, le quali, attraverso l’essere uscito dall’uovo, hanno probabilmente condizionato l’esistenza di Sarah perché conoscesse Leland, perché partorisse Laura. Tutto ciò si traduce in una doppia predestinazione, che si annulla in un contesto sempre più simile ad una partita a scacchi tra entità della loggia bianca e della loggia nera. Siamo solo pedine inermi, destinate ad assistere allo scontro nel quale siamo coinvolti.


Il gigante, che dimora in un luogo dotato di un allarme, sembrerebbe quindi essere un guardiano della rettitudine nel mondo reale, ed è costretto ad intervenire proprio quando forze maligne minacciano l’incolumità del libero arbitrio umano. Egli quindi si serve di Cooper, durante la serie originale, fornendogli indizi da decifrare per rovesciare la situazione a favore della loggia bianca. Ma proprio quando Coop sembrava essere vicino alla verità, ecco che la sua posizione viene assunta da una delle entità maggiori della loggia nera. Possiamo parlare di Bob come uno degli spiriti cardini della loggia nera, ma a questo punto anche lui rientra nel piano riguardante l’uovo e l’oro, tutti elementi contenuti nella garmonbozia vomitata dall’essere senza occhi, che potrebbe risultare anche superiore, per grado, allo stesso Bob.
Gli uomini truccati di nero sono invece il braccio armato della loggia nera, perché - e ormai ne abbiamo la certezza - possono presentarsi nel mondo reale anche con una tangibilità fisica naturale.

E il quadro metafisico s’infittisce e si adombra, s’incupisce e ci meraviglia. Nella miglior ora di televisione dell’anno.



Piccole note a margine:
- il fungo atomico raffigurato dietro Gordon nel settimo episodio non fa che rincarare la dose, sia dal punto di vista del personaggio, che da quello del regista. L’FBI sa molto più di quanto non dia a vedere. Rosa blu.
- il bianco e nero della puntata richiama quello della prima sequenza del primo episodio, in cui il gigante svela a Cooper i tre nuovi indizi. Che si possa trattare della loggia bianca anche nel caso della prima puntata?

martedì 27 giugno 2017

QUANTO CONTA IL VOTO DI MATURITÀ?

Siamo arrivati allo sprint finale. Gli ultimi giorni di ripasso prima della prova decisiva. E cominciano i conti, oltre all’ansia da prestazione.
Crediti accumulati in tre anni di dormiveglia dietro quel compagno che sembra la montagna di GoT: 12
Prima prova scialba: 9
Seconda prova che proprio a me mi dovevano mettere in prima fila: 5 (prova d’indirizzo, per quelli che hanno sbagliato scuola e lo ammettono solo 5 anni dopo, solo alla seconda prova)
Terza prova quizzone la indovino con una: 8
Potevate dirlo prima che la terza prova durava la metà delle altre.


E quindi cominciano i conti: “Sono a 34. Se prendo 30 all’orale arrivo a 64, mettici pure un paio di punti bonus che faccio due battute simpatiche alla commissione e fa 66


ma cosa sto dicendo? Quando mai prendo 30 all’orale che faccio fatica a parlare italiano e l’ultima volta che ho dovuto dire la poesia a Natale coi parenti mi sono emozionato e ho vomitato sul vassoio di calamari e scampi al centro del tavolo. Se mi va bene arrivo al 60, se la commissione è magnanima. Sempre se mi va bene. E se no l’anno prossimo faccio il capobanda qua al liceo, vengo tutte le mattine in moto, pure d’inverno, con la giacca di pelle e gli occhiali da sole, vedi che le cose cambiano?”.


60, 66, 100.
Numeri. Ma quanto conta realmente nella vita il voto dell’esame i maturità? Niente, diranno molti di voi. Niente, vi ripeteranno i vostri fratelli più grandi. E invece vale eccome, potrebbe valere la vostra salvezza in un momento specifico, ma lasciate che vi parli del mio primo giorno di università.


Correva l’anno 2014. Mi apprestavo titubante a raggiungere la ridente grigia Milano da bere per tuffarmi nel mondo universitario. All’epoca non avevo ancora preso casa nella città degli imbruttiti e dovevo fare circa due ore di viaggio ogni mattina per arrivare in orario a lezione. Quella mattina, la mattina del primo giorno, arrivai in città con un’ora d’anticipo, in università con mezz’ora d’anticipo, in aula con due minuti d’anticipo. Comincio a capire quelli che vanno sempre di corsa.
Entro in aula tra l’impaurito e l’atterrito e sento una voce dietro di me: “Mattia!”. “Ohibò - penso - devo ancora cadere in mezzo all’aula durante la lezione più frequentata e già mi conoscono”. Così mi giro e vedo un mio compagno di classe delle medie, che non vedevo dalle medie. Mi siedo vicino a lui, conosco altre persone, tiro fuori le caramelle per fare amicizia, mi sembra che stia andando tutto per il meglio, quando IL DRAMMA.

Foto di repertorio

Entra un uomo sulla trentina, tracagnotto, vestito di giacca e cravatta. Seguito da due ragazzi più giovani. Entra e si presenta come l’assistente del professor Migliavacca, incaricato dallo stesso professore di spiegarci alcuni particolari della vita universitaria prima della lezione vera e propria. L’uomo mostra subito un atteggiamento ostile, prima deride i ragazzi in prima fila, poi comincia a chiedere i voti della maturità.
“Quanto hai preso alla maturità?”
“83”
“Poco. E tu?”
“96”
“Poco. Solo i 100 hanno qualche speranza qui
E mentre le nostre gambe cominciano a tremare, rincara la dose: “Tutti in piedi. Vi divideremo per il voto di maturità. Tutti quelli tra l’ottanta e il cento alla mia destra, gli altri a sinistra. Così possiamo già vedere le facce dei più meritevoli”.


Dall’alto del mio ∂¥ mi alzo e vado a sistemarmi con alcuni ragazzi a destra, nel gruppo d’elite. Poi l’assistente riprende la parola e ci invita ad alzarci nuovamente in piedi per l’inno d’Italia senza il quale non si può dare il via all’anno accademico. Uno dei due ragazzi che erano entrati con lui poggia fa partire l’inno dal telefono e avvicina il microfono, l’altro invece si presenta come un giovane tenore della scala e comincia a cantare. Ci alziamo tutti, mano sul cuore, cantiamo con la voce spezzata.
Ma qualcosa non va.
Il tenore canta come il peggior inglese ubriaco al pub quando partono gli Oasis.
L’assistente si siede e si riappropria del microfono.
Ci siete cascati! Sono il segretario del comitato studentesco, lista *metterenomebanaledilistaqualunque*, votate per noi anche quest’anno”.
Guardo i compagni che avevo attorno, con qualche gocciolina di sudore e il sorriso tirato di chi ha visto la morte in faccia. Quindi torniamo a sederci ai blocchi di partenza e facciamo finta che sia stato solo un brutto sogno. Il professore, un uomo sulla quarantina, più che strano stralunato, entra in aula con venti minuti di ritardo e la nostra storia a Milano ha inizio.


Tutto questo per dirvi che il voto d’esame non conta, a meno che non vi troviate in situazioni limite come la mia, ma poi tutto finì per il meglio. Circa. Il voto è la vostra gratificazione. Non è un cruccio, non è un vanto. Ma la possibilità della certezza che il vostro reale valore scolastico sia stato riconosciuto. Al primo vero esame della vostra vita. È un valore relativo. Molti dei miei compagni di liceo nemmeno se lo ricordano il loro voto. Ma è qualcosa che può assumere valore simbolico se siete voi ad attribuirglielo. Oppure se siete Di Maio e utilizzate un 100 per spiegare gli anni fuori corso all’università. 

mercoledì 21 giugno 2017

TWIN PEAKS 3 - EPISODIO 7

L’esordio di questa stagione evento aveva colpito tutti per la capacità di fondere lo stile visionario di Lynch con una concentrazione importante di eventi realmente significativi per lo sviluppo della trama principale, quella che ebbe origine con l’omicidio di Theresa Banks e che proseguì tra i silenziosi boschi di Twin Peaks agli inizi degli anni ’90. Questo settimo episodio rincara la dose del mistero e si accompagna con uno spostamento reale o figurato dei personaggi. Le diverse situazioni mostrate in questo frammentato quadro metafisico sembrano infatti cominciare a volgere in azione la carica ilare e ideale accumulata fino a questo momento. Senza dimenticare di aggiornare costantemente il catalogo dei dubbi che rappresenta il motore di un certo tipo di narrazione criptica.


Le vicende riprendo esattamente da dove le avevamo lasciate la scorsa settimana, con Hawk che mostra soddisfatto e confuso il risultato della sua ricerca. La profezia del ceppo è compiuta, e il commissariato di Twin Peaks è finalmente entrato in possesso delle pagine mancanti del diario di Laura Palmer, che, oltre a confermare l’identità dell’entità di Bob celata dietro le spoglie del padre, rende il nuovo sceriffo consapevole di un errore temporale, descritto precedentemente solo nel film FWWM. Durante una scena del film infatti Annie Blackburn appare come visione a Laura e le chiede di scrivere nel diario che il Coop buono è rimasto imprigionato nella loggia nera. Questo particolare conduce alla scena del dottor Hayward che ci fornisce ulteriori elementi sui giorni successivi alla possessione definitiva di Bob. Ed è altamente soddisfacente essere ripagati in questo modo dopo venticinque anni di attesa. Fino ad ora Lynch ha saputo dosare alla perfezione il fan service di cui un revival di questa portata sarebbe potuto essere pregno. In questo settimo episodio ha saputo contestualizzare meravigliosamente il premio che tutti noi stavamo aspettando. Eppure la faccenda non sembra risolversi: delle quattro pagine mancanti del diario di Laura, solo tre sono state ritrovate da Hawk dietro la porta del bagno. Per capire questo tassello mancante, dobbiamo rifarci alla notte dell’uccisione di Laura Palmer, descritta in parte in FWWM e in parte dalle ricostruzioni a posteriori. Una delle certezze, relativamente a quella notte, è il ritrovamento di un pizzino, bruciato sui bordi, che riportava la frase cardine “Fuoco cammina con me”. È probabile che quel fogli fosse in origine la quarta pagina strappata del diario, che rivelava ulteriori dettagli sulla possessione di Leland Palmer e sulla natura omicida dello spirito di Bob. Un ultimo tassello che legherebbe definitivamente ogni zona di questo dipinto, ma che non verrà probabilmente mai alla luce. Questa mancanza tiene aperta la necessità di un lavoro dei personaggi di Twin Peaks per accedere alla verità.


Altra questione fondamentale è quella relativa al cadavere del maggiore Briggs, all’intero del quale è stato trovato la fede nuziale di Dougie Jones e del quale non si trova ancora il capo. Ciò che più colpisce però sono le incongruenze emerse dall’autopsia che lasciano non pochi dubbi. Come sappiamo, la loggia può imprigionare delle anime umane al suo interno, come è accaduto a Cooper, ma anche queste, seppur esistenti solo nella loro forma spirituale, risentono del passare del tempo reale. Allo stesso modo i loro corpi, legati quindi ad altri spiriti, si aggirano nel mondo umane risentendo degli effetti del tempo. Per cui non è possibile che il corpo si stato conservato vivo nella loggia o in un piano metafisico adiacente per poi essere ucciso una volta uscito da questa zona d’ombra. Le ipotesi quindi sono due: o Briggs è stato ucciso nel momento della scomparsa e il copro è stato conservato alla perfezione nel corso di questi venticinque anni o si tratta di una questione metafisica. Perché manca proprio la testa? Mi spiego meglio: all’inizio del terzo episodio, nel momento in cui il vero Coop si ritrova in quella che abbiamo definito l’anticamera temporale della loggia, quando la donna con gli occhi cuciti lo conduce sul tetto dell’edificio e viene sbalzata giù da una scarica elettrica, vediamo il volto ingigantito del maggiore fluttuare a mezz’aria per pronunciare le parole “Blue rose”. E se quello non fosse stato il volto del maggiore Briggs, ma la testa? Una piccola differenza che potrebbe condurci a conclusioni ben diverse. Il maggiore potrebbe essere stato ucciso all’interno di un piano metafisico e la sua testa potrebbe essere in qualche modo ancora legata allo spirito del maggiore, che anche in questo stato non ha smesso di portare avanti la sua indagine sulle entità della loggia. Lo dimostra il fatto che sia comparso proprio lui a Cooper per ricordargli il dettaglio della rosa blu, e non si è manifestato come entità fisica, come è avvenuto per i doppleganger di Laura e Leland Palmer, ma proprio nella dimensione mancante sul piano del reale. Solamente il tempo ci darà i motivi di una scelta così curiosa e misteriosa, ma potrebbe trattarsi anche di uno di quei caso oltreumani così profondi che non terminano in una spiegazione metalogica.


La trama legata alle indagini dell’FBI prosegue e finalmente vediamo l’incontra tra il Cooper malvagio e Diane. In un dialogo carico di tensione emotiva e nervosa, vengono fatti dei riferimenti agli avvenimenti di una notte specifica, ma non sappiamo nulla di più. Poi Diane abbandona il faccia a faccia e scoppia in lacrime per essersi trovata di fronte ad un’altra persona. E quando le indagini sembravo virare verso una chiarezza globale, ecco che Bob mette in atto un piano d’evasione studiato ben prima di finire in prigione. Resta aperta la questione sulla notte a casa di Diane. Al di là di speculazione immanentiste - in quanto Coop non era ancora entrato in contatto con le entità della loggia - resta la certezza di un rapporto più profondo tra il protagonista nelle sue vesti umane e Diane, prima che tutta la storia di Twin Peaks avesse luogo.


Rivediamo dunque Dougie Cooper Jones alle prese con il suo entusiasmante lavoro. Nonostante la situazione non sembra potersi risolvere in tempi brevi, è importante focalizzare l’attenzione sulla scena dell’attentato ad opera del nano senza punteruolo. Dougie ha uno scatto alla giovane Coop e riesce a sventare l’azione omicida seguendo le indicazioni del piccolo albero materializzatosi virtualmente sotto gli occhi del protagonista. Torniamo al secondo episodio, in cui l’albero antropomorfo aveva spiegato all’anima di Cooper alcune condizioni per recuperare il suo corpo. Ma al contempo l’avevamo visto possibilmente contrariato nel momento della scomparsa di Coop dalla loggia, e avevamo ipotizzato potesse essere legato all’essere comparso nella scatola di vetro a New York poco dopo il protagonista. Detto questo, finora avevamo visto Mike aiutare Coop a sopravvivere nel mondo reale in attesa di un’epifania, e, considerando che l’albero è in realtà lo sviluppo autonomo del braccio del corpo umano di Mike e che all’epoca della prima stagione esso era stato definito simile a Bob, non ci stupivamo che l’albero potesse essere avverso all’azione dell’agente dell’FBI. Ma in questo caso esso collabora attivamente a guidare Coop verso la sopravvivenza al tentato omicidio del nano mandato da Bob, opponendosi quindi al piano malefico della creatura più simile a lui. Le intenzioni reali dell’albero restano ancora annebbiate, ma potrebbe valere anche per lui la teoria del doppleganger all’intero della loggia, come suggerito dal collega Marsha Bronson. In questo modo avremmo due alberi, uno positivo e uno negativo, che agiscono per fini diametralmente opposti.


Torniamo quindi a Twin Peaks, precisamente al Great Northern hotel, in cui una collaboratrice della famiglia Horne non riesce a trovare la fonte di un rumore sinistro in una delle stanze dell’edificio. I casi plausibili possono essere due: potrebbe trattarsi di un individuo fisico nascosto in uno dei corridoi segreti dietro le pareti - di quelli utilizzati da Audrey nella serie originale, per intenderci - oppure il suono potrebbe essere legato al personaggio di Josie, deceduta senza apparenti motivi venticinque anni prima. Come sappiamo, e come ci è stato confermato da Pete Martell nell’ultimo episodio della seconda stagione, qualcosa di Josie è rimasta nell’hotel al momento della dipartita, qualcosa che ha lasciato alle sue spoglie mortali l’irrisorio peso di 29 chili. Io propendo maggiormente per la seconda ipostesi che, oltre ad essere sicuramente più suggestiva, meglio si sposa con la natura metafisico-mistica del suono udito della collaboratrice. Anche se la reazione di Benjamin Horne, quasi consapevole della natura del suone e senza dubbio meno preoccupato della donna, potrebbe stare ad indicare la natura più terrena dell’evento. Nel caso in cui Josie tornasse in questo modo dopo una scomparsa inspiegabile e poco contestualizzata, Lynch andrebbe ulteriormente, infinitamente elogiato per essere riuscito a connettere alla trama metafisica principale un altro personaggio in origine totalmente slegato.

Attenzione ad Andy

Ci sarebbe ancora molto di cui discutere, teorie da proporre, voli pindarici da intraprendere, ma credo che con questo poche riflessioni abbiamo toccato i cardini dell’episodio più ricco di eventi significativi dell’intera terza stagione finora. Twin Peaks sta confermando la superiorità di un’artista unico alla regia, senza dimenticare di portare aventi una narrazione convincente, condita dai giusti riferimenti all’opera di partenza. In questo settimo episodio tutto risulta bilanciato alla perfezione in un’atmosfera tra il magico e il realistico, tra l’oscuro e il meraviglioso.



Piccola nota a margine:

Lynch stesso, nel personaggio di Gordon, ci dà un accenno di spiegazione per la vicenda creazione e smaterializzazione dei finto Dougie Jones nel terzo episodio. L’agente dell’FBI, in un dialogo pressoché fuori contesto con l’agente Tammy, individua nell’anulare sinistro il dito spirituale. Questo è meta-metacinema. Ed è poeticamente fantastico.

venerdì 16 giugno 2017

UNA DOPPIA (POST) VERITÀ

La parola di questo 2017 finora è stata “Post-verità”. Un concetto innovativo per un fenomeno fin troppo ordinario: la secondarietà dei fatti rispetto al racconto che se ne fa. Da destra e da sinistra e da Grillo hanno attaccato questo fenomeno, puntando il dito contro chi alimentava macchine della disinformazione, quando in larga parte tutti ci basiamo su post-verità nella costruzione dei nostri pensieri, perché effettivamente la macchina sociale, al giorno d’oggi, occupa un ruolo di primaria importanza, che arriva a superare di gran lunga la fattualità, ritenuta ormai un decoro del fatto sociale. 


Una doppia verità” contestualizza in una situazione particolare il concetto di post-verità. L’avvocato Richard Ramsay, interpretato da Keanu Reeves, è incaricato di difendere il diciassettenne Mike Lassiter dall’accusa di aver ucciso brutalmente il padre. Il ragazzo è stato trovato inginocchiato accanto al corpo del padre e le sue impronte erano le uniche presenti sul coltello conficcato nello sterno dell’uomo. Un caso giudiziario a senso unico, eppure Ramsey, coadiuvato dalla giovane avvocatessa Janelle Brady, tenterà in ogni modo di convincere la giuria dell’innocenza di Mike.


Attraverso una struttura lineare e solida, caratterizzata da un’invidiabile coerenza narrativa e stilistica, il film ricostruisce gli eventi che hanno portato alla morte di Boone Lassiter e lo fa delineando dei profili ben precisi attraverso dei flashback che si ripresentano in diverse versioni a seconda dell’individuo che sta testimoniando in quel momento. Non siamo mai certi della caratterizzazione che ci viene mostrata perché essa è sempre filtrata dagli occhi del teste. Eppure una di queste versioni dei fatti dovrà essere accolta come verità da una giuria di uomini, predisposta a valutare l’essenza della realtà dei fatti. Il film si sviluppa come un gioco di scatole cinesi in cui dentro una verità c’è sempre il particolare che smonta la verità stessa e il quadro definitivo non può che essere un frastagliato ritratto degli eventi, nulla a che vedere con la realtà dei fatti. Eppure le verità sembrerebbero molteplici. Ogni narrazione potrebbe assurgersi a verità, ma la giuria, in ogni frangente, non ha mai abbastanza dati a disposizione da poter eliminare completamente la componente soggettiva della valutazione.



La metafora giudiziaria è perfetta per dare una rappresentazione della situazione odierna nell’ambito dell’informazione di massa. La giuria rappresenta il nostro altarino personale, sul quale saliamo a giudicare la realtà dei fatti e a scegliere la verità. I testimoni sono invece le influenze che quotidianamente subiamo e che spingono perché noi abbracciamo una determinata versione della realtà, indubbiamente condizionata da altri fattori, tra cui spicca la protezione della faccia di ciascuno; elementi certamente legati alla soggettività di qualcuno o di un gruppo. Interessante è anche l’aspetto collettivo della giuria, che tende a generalizzare un concetto o una scelta nell’ambito della post-verità per farne bandiera di un gruppo, al quale spesso non appartiene nessuno, di cui però tutti sentono l’influenza. Nel nostro essere animali sociali, non possiamo rifiutarci di scendere a patti con la post-verità, che è ormai parte integrante del dibattito pubblico. L’elemento soggettivo di partenza si smaterializza nella coesistenza sociale della giuria che abbiamo formato per decretare la verità e ritorna solo successivamente, per confrontarsi con la decisione assunta ormai come assoluta. Questo meccanismo, per certi versi naturale, mostra la sua pericolosità quando anche le fondamenta della scelta collettiva non rispecchiano una verità. In questi casi l’esito finale non può che essere un artificio lontano da tutto ciò che è reale e storia. E quando le verità comuni, poste a fondamento della società, crollano sotto i colpi dei fatti, gli individui perdono il senso della loro produzione di idee collettive. Non resta che la dimensione del sospetto a riempire le pieghe di un dialogo sterile che ha perso la verità, e forse non l’ha mai avuta. 

martedì 13 giugno 2017

TWIN PEAKS 3 - EPISODIO 6

Puntata complessa quella andata in onda la notte tra domenica e lunedì, ricca di eventi all’apparenza minori, slegati dalla storyline principale, che invece alimentano uno sviluppo ad albero molto intricato, in cui i rami s’intrecciano e si sfiorano in molteplici frangenti. Ancora una volta risulta necessario aver visto, interpretato e approfondito tutti gli elementi della serie, dalle prime due stagione a "Fuoco cammina con me", per arrivare ai Missing Pieces, tassello fondamentale che sottolinea ancora una volta la distanza tra Lynch e il progetto che effettivamente fu realizzato dopo la rivelazione del ’91.


La struttura del sesto episodio segue quella dei precedenti: una serie di 3/4 eventi principali intervallati da scene d’intermezzo che rimandano ai temi fondanti della serie con un colore, un simbolo, un suono. Spesso il fulcro dello sviluppo è legato proprio a queste brevissime sequenze. Bisogna quindi prestare attenzione ai particolari dei riempitivi più insignificanti per cogliere il senso di un delirio metafisico senza eguali.
L’episodio torna a mostrarci le disavventure di Dale Cooper nei panni di Dougie Jones, ancora incapace di prendere pienamente coscienza di sé. In “aiuto”di Coop torna Mike, che l’agente dell’FBI rivede in una reale sequenza onirica. Questo ci conferma che tutti i segnali della loggia nera, che stanno permettendo a Cooper di galleggiare fino alla rinsavita sono frutto della volontà di uno o più spiriti della loggia nera, tra cui Mike. È un vero e proprio conflitto quello che vede Bob opporsi ai suoi simili nel tentativo di mantenere le spoglie umane. Un conflitto di cui ci è stato dato solo un assaggio nei primi episodi e che esploderà probabilmente per mano degli stessi uomini, i tramiti in questo momento tra gli abitanti della loggia.
“Wake up” e “Don’t die” sono le due frasi ripetute dall’immagine di Mike nel caminetto. Non ci sono dubbi particolari sul significato delle due, solamente la conferma che lo stato di dormiveglia dell’agente Cooper sia frutto di una sorta di malfunzionamento del processo di materializzazione del protagonista nel corpo di Dougie e che Mike, dall’atteggiamento assunto, sembra non essere preparato ad un effetto così prolungato. Che sia una conseguenza degli eventi dell’anticamera del mondo reale, quello spazio con la donna dagli occhi cuciti?


Dalla scena del dialogo tra Richard Horne e Red, l’uomo seduto al tavolo del primo episodio, possiamo dedurre che il rampollo di casa Horne non sia restio a seguire le orme di Benjamin, con una spruzzata di Bobby Briggs, e che i gusti di Shelly in fatto di uomini non siano poi cambiati molto nel corso degli anni. In realtà è lo sviluppo di questa sottotrama, e il rapporto che essa intrattiene con le azioni di Carl Rodd, che meglio si presta ad un discorso speculativo. Carl Rodd, personaggio presentato originariamente nel film FWWM, vive ancora nella zona di servizio delle roulotte e passa le sue giornate a Twin Peaks, seduto su una panchina. Nel momento in cui, lo stesso giorno degli eventi riguardanti Richard Horne, sta per salire sul pickup che lo porterà in città, viene fermato da un altro uomo residente nella zona che gli chiede un passaggio per Twin Peaks. Al di là dell’utilità relativa di questo personaggio, sono le parole che dice a riabilitarlo nell’ordine della trama; fa infatti riferimento a sua moglie Linda. Torna quindi a tenere banco il secondo enigma del gigante, che nominava esplicitamente i nomi di Richard (Horne) e appunto Linda. I due personaggi chiave della profezia sembrano essere stati individuati, non ci resta che aspettare e vedere come entrino nella trama principale legata a Cooper.
Una volta a Twin Peaks, Carl Rodd vede verificarsi un incidente stradale di una violenza immane: lo stesso Richard Horne, sotto l’effetto di stupefacenti, investe un bambino che attraversava la strada con la madre, prima di fuggire via. Carl Rodd assiste alla scena e sembra essere in grado di cogliere alcuni elementi metafisici, come l’anima del bambino che, sottoforma di fiammella si alza verso il cielo. Ciò potrebbe indicare un collegamento ancora attivo tra Carl e la dimensione della loggia, anche dopo gli eventi di FWWM. Altro dettaglio particolare, che potrebbe essere sfuggito ai più è il palo del sistema elettrico presente nei pressi dell’incrocio dell’incidente, che era già stato mostrato nel quarto episodio per pochi secondi, senza una reale giustificazione della cosa.
I numeri alla base del palo sono:

3 2 4 8 1 0
6

nel dubbio che possano significare qualcosa.
Il rimando ad una scena precedentemente mostrata, il coinvolgimento di Richard e di elementi metafisici della loggia lasciano pensare che l’incidente sia avvenuto grazie alla facilitazione di uno spirito, il quale starebbe tentando di far arrivare lo sviluppo delle azioni del personaggio di Richard Horne ad un epilogo ben preciso o ad un incontro specifico, magari proprio con Linda, magari attraverso Miriam, che vede il volto del ragazzo mentre fugge dalla scena dell’omicidio.


Morto un nano se ne fa un altro. Dopo l’allontanamento forzato del nano della loggia nera da questa terza stagione, torna in scena un altro nano, stavolta un killer che uccide senza pietà munendosi di un punteruolo. Uno dei suoi obiettivi è proprio Dougie Jones e dietro il commissionamento di questi omicidi potrebbe esserci ancora Bob, che, ormai ne siamo a conoscenza, in questi venticinque anni ha creato un vero e proprio esercito di collaboratori dediti alla delinquenza. L’incontro tra Coop e il nano con il punteruolo rotto è vicino.


L’episodio si chiude infine con una rivelazione fondamentale: Hawk riesce finalmente a decifrare il messaggio del ceppo e trova, nascoste in una porta del bagno del commissariato di Twin Peaks, delle pagine che sembrano essere le pagine strappate dal diario di Laura Palmer, altro meraviglioso rimando a FWWM, nel caso in cui la cosa fosse confermata. Questa scoperta, forse vero tassello mancante nella ricostruzione di Coop all’epoca delle indagini su Laura, potrebbe davvero dare un nuovo senso al manipolo di personaggi che ruota attorno al commissariato, a partire dallo stesso Hawk e dal nuovo, magnetico sceriffo Truman.


Ma il momento più alto della puntata, che ho volontariamente omesso nella ricostruzione temporale degli eventi, è la rivelazione dell’identità della donna che potrebbe aiutare Albert e Gordon nelle indagini sul nuovo Coop: non si tratta della donna ceppo, né tantomeno di Audrey Horne, ma di Diane, personaggio mitologico di cui, ancora oggi, dopo ventisette anni dall’esordio della serie, non eravamo sicuri della reale esistenza. La soluzione era semplice e la voce della coscienza di Cooper potrebbe davvero indirizzare le indagini verso una soluzione definitiva.



I tasselli s’incastrano, i rami continuano a toccarsi. L’opera della storia della televisione ridà un senso all’arte.

sabato 10 giugno 2017

AMORE E NICHILISMO - MASTER OF NONE 2

La seconda stagione dell’opera di Aziz Ansari e Alan Yang si colloca in un contesto saturo di idee e modi, eppure riesce a ritagliarsi uno spazio di originalità, una cifra stilistica che, combinata con intenti lontani dal gusto del genere, fonda le basi di un prodotto unico, inimitabile.


L’amore e il nichilismo sono i due poli che delimitano lo sviluppo della storia di Dev. Nel mezzo la vita, la quotidianità, i traguardi lavorativi, il razzismo americano. Se la prima stagione si poneva come obiettivo quello di scavare a fonde nella vita di uno statunitense di origini indiane, in questa seconda la discriminazione viene allargata e al contempo ridimensionata nel più ampio respiro della serie. Si percepisce la volontà di farne un filo conduttore della narrazione - come ad esempio nell’episodio “New York, I love you” - ma la portata del peso dei luoghi comuni viene ridotta dalla grandezza della trama principale. Quasi a voler normalizzare la discriminazione quotidiana. E forse proprio questa tendenza amplifica il rumore del grido muto delle minoranze, in un’America che va verso il disprezzo.


L’amore è quello che Dev cerca per superare il trauma della fine dell’idillio di Rachel, è quello che il protagonista ricerca invano per intere puntate per poi accorgersi di dover tornare al punto di partenza, al primo meraviglioso episodio in un nostrano bianco e nero per ritrovare Francesca, la tenera ragazza italiana alla ricerca di una via di fuga da un futuro già scritto. Il nichilismo è il peso che ogni puntata porta con sé e talvolta cerca di nascondere dietro una maschera di comicità. È la mancanza di un senso che spinge i protagonisti  prima correre senza una meta, poi a rallentare, infine a fermarsi per cercare di ridare una direzione al loro essere. Il nichilismo pervade ogni momento in cui la telecamera si posa sullo sguardo affranto di Dev, ogni volta che una silenziosa solitudine rompe la dialettica del protagonista, ogni vuoto che queste immagini mostrano. Master of None si costruisce sulle parole, sugli sguardi e sulle situazioni, ma anche e soprattutto sulle mancanze che spiccano al di sopra delle certezze, e quando queste certezze vengono a crollare, sia in campo lavorativo che privato, allora non resta che il vuoto di una vita che si alimenta di troppe finzioni, a partire dal rapporto d’amicizia tra Dev e Francesca, a partire dalla risposta che il protagonista offre a Rachel nell’ultimo episodio. Il nichilismo è il nulla che si apre alla fine di un percorso che ci mostra i frutti putrescenti di una storia all’apparenza lineare. Il nulla di Master of None è quello della nostra società vuota di certezza, che tenta di aggrapparsi ad un’idealizzata immagine del passato per costruire un futuro di menzogne, che manca di basi per essere all’altezza della aspettative di cui ci siamo convinti. E un giorno ci ritroveremo a fare i conti con il tempo e le finzioni che abbiamo costruito perché non ci pesasse il mondo.


Il realismo dell’opera di Ansari e Yang non manca di colpire allo stomaco lo spettatore con un finale opposto al gusto delle commedie romantiche, costruito in un doppio episodio della durata complessiva di un film. Due episodi dal titolo italiano mantenuto anche in originale: “Amarsi un po’” e “Buona notte”. La tristezza sale verso un finale che viene tinteggiato di grigio a partire dal momento della rivelazione, per andare a rincarare la dose dello sconforto in un realismo che non è come vorremmo. Ma quando sembra non restare nulla, ecco un cliffhanger che anticipa una terza stagione non meno malinconica, non meno problematica. Basta uno sguardo a riaccenderla fiamma.


Una serie che nasce con l’intento di far sorridere lo spettatore sullo sfondo di tematiche sociali significative è maturata fino a toccare l’abisso dell’animo umano. Quando ciò accade è impossibile non riconoscere i meriti di una produzione impeccabile, in primis Aziz Ansari, vero cuore di un piccolo capolavoro. L’intera seconda stagione inoltre è caratterizzata da un forte impianto cinematografico che fa dei vari episodi una sorta di mediometraggi prestati al mondo della televisione. Le luci accarezzano gli attori, le inquadrature gettano lo spettatore direttamente negli interni della serie, New York innevata è qualcosa di magico. Il tutto al servizio di uno spaccato drammatico della nuova vita che ci siamo creati, in cui tutto sembra sotto il nostro controllo, il futuro, eppure non siamo maestri di nulla.

We are what we are, Masters of None.

mercoledì 7 giugno 2017

TWIN PEAKS 3 - EPISODIO 5

Pur essendo arrivati alla terza settimana di visione, Twin Peaks non perde la sua carica e l’emotività che si trascina dietro, fin dalle prime note della sigla. Annoiarsi è molto difficile, abituarsi al revival di Lynch è impossibile. Il quinto episodio prosegue il rallentamento intrapreso la scorsa settimana e si propone di ampliare il quadro in attesa di una svolta nella trama principale. Le questioni più importanti, che avevano occupato questo blog in teorizzazioni improbabili, vengono quindi accantonati per lasciare spazio a brevi intermezzi - talvolta comici - indirizzati a coinvolgere nella narrazione nuovi personaggi o a riportare sullo schermo vecchie glorie del calibro di Nadine, Mike o Norma.


L’apparente leggerezza degli eventi, che si articolano in una serie di scene spesso scollegate tra loro, si traduce nella possibilità di tornare all’ironia classica della serie, senza che questa stoni con una trama principale che sembra abbracciare un tono più cupo. Due sequenze su tutte: la riunione di Coop-Dougie e la televendita complottista di Beppe Jacoby. Esilaranti e in linea con lo spirito dell’autore.


Nonostante il concetto di utilità ai fini della trama sia relativo in questo episodio, vengono comunque lasciati alcuni indizi utili alla ricostruzione di un quadro generale della narrazione che si richiamano ad elementi precedentemente introdotti e, sorvolando sulla possibilità di una comprensione immediata della realtà (metafisica), è necessario fare il punto su quanto mostrato.
La puntata si apre con una donna che, digitando “argent 2” su un datato Blackberry, attiva un dispositivo a distanza. Soltanto nelle sequenze conclusive abbiamo un’evoluzione della faccenda, quando Bob, sotto mentite spoglie, utilizza la telefonata dal carcere per destabilizzare il sistema di sicurezza e interagire nuovamente con la scatola nera, che veniamo a sapere essere situata a Buenos Aires. La scatola quindi scompare e la situazione nel carcere del South Dakota sembra tornare alla normalità. Ci ancora probabilmente impossibile affermare con certezza la natura della scatola nera e la sua funzione, ma possiamo avanzare un paio di considerazioni. Innanzitutto l’elettricità, che si dimostra essere ancora un elemento naturale “al servizio” dell’entità della Loggia Nera (FWWM). La donna mostrata all’inizio dell’episodio era stata probabilmente istruita da Bob per attivare il sistema della scatola in caso di cattura, e questo potrebbe farci dedurre che, seppur non come ipotesi più probabile, Bob abbia calcolato la possibilità di finire in carcere al momento dell’uscita dalla loggia di Cooper. Potrebbe addirittura trattarsi di una parte fondate del piano, forse volta a riacquistare la fiducia delle persone che un tempo erano in contatto con l’agente dell’FBI. Altro dettagli interessante da notare è la modalità di scomparsa della scatola, che sembra del tutto simile al modo in cui Dougie è tornato ad essere una sfera dorata una volta rientrato nella Logga Nera. Siamo ancora lontani dalla soluzione ma alcuni elementi cominciano a tornare.


Dopodiché l’azione si sposta nuovamente sul caso della bibliotecaria Ruth Davenport: scopriamo che all’intero dello stomaco del corpo dell’uomo nascosto sotto le lenzuola è stato rinvenuto un anello che Dougie avrebbe ricevuto dalla moglie. Successivamente, in una scena incentrata sull’agente Tamara dell’FBI, veniamo a sapere che sono state trovate nuovamente delle impronte riconducibili al maggiore Briggs nell’ambito delle indagini legate all’omicidio di Ruth Davenport. Non è chiaro il rapporto che potrebbe legare la città di Buckhorne a Dougie e al maggiore Briggs, il quale era stato dato per defunto nel periodo tra la seconda e la terza stagione, più precisamente poco tempo dopo la fine della seconda. Partiamo dal presupposto che Dougie, in quanto creazione di Bob - o di un’altra entità della Loggia Nera - potrebbe aver agito seguendo le indicazioni di altri. ma sappiamo anche che, sulla base degli eventi del secondo episodio, è stato probabilmente Mr. C a uccidere la bibliotecaria. Si potrebbe verificare la coincidenza per cui i due cadaveri non siano  opera della stessa mano, ma il doppelganger di Dougie potrebbe aver ucciso l’uomo e poi Bob lo avrebbe incastrato nell’omicidio di Buckhorne. Ma Dougie, per quello che abbiamo potuto capire, è sempre stato un essere innocuo, probabilmente amorale, ma innocuo. Un efferato omicidio ad opera di Dougie si spiegherebbe con la necessità impellente di eliminare chi ha scoperto o è in procinto di scoprire la vera natura del personaggio, e questo avvalorerebbe la tesi secondo cui il corpo dell’uomo rinvenuto accanto alla testa di Ruth Davenport sia proprio quello del maggiore Briggs che, sopravvissuto all’incendio, sarebbe arrivato a comprendere il piano di Bob e che per questo ci avrebbe rimesso la vita.


Dopo una serie di sequenze focalizzate sullo sviluppo tragicomico delle disavventure di Cooper, ancora sfasato rispetto al reale, ma più vicino a seguire gli indizi inviati dalla loggia, la narrazione si sposta a Twin Peaks, dove facciamo la conoscenza di due personaggi che potrebbero rivelarsi fondamentali per lo sviluppo della trama: Becky, figlia di Shelly, e Richard Horne. Becky è il personaggio che più finora si è avvicinato al ricordo di Laura Palmer e a tutta la questione della tossicodipendenza. Richard Horne invece, nei pochi minuti in cui appare, destabilizza per la violenza con la quale si muove e ricorda da vicino sia l’attività criminale dei giovani Bobby e Mike, sia alcuni atteggiamenti tipici degli abitanti della loggia nera. non è chiare quale grado di parentela lo leghi alla famiglia Horne, ma credo che sia un’anticipazione dell’ingresso in scena di Audrie, la milionaria che potrebbe aver finanziato la scatola di vetro a New York, la donna che potrebbe essere la chiave per sciogliere i dubbi di Gordon e Albert. Immagino che la scapestrata Becky, come richiamo diretto all’iconica Laura, possa giocare un ruolo chiave nella narrazione principale, e non mi stupirei se proprio lei finisse in qualche modo rapita da Bob nella loggia nera, al pari di Annie.



La quinta parte dell’operazione “revival” mostra di avere meno sostanza degli episodi precedenti, ma non cala assolutamente né dal punto di vista tecnico, né da quello narrativo. Alcuni momenti rischiano di pesare più di altri, ma credo ciò sia anche dovuto al fatto che per la prima volta dall’inizio della terza stagione ci troviamo a confrontarci con un solo episodio settimanale, peraltro scarno. Credo che un rewatch al termine dell’intera terza stagione possa ridare al quinto episodio l’appetibilità che non sempre ha saputo mantenere.

Richard (Horne) e Linda