venerdì 22 maggio 2015

COMMENTO WAYWARD PINES EPISODIO 1

Dopo l’enorme successo degli articoli-commento dedicati alla deprecabile 1992 ho deciso di buttarmi nuovamente nel mondo delle serie tv settimanalmente. Ma quale scegliere? Di quale parlare? A dