sabato 7 luglio 2018

IL SACRIFICIO DEL CERVO SACRO - LINGUAGGIO E SESSUALITÀ

Il lavoro di Yorgos Lanthimos sulle falle della natura umana e della sua organizzazione sociale prosegue con una rivisitazione del mito di Ifigenia, protagonista di due tragedie di Euripide. Il regista greco mantiene e accentua il suo stile fortemente cinematografico per mettere lo spettatore in una condizione di difficoltà e spingerlo ad aprire una questione, anche se, nel caso de Il sacrificio del cervo sacro - a differenza dei precedenti lavori - l’ambiguità si gioca soprattutto a livello di messa in scena e la linearità della trama tragica, volutamente prevedibile, richiederebbe di suo un’interpretazione meno radicale.


Eppure la posizione dello spettatore è certamente più complessa e drammatica rispetto a quanto erano in grado di fare Alps e The lobster. Siamo spettatori di una composizione che opprime attraverso una violenza eterogenea inaudita e rende spesso impossibile all’occhio di fissarsi proprio sui particolari più scabrosi. Ma questa violenza, che passa dal soggetto alla messa in scena e coinvolge ogni aspetto della pellicola, trova le sue radici nel percorso artistico del regista. Fin dai suoi primi lavori Lanthimos ha portato avanti uno studio sulle forme d’espressione per raffinare sempre più la sua regia verso uno stato di difficoltà generato e ricercato. Questa difficoltà è riscontrabile a partire dal piano linguistico. Martin, vero tassello imperscrutabile della prima metà dell’opera, è un personaggio in grado di trasmette una forma di ribrezzo che lo spettatore non riesce a ricollocare nel contesto del film. Siamo rapiti dagli occhi viscidi dell’attore che impersona Martin, Barry Keoghan, proviamo un forte senso di fastidio per le azioni inopportune che questo personaggio compie, ma la questione che genera il problema sta alla base, tra le maglie più strette della pellicola.


La questione fondate si pone nell’ordine del linguaggio e ciò include pesantemente anche la perfetta famiglia alto borghese dei protagonisti, che vive immersa in un tanto immacolato quanto perverso simbolico dominante. La prima fatica dello spettatore è riuscire a penetrare il simbolico dominante della finzione per assumerlo in prestito per la durata della pellicola. Questo passaggio richiede una certa abilità, una certa disponibilità. Ma solo in questo modo possiamo godere di alcuni dettagli che rimandano alla simbologia classica e letteraria dell’opera nella sua ricostruzione della tragedia. La pellicola si apre con un muscolo cardiaco che pulsa durante un’operazione a cuore aperto. Alla prima difficoltà visiva segue la difficoltà del linguaggio, quando Steven, stimato chirurgo, intrattiene con il suo amico anestesista uno un dialogo approfondito sulla qualità dei cinturini degli orologi. La forma eccede nella traslazione dell’importanza dal momento dell’operazione a quello della discussione. Tutto ciò appiana gli scambi linguistici ad un livello standardizzato con il quale possiamo familiarizzare. L’operazione effettuata è del tutto simile a quanto visto in The lobster, in cui era la necessità sociale ad appiattire il simbolico dominante verso una completa apatia. Su tale tessuto coerente, ma comprensibile, il personaggio di Martin agisce a mo’ di lama, squarciando il simbolico dominante da parte a parte. Gli estremi della lama di Martin sono l’estremizzazione ancor più caricaturale della forma del simbolico dominante e un’ingenuità fanciullesca che non sta a tale piano dell’essere. Il connubio antitetico di queste posizioni, assolutamente paradossale, rompe il solido paradigma della pellicola e genera il problema dello spettatore. Mostra un’impossibile da affrontare e sopportare, qualcosa che potrebbe avvicinarsi a toccare l’ordine del reale.


Altro tema cardine nell’interpretazione de Il sacrificio del cervo sacro è quello della sessualità. Il sacrificio della tragedia è legato alla vergine e questo focalizza l’attenzione della pellicola sul modo in cui ogni personaggio si rapporta alla sessualità. Vari sono i riferimenti e in quest’ottica molte scene idealmente fuori contesto possono essere ricollocate in una collezione di dettagli sulla sfera sessuale. Steven e la moglie Anna vivono una relazione che nasconde delle perversioni inusuali; viene ripetuto più volte che Kim, la figlia della coppia, è da poco giunta alla maturazione sessuale, e non è casuale che mantenga la sua purezza nel corso della pellicola, nonostante la relazione clandestina con Martin. Infine il piccolo Bob, inizialmente ancora estraneo alla sfera delle pulsioni e delle passioni. La scena in cui Steven racconta il suo segreto più scabroso al figlio (e si tratta naturalmente di un segreto di natura sessuale) è il momento in cui il padre cerca di testare indirettamente se il figlio sia già entrato a far parte o meno della sfera della sessualità. In generale l’incontro tra la soggettività e il sesso genera una sorta di corruzione dell’essere verso una moralità frastagliata che i genitori mostreranno nel momento della scelta.


Questa lettura della sessualità è strettamente legata ad una visione cristiana del tema e trova le sue radici nell’interpretazione agostiniana dei testi sacri e del peccato originale. Questa versione giustificherebbe anche la trasmissibilità della colpa di Steven ai figli e il successivo tracollo. A partire dalla sessualità, cade la moralità e gli uomini perdono ogni possibilità di mantenere salde contemporaneamente una giustizia terrena sul modello di quella divina e una soggettività moralmente corretta. Emerge una spietatezza, un cinismo proprio di chi è obbligato dal fato a spogliarsi dell’ultima fasulla moralità che mostrava sul piano del simbolico dominante, all’attenzione di altri individui della stessa caratura morale, della stessa superficiale finzione collettiva. Dove si colloca quindi lo spettatore rispetto alla morale decaduta di una civiltà attempata e reazionaria che finge di essere giovane e intraprendete?


Se la messa in scena fa uso della questione del linguaggio come mezzo per raggiungere in una maniera atipica e difficilmente sostenibile lo spettatore, è nella sessualità che si consuma lo sciorinamento della questione centrale dell’opera, sulla moralità umana. Il risultato è un film che chiede di essere raggiunto attraverso uno sforzo notevole, ma che è in grado di ripagare lo spettatore sia emotivamente che, soprattutto, intellettualmente. Lanthimos confeziona ad arte un altro gioiello che respira di cinema.
Personalmente credo di aver assistito ad una delle esperienze cinematografiche più significative della mia vita di spettatore. Sono rimasto catturato dal primo all’ultimo secondo della pellicola e ho partecipato della tensione, dell’emotività e della violenza, ma ho faticato molto a sostenere il peso dell’opera. Un film meraviglioso, che difficilmente riuscirò a rivedere.

mercoledì 4 luglio 2018

SONO ANDATO AL CONCERTO DI COEZ, MA NON VOLEVO. GIURO

Questa storia parte da lontano. A gennaio mio fratello è tornato dal freddo islandese con qualche dollaro in più. Anche io in quel periodo godevo di buona salute economica, perché sono del sud e al sud natale fa rima con rifornimento di soldi. Era anche il periodo in cui Coez andava ancora, il suo tour invernale era andato tutto sold out e Renzi faceva i video in cui cantava “La musica non c’è”. Nella frenesia del vil denaro, nel pacchetto di quattro o cinque biglietti acquistati convulsivamente in pochi minuti, ci sono capitati anche due ingressi per una data di Coez a un’ora e mezza da casa. Comodità.



E il problema non si è posto fino ad una settimana prima del concerto, quando ci siamo ricordati di aver comprato i biglietti, ci siamo resi conto che di andare a sentire Silvano Coez non ne avevamo assolutamente voglia, che noi si conosce due canzoni o tre, e abbiamo cercato disperatamente di cedere i nostri ingressi. Non ci siamo riusciti.



Concerto alle 21 secondo ticketone, alle 22 secondo facebook.
Alle 19 partiamo da casa.
Alle 20:20 parcheggiamo nel posto adibito a parcheggio, poi una lunga camminata fino al luogo del concerto. Cosa c’entra la passeggiata col resto? Lo scoprirete dopo.
Alle 20.40 siamo dentro.
Alle 20:45 ci sediamo a 20 metri dal palco.
Alle 21 un ragazzo si alza per sgranchirsi le gambe e tutta la gente seduta pensa sia il momento di alzarsi per non perdere il posto. Ci alziamo anche noi, veniamo schiacciati verso il palco. Ci aspetta un’ora e mezza di dolore alla schiena e sudore altrui. Bene così.
Comincia a muoversi qualcosa sul palco e i fonici mettono in loop alcuni pezzi, ovviamente non di Coez, che da una parte è positivo, dall’altra avremmo potuto imparare qualche canzone per il concerto. E invece no.
Il mix scelto per scaldare il pubblico sembra una playlist personale di spotify. Completamente random. Talmente random che ad un certo punto parte la sigla di Stranger Things e un po’ mi emoziono.
Io e mio fratello cominciamo a guardarci un po’ attorno, per quello che possiamo, perché siamo schiacciati da ogni lato. E nel guardarci attorno ci accorgiamo che la fauna silvana è così composta:

- 50% ragazzin* adolescenti della zona che potrebbero aver raggiunto il posto del concerto anche in bici
- 30% coppie mal assortite di cui lei conosce tutte le canzoni a memoria. Lui l’abbraccia da dietro per non farle scoprire che non sa manco “Faccio un casino”.
- 15% bambine in età preadolescenziale accompagnate dai padri che se li guardi in faccia puoi capire le bestemmie che stanno pensando dentro.
- 5% gente come noi, che è capitata lì e non sa neanche come.

Una ragazza alla nostra sinistra scruta il palco con sguardo corrucciato. Probabilmente è il suo sguardo classico, ma a me e a mio fratello piace pensare stia disapprovando il concerto. Che poi in realtà è quello che stiamo facendo noi, dentro.
A destra invece un padre tiene la figliola sulle spalle. La figliola di dieci anni. Io ne ho quasi 23. Vedrò ancora del pogo, ma non oggi.
Intanto si sono fatte le 22 e direi che il concerto non era alle 21. E direi anche che non ci sarà nessuno ad aprire Coez.


Alle 22:15 si spengono le luci. Gridiamo. Guardiamo con desiderio carnale il palco. E poi lieve dalle casse parte “Africa” dei Toto. E dapprima confuso, il pubblico così eterogeneo inizia a cantare “Africa” e ci abbracciamo in un turbinio di sentimenti e nostalgia. E le ragazze dietro di noi sbiascicano parole che se non sai manco il ritornello di “Africa” dei Toto ti meriti Coez Ebbasta.
Alle 22:30, dopo un’ora e mezza di dolori o odori, dopo tre ore e mezza da quando abbiamo lasciato i nostri alloggi, finalmente arriva Coez sul palco, col cappellino, con gli occhiali da sole, con le sue canzoni così nazionalpopolari.

Canta “Siamo morti insieme”, non la sappiamo. Speriamo nella seconda.
Canta “Forever Alone” (che il mood ormai è proprio da suicidio), non la sappiamo. Ci avviamo verso l’uscita.
E invece canta “Le luci della città”. Torniamo al nostro posto.

Dopo tre canzoni Silvano saluta il pubblico che lo acclama e io e mio fratello ci rendiamo conto di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato. L’atmosfera è simpatica, fresca, estiva. Ma stiamo assistendo ad uno spettacolo per regazzini. Questo è certo. E anche gli intermezzi parlati sembrano rivolti ad un pubblico adolescente.
“Chi vi piace di più, Banana o Passerotto (due membri della band, ndr)?”
“A chi volete più bene, a mamma o a papà?”

Banana che cucina per Coez

E la serata va avanti così finché non mi viene in mente di spoilerarmi la scaletta per prepararmi meglio alle poche canzoni che so e che ho voglia di cantare. Verso la fine scorgo una “Barceloneta”.
(Ora, dovete sapere che io e mio fratello abbiamo gusti musicali molto differenti e un nostro passatempo è insultare l’altro per quello che ascolta sotto la doccia. Ma su Franco e Carlo siamo d’accordo. Non è che siamo proprio fan. Non è che abbiamo imparato le canzoni a memoria. È proprio che quando siamo in macchina ci facciamo i duetti. Lui fa Carl Brave, che si è comprato pure le camice uguali. Io, per esclusione, Franco 126, che è un po’ quello meno dotato del duo. Ci doppiamo pure, facciamo pure “Eh eeh”. È tutto molto imbarazzante.)

Ci mettiamo allora ad aspettare impazienti la canzone con il duo romano, ma quando è il momento Coez la salta a piè pari. E questo ci rattrista molto. Se aveva bisogno di due voci per sostituire Carl e Franco potevamo salire noi sul palco.

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Poi i pezzi quelli più famosi, un paio di bis e il concerto termina a mezzanotte. Io e mio fratello ci affrettiamo verso l’uscita . Nell’impeto inforco una borsetta poggiata a terra col piede e me la trascino per qualche metro. Tutto normale.
Dall’uscita seguiamo la folla che dovrebbe dirigersi verso il nostro stesso, enorme parcheggio. Ma inaspettatamente ci mettiamo la metà del tempo impiegato all’andata. Arrivati al parcheggio ci dirigiamo dove ricordiamo di aver lasciato la macchina, ma non riusciamo a trovarla. E intanto la folla che abbiamo lasciato indietro ci ha quasi recuperati.
Qualcosa non quadra: le macchine sono tutte girate di 90°.


“Simò, qua due sono le cose: o qualcuno ha girato tutte le macchine o abbiamo sbagliato parcheggio.”
“E che ci sono due parcheggi ugualidentici?”
Io rido, lui perde una goccia di sudore freddo dalla fronte.
Lui: “Mo fermo uno con la pettorina e gli chiedo se c’è un altro parcheggio così”
Intanto le macchine hanno cominciato a muoversi e ci troviamo nel caos più totale.
Sempre lui: “Aspé, ma  noi da che parte siamo entrati?”
“Eh, non abbiamo fatto tutta la strada dell’andata”
“Quello è l’ingresso del parcheggio. Noi siamo andati di là prima. Quindi la macchina deve essere là”.
E girandoci di 90°, effettivamente il parcheggio torna ad essere quello di cinque ore prima. Camminiamo un altro po’ tra la confusione e infine arriviamo alla mia santa Punto rossa.
Saliamo in macchina, riusciamo ad uscire con un po’ di fatica. Prendiamo l’autostrada per tornare a casa e mettiamo “Barceloneta”.
Non ti preoccupare Silvano, noi ci sappiamo arrangiare. La tua parte la cantiamo insieme io e mio fratello. Grazie lo stesso.


Da sinistra a destra: io, Simone e l'amico Silvano. Eh eeh

P.S. ma le ragazze che cantano la strofa de "La musica non c'è" nell'orecchio del ragazzo proprio mentre Coez la sta intonando sul palco a tutto volume, che problemi hanno in realtà? C'è ancora speranza per loro?