martedì 26 settembre 2017

DOCTOR STRANGE - UN CAPOLAVORO FUORI TEMPO MASSIMO

In piena fase tre del MCU è tempo di bilanci sulla nuova generazioni di eroi chiamata a sostituire gli storici Avengers. Se la fase uno, con le sue debolezze, aveva rappresentato un’innovazione in ambito cinematografico, alla ricerca del connubio tra serialità e settima arte, e la fase due aveva segnato la rottura dei canoni attraverso pellicole in grado di coinvolgere i protagonisti di film differenti, la fase tre si fa carico dell’arduo compito di bissare il successo delle origini per riciclare un format attraverso nuovi personaggi, perlopiù sconosciuti al grande pubblico. È questo il caso del Doctor Strange, al quale è stato dedicato un lungometraggio per approfondire lo origini del personaggio, uscito lo scorso ottobre.


Il film in questione rappresenta l’ennesimo prodotto che tenta di restringere le peculiarità di un personaggio cartaceo nella dimensione che la Marvel ha scelto come standard per i suoi lungometraggi. Siamo quindi introdotti ad un’ulteriore fronte della lotta alla malvagità, stavolta a cavallo tra questa e svariate altre dimensioni alternative. Ci viene mostrata inizialmente un’istantanea dei “cattivi” e delle loro malefatte, poi vediamo il classico eroe-antieroe, modellato sul filantropico Stark, che vive un’esistenza piena ma mancante di una componente fondamentale a lui ignota. Una serie di sfortunati eventi lo costringono alla rottura della sua routine e ciò lo porta ad apprendere arti magiche prima per guarire da un terribile incidente, poi, visti i risultati stupefacenti nella padronanza dei poteri dimensioni, per contrastare i “cattivi” di cui sopra. Inutile dire che l’epopea si concluda con una vittoria schiacciante del bene e un lieto fine in cui il Dottore diventa finalmente il supereroe della locandina del film, ritrovando il tassello mancante alla sua vita.


La trama lineare tende a seguire il ritrito movimento dialettico tesi-antitesi-sintesi che ha fatto la fortuna della casa produttrice e che da sempre rappresenta un modello efficace per la realizzazione di trame appassionanti, ma, a distanza di dieci anni dall’uscita del primo film della fase uno, non mi ritengo più in grado di resistere ad un altro, l’ennesimo more-of-the-same che cambia gli ingredienti ma non muta il risultato. Questo film in particolare ha degli elementi distintivi che potrebbero renderlo unico nel suo genere: una computer grafica strabiliante, l’introduzione di un potenziale multiverso narrativo, un’ambientazione alternativa (sulla scia di “Batman Begins”). Ma queste caratteristiche peculiari non bilanciano un gusto stucchevole nella bocca e negli occhi dello spettatore, che ha ormai fatto il callo al format dei film sulle origini e non sopporta la ripetitività di un universo cinematografiche che si morde la coda. Non è plausibile una voglia di emozioni nuove in presenza del medesimo schema narrativo, che ci rende consci dello sviluppo degli eventi ore prima che questi avvengano realmente. In questo modo viene svuotata la componente emotiva, che in un prodotto fantasy-action è tutto.



E tuttavia, d’altra parte, ciò che bisogna dire, e che tutti sanno del resto, riguarda una considerazione sulla qualità assoluta di questi titoli. Con il passare degli anni infatti il MCU ha fatto passi da gigante nella cura dei particolari, negli easter egg che regalano momenti di pura libido e soprattutto nella messa in scena di un mondo ideale che, se non supportata dei giusti mezzi, si sarebbe rivelata essere la cornice di una sceneggiata sopra le righe. Doctor Strange poi raggiunge vette notevoli per quanto riguarda la realizzazione tecnica delle varie ambientazioni che fanno da sfondo alle vicende e la trama denota spunti d’interesse che esulano dalla comune lotte tra bene e male, con delle sfumature variegate. Ricordo il 2008 come se fosse ieri; l’esaltazione collettiva per l’inizio di un imperdibile percorso condiviso. Se “Doctor Strange” fosse uscito dieci anni avremmo gridato al miracolo, un capolavoro del suo genere, la rivoluzione che il mondo dei cinecomics stava aspettando da sempre. Ma la differenza tra il 2008 e il 2017 la fanno decine di pellicole che non hanno saputo ritagliarsi uno spazio d’originalità accettabile, e del Dottore resterà solo qualche effetto speciale. Non siamo più fisiologicamente in grado di stupirci per questo boccone rimasticato, che ha ormai perso troppo del suo sapore.

venerdì 22 settembre 2017

CHESTER BENNINGTON E IL SUICIDIO DI KUTNER

È stato un colpo durissimo. Parlarne ora non vuol dire aver dimenticato di farlo prima, ma aver aspettato di maturare alcune idee costruttive, per quanto sia possibile ragionare a mente fredda sul suicidio. La chiave di lettura della vicenda, dal nostro punto di vista, nasce dalla convinzione errata di conoscere le persone celate dietro maschere dello show business. Crediamo di comprendere i sentimenti di un individuo sulla base di una sua produzione, di un suo atteggiamento, quando nella teatralità dei vari ambiti artistici essere se stessi diventa ogni giorno più complesso.



La notizia ci ha colpiti con violenza inaudita e subitamente ci siamo mossi per comprendere le cause del gesto. Abbiamo fornito le più disparate argomentazioni, che tendevano tutte a convergere verso uno stato di depressione diffuso e duraturo. È stato il divorzio con la seconda moglie a dargli il colpo di grazia. No, è stata la morte dell’amico Chris Cornell a spingerlo al suicidio. Neanche, sono sicuro siano stati gli stupri subiti in gioventù. Era segnato da tempo, non ha mai superato i drammi di un’infanzia tragica. Ecco la nostra risposta - o le nostre, a seconda dell’ipotesi a cui scegliete di credere. Credevamo di conoscerlo in vita e abbiamo mantenuto la stessa presunzione anche dopo la morte. Perché il cantante dei Linkin Park era nostro, di quelli che anni fa si passavano gli AMV di Dragon Ball con il bluetooth, di quelli che impararono per la prima volta un testo inglese a memoria con Numb, ma Chester Bennington era solamente di Chester Bennington e forse neanche suo.



Pochi giorni fa è uscito sul canale YouTube dei Linkin Park il video ufficiale del singolo che dà anche il nome all’ultimo album: “One more light”. Si tratta di un tributo al frontman scomparso, un video che lo vede protagonista tra passato recente e remoto, tra l’uomo che era e il ragazzo che era stato. Biondo come Justin Timberlake, poi rasato. Senza le fiamme sugli avambracci, poi con. Sorridente e scherzoso, emozionale, eppure malinconico. In alcune immagini gioioso, in altre pensieroso, come Kutner.
Lawrence Kunter è stato uno dei più atipici membri del team del Dr. House. Solare, energico, ingenuo, magnanimo. Eppure, nel ventesimo episodio della quinta stagione, viene ritrovato da Foreman e Tredici riverso sul pavimento del suo appartamento con un foro di proiettile in testa e una pistola in mano. House non riesce a capacitarsi del gesto del collega e spende la maggior parte del tempo in servizio a cercare una spiegazione alternativa che contempli l’omicidio, ma nessuna delle sue ipotesi riesce a stare in piedi per più di pochi secondi, nonostante le abilità deduttive del personaggio. House quindi comincia a scavare negli effetti privati di Kutner per dare un senso ad una perdita insensata, e solo infine, tra centinaia di immagini che lo ritraggono sorridente, riesce a trovare una foto in cui il ragazzo abbassa lo sguardo, pensando probabilmente di non essere notato. Non serve aggiungere altro: House intende di non essere stato in grado di comprendere l’oscurità celata dentro Kutner, un’oscurità che non nasce da un evento in particolare, ma che si sviluppa a partire da una vita e cresce al passo con essa. Non resta che ammettere il muro del senso che ci impedisce di arrivare fino in fondo ad una soggettività, che sia essa quella di Kutner, che sia la nostra.




A volte la depressione, il suicidio nascono da uno stato di cose, non da un evento che noi esterni possiamo catalogare per rendere più comprensibile la realtà. La logicità calcolatrice fredda e ingiuriosa di chi è spettatore lascia solo una fastidiosa scia di parole che non sono in grado di spiegare questa realtà. A volte bisogna accettare la propria limitatezza e non violentare la memoria collettiva per convincersi ancora di conoscere chi ormai non è più. Possiamo solo limitarci ad onorare una grande voce in un essere umano complesso.

giovedì 21 settembre 2017

AMARE IL MATERIALISMO


È bizzarro l’amore che possiamo riservare ad un oggetto. Inerme, non ci restituisce nulla.

È l’arcano della merce a dare senso al tutto. Dietro ogni particolare si nasconde silente un tempo accumulato che non vediamo, ma di cui subiamo il fascino. È il nostro tempo, o il tempo altrui, a dare valore al mondo materiale. La nostra moneta più preziosa è quest’attimo senza tempo che raccoglie il passato. Amare il materialismo, l’amore del tempo non prova vergogna.

giovedì 7 settembre 2017

TWIN PEAKS 3 - FINALE

Lynch confeziona un doppio finale, che non smette di richiamarsi al tema e del doppio e proprio per questo tiene a far valere la sua duplicità: da una parte la conclusione di una storia ricostruibile attraverso gli elementi forniti, dall’altra pura dispersione metafisica tra presente, passato e alter natività, che si fonda su premesse variabili. Per tentare di dare un senso alle meravigliose immagini che seguono il cammino dell’eroe, è necessario entrare più in profondità di quanto sia stato fatto finora, analizzando i dialoghi parola per parola, scomponendo le interazioni in espressioni, movimenti, intenzioni; ricostruendo  la temporalità e la spazialità di ogni inquadratura nel continuum spezzato di questo finale.


Prima di addentrarci nel doppio episodio, per seguire meglio il filo del discorso, è bene ricordare gli indizi che il Fireman aveva offerto a Cooper nel primo episodio della terza stagione:

Remember 4-3-0

Richard and Linda

Two birds with one stone

Gordon ci rivela un ulteriore dettaglio sulle sparizioni degli agenti della sezione Blue Rose: gli agenti scomparsi erano sulle tracce di - o sono entrati in contatto con - Jowday, poi diventata Judy, un’entità infinitamente malvagia comparsa anni prima. Il fatto che Judy sia “comparsa” collega quest’entità alla generatrice di Bob, il soggetto prodotto dall’esplosione nucleare del ’56.


Vediamo poi Bob giungere finalmente alle coordinate indicategli dalla tulpa Diane. Come previsto, il suo obiettivo era raggiungere il Fireman nella loggia bianca, ma la differenza di potere tra le due entità permette al gigante di incatenare Bob e di teletrasportarlo direttamente alla stazione di polizia di Twin Peaks, sfruttando quindi a suo vantaggio la mossa a sorpresa dell’entità maligna. Il conflitto finale si risolve come potevamo aspettarci, con Freddie che fa valere le possibilità del suo guanto magico e disintegra definitivamente la sfera di Bob, impedendogli di tornare nel corpo di Cooper.
Arrivato in scena proprio per sventare il piano finale di Bob, il vero Cooper, finalmente rinsavito, nota Naido con una certa espressione del volto, la quale viene fissata sull’etere della macchina da presa e fa da accompagnamento per tutto il resto della scena, come se la vista di quel’essere avesse risvegliato in Coop la consapevolezza di una realtà più profonda.
Naido si rivela essere quindi Diane, dopo aver sfiorato la mano di Coop. Non è ancora chiara la dinamica di questo scambio di persona, ma alcuni indizi sciolgono dubbi delle precedenti puntate. Eravamo in precedenza indecisi sul momento in cui Diane fosse stata sostituita da una copia, ora abbiamo una certezza maggiore, ossia che Diane potrebbe essere stata condotta nella loggia nera per farne una copia e da qui sarebbe tornata nel mondo reale il doppelganger, ma lo spirito di Diane non sarebbe stato reinserito in un essere dalle fattezze pressoché identiche, ma in Naido. Ella poi, funzionale al progetto del Fireman, sarebbe stata trasferita nell’anticamera della loggia bianca, per farne lo strumento che si è poi rivelata. Il legame di Diane al progetto della loggia bianca lascia quindi intendere che la donna fosse già un doppleganger prima dell’incontro con Bob. Dai nomi dei due personaggi potevamo arrivare ad intendere il loro legame con un certo anticipo:

N A I D O
D I A N E


Ancora con il volto di Cooper in sottofondo, vediamo lo stesso Coop rivolgersi ai presenti dicendo: “Now there are some things that will change. The past dictates the future”. Il tempo si ferma e il volto sbiadito annuncia: “We live inside a dream”.


La scena si sposta in un luogo dallo sfondo nero, molto simile a quello del primo episodio, che fa da cornice all’incontro di Cooper e Mike. Non si tratta di una loggia perché possiamo udire Mike parlare fluentemente. Egli riprende un topos della serie originale, riscava nei meandri delle nostre memorie per svelarci il significato di un’espressione che per anni abbiamo tentato di interpretare: “Trought the darkness of a future past the magician longs to see. One chants out between two worlds: fire walk with me”. Avevamo creduto che il riferimento ai due mondi fosse un richiamo alla realtà e al regno delle logge, ma dobbiamo spingerci a guardare oltre le apparenze di questo sogno. Colui che canta una canzone tra i due mondi, che credevamo essere Leland Palmer, è in realtà qualunque entità superiore, che veniamo a sapere sopravviva oltre il tempo e la dimensione. Le logge esistono in ogni realtà possibile in modo trasversale e questo dà una prova concreta della loro apparente onniscienza su alcuni eventi. Soprattutto se si considera il fatto che la dimensione che abbiamo creduto reale era solamente un sogno, che le due logge conoscevano fin dal momento in cui era stato creato. Ma chi è il mago che arriva a vedere oltre la scansione comune del tempo? La prima frase ci dà una possibile interpretazione sull’identità ideale del sognatore che regge la finzione di Twin Peaks, ma prima dobbiamo chiederci: quale sogno potrebbe richiedere l’attenzione e la presenza delle logge al suo interno? Potrebbe trattarsi si una soluzione filosoficamente classica, quella del demiurgo che anticipa il mondo stesso e sulla cui volontà si generano il creato e lo scibile. Ma una soluzione alternativa, della quale vi parlerò successivamente, appare più interessante nella struttura della trama.
Il fuoco e solamente uno dei due elementi che appartengono alla realtà delle logge e che seguono gli uomini nel loro cammino. L’altro è l’elettricità che permette a Mike di condurre Coop al cospetto di Phillip Jeffries, che lo stesso Gordon ha confermato essere ormai un’entità metafisica. Phillip asseconda la richiesta di Cooper, preparandogli un canale di collegamento per il 23 febbraio 1989 nella dimensione reale, cioè la notte in cui Laura Palmer fu uccisa, ma tenta di mettere in guardia Cooper attraverso due avvertimenti:

- “There could be someone”
- 8

Il primo potrebbe riferirsi, come vedremo meglio successivamente, alla possibilità che nel luogo spaziotemporale scelto possa nascondersi un altro soggetto interessato allo stesso obiettivo di Cooper. Il secondo invece avvisa Coop della ciclicità della situazione in cui ha scelto di essere trasportato. Nell’infinito verticale, simile ad un otto, costruito con il simbolo del gufo della loggia nera, vediamo una sfera che tenta di muoversi ma che rimane imbrigliata in una curvatura. È il destino che attende l’uomo che viaggia nello spazio e nel tempo.


Veniamo quindi riportati alla notte dell’uccisione di Laura, precedentemente mostrata da Lynch solo nel film prequel FWWM. Il mondo ci appare in bianco e nero, riportandoci alla mente gli eventi dell’ottavo episodio. Non si tratta dunque di una scelta stilistica, per sottolineare la distanza nel tempo di un evento, ma di una scelta narrativa, che dà veridicità solo a queste due scene nel corso di tre stagioni. In realtà per un’altra scena è stato utilizzato il bianco e nero, quella del sogno di Gordon con Monica Bellucci. Ciò è giustificabile perché un sogno nel sogno apre al reale e probabilmente quell’indizio specifico, per il personaggio di Gordon è quanto di più reale egli abbia raggiunto nel corso delle tre stagioni.
Cooper sembra cominciare a soffrire questo salto temporale e da questo momento in poi centinellerà sempre più le parole. Egli però incontra una Laura spaventata da se stessa e dalla sua duplice natura (figlia contemporaneamente di due entità maligne e del sommo bene della sfera prodotta dal capo del Fireman) e le dice: “We are going home”. Cooper ha ormai raggiunto una consapevolezza superiore data proprio dal rapporto intrattenuto con le entità della loggia nera nel corso dei venticinque anni passati in quella dimensione. Il tentativo del protagonista ha come scopo quello di salvare Laura dalla morte per mano del padre, di allontanarla dall’influenza di Judy e di consegnarla presumibilmente alla loggia bianca: ecco i due piccioni con una fava (“Two birds with one stone”) di cui parlava il Fireman, ecco il senso delle parole di Cooper rivolte a Gordon prima di sparire, il suo compito è sempre stato quello di salvare il bene per permettere al bene stesso di distruggere il male assoluto.
Il mondo reale, prima di ricominciare a scorrere su binari alternativi, viene resettato: Pete non trova il corpo avvolto nella plastica e la storia sembra avere un nuovo inizio, ma Twin peaks è un’opera d’arte pura, che abbraccia ogni senso per trasportarlo in un vortice infinito. La componente sonora gioca ancora una volta un ruolo da protagonista, è il rumore che emetteva il grammofono della loggia bianca arriva a strappare Laura dalle braccia di Coop. In realtà gli indizi del Fireman erano quattro, di cui uno solamente sonoro. M analizziamo nel dettaglio i suoni della scena:
- grammofono
- vortice
- grido
Il grammofono è molto simile al suono della rana alata che era entrata nel corpo di Sarah Palmer, trasformandola nel male assoluto. Si tratta ancora una volta di Judy, l’essere prodotto dall’esperimento nucleare venuto a intralciare il piano della loggia nera.
Il suono successivo è invece simile a quello prodotto dai portali dimensionali. Nella serie li abbiamo visti diverse volte, sia in forma terrena che aerea. In questo caso mi riferisco ai portali di secondo tipo, quelli simili  vortici, come il portale che ha portato Andy nella loggia bianca.
Sul terzo suono non è necessario dilungarsi oltre: un tratto caratteristico di questa serie, il grido di terrore di Laura Palmer.


Laura non deve “Tornare a casa” perché ha in sé la forza per distruggere Judy, che quindi cerca di tenerla il più possibile vicino a lei. Judy non è mai stata probabilmente presente nel sogno che abbiamo vissuto per tre stagioni, ma ha sempre avuto una finestra attraverso cui controllare Laura, ossia la madre Sarah. Prima di essere rapita da Judy, Laura ha però avuto uno scambio di battute con Coop che, seppur semplice, ritengo fondamentale. La ragazza si convince a seguire l’agente dell’FBI perché afferma di averlo visto in un sogno. Torniamo quindi alla questione del sogno principale. È possibile che la sognatrice sia Laura stessa che, in un momento di lucidità della sua parte sommamente buona, ha dato vita ad una dimensione alternativa onirica, molto vicina a quella reale, che ha permesso al Fireman di istruire a dovere Coop in modo che Laura non venisse uccisa la notte del 23 febbraio. Un sistema contorto per trovare la possibilità di salvarsi realmente. Tutto ciò che abbiamo visto per anni, tutto ciò che abbiamo amato, era il sogno di salvezza di Laura, conscia della fine che avrebbe fatto.


Coop torna nella loggia nera, dove lo aspettano Mike e l’albero (Arm), che con due incisi ricorrenti (“Is it future or is it past”; “I sit the story of that litte girl who lived down the lane?”) indirizzano il protagonista verso la soluzione della realtà parallela, generata da Judy per nascondere Laura alla sua “casa”. Intanto Cooper continua ad allontanarsi dall’ideale dell’uomo retto che avevamo imparato ad apprezzare, quasi quel modello fosse relegato solo all’impossibile realtà del sogno. Il doppleganger di Laura di avvicina a Coop e, in memoria dei vecchi tempi, gli sussurra qualcosa all’orecchio, prima di essere strappata alla sua dimora, segno che ormai non esiste più alcuna Laura Palmer nel mondo reale, e quindi non è necessaria la presenza di un doppione di qualcosa che non ha esistenza reale. Ma questo ci dà anche prova che la loggia nera, e quindi la loggia bianca, esiste al di là delle dimensioni alternative, “oltre la vita e la morte”. Leland, dallo solita poltrona, sembra implorare Coop: “Find Laura!”.


Dale torna quindi nella realtà che ha perso per sempre Laura. Ad aspettarlo c’è Diane, presumibilmente la Diane che abbiamo visto alla stazione di polizia di Twin Peaks. Anche lei sembra avere dei comportamenti leggermente differenti da come ci era apparsa in precedenza. I due salgono in macchina e percorrono 430 miglia per raggiungere il luogo stabilito. 4-3-0, l’indizio del Fireman. Il luogo indicato è un portale elettrico che permette ai due personaggio di attraversare lo spazio interdimensionale per giungere nella realtà in sui è stata condotta Laura. Ma in questa dimensione qualcosa non è più lo stesso: Coop e Diane sono diventati Richard e Laura (ultimo indizio del gigante) e se il protagonista, dall’alto della sua preparazione spirituale all’evento, risente di questi continui viaggi spaziotemporali, Diane dimentica la sua identità e diventa Linda, abbandonando Dale dopo una notte di sesso e lacrime.


“Judy” si rivela essere anche l’indizio che conduce Coop ad una cameriera di Odessa che ha le sembianze di un’invecchiata Laura, ma che afferma di chiamarsi Carrie Page e ha il cadavere di un uomo in salotto. Nulla la lega alla Laura che conoscevamo, eccezion fatta per un particolare: il nome della madre è rimasto Sarah. Ciò significa che anche lei, Carrie Page, è stata allevata nel peccato, sotto la supervisione vigile di Judy. Potrebbe darsi che non esista Bob, in questa particolare realtà alternativa, ma non ci sono dubbi sulla presenza-influenza di Judy.
I due si recano a “casa”, ovvero nella casa di Twin Peaks in cui, nella realtà principale, Laura era nata e cresciuta. Ma ad aspettarli c’è solamente la famiglia Tremond, che ha precedentemente acquistato l’immobile dalla signora Chalfont. Due nomi che tornano dopo la serie originale. Riferimenti autocitazionisti o qualcosa di più?


What year is this?” si domanda un confuso Coop, per il quale dunque il piano non è andato secondo il progetto del Fireman. Carrie sente infine chiamare il nome di Laura dalla madre Sarah, guarda verso la casa ed emette un grido gelido che produce uno sbalzo elettrico.  Cosa è successo? Le ipotesi sono due. Da una parte dobbiamo rifarci alla scena dei titoli di coda: le parole sussurrate dal doppelganger di laura a Coop nella loggia nera prima di sparire per sempre. Possiamo ipotizzare che il sosia abbia detto al protagonista di riportare Carrie a casa nella realtà alternativa, ma ella si riferiva probabilmente alla casa spirituale alla loggia bianca. Cosa che Coop stava infatti tentando di realizzare nel ritorno al passato in bianco e nero. Lo sfasamento dimensionale, la sovrapposizione con la nuova identità di Richard avrebbe però cambiato Coop al punto da fargli dimenticare i dettagli del piano, provocando così solamente un ritorno di Laura al grembo materno di Sarah, e quindi di Judy. Un errore che potrebbe costare a Cooper un ulteriore passaggio nel loop infinito in cui è finito dopo il primo salto temporale attraverso Phillip Jeffries.
Dall’altra parte invece questo ritorno a casa a cui si fa spesso riferimento potrebbe essere un ritorno fisico alla casa di Twin Peaks per svelare finalmente a Laura la realtà della sua essenza e renderla consapevole del suo ruolo nell’eterna battaglia tra loggia bianca e Judy. In questo caso il finale sarebbe una sorta di tensione ad una conclusione possibile, che prevede una presa di coscienza di Laura nei panni di Carrie e una risoluzione del conflitto. A voi l’interpretazione.


In ogni caso resta la convinzione di aver ammirato la miglior serie mai realizzata, perché incomparabile a tutta la banalità che ci circonda. Twin Peaks si conferma oltre ogni immaginazione, oltre la televisione, oltre il cinema, la filosofia, oltre noi. E un’essenza così indeterminata, concisa nel corso di un film da diciotto ore, non poteva realizzarsi in un happy ending finale. Perdersi non è mai stato così meraviglioso.

Grazie David Lynch, grazie.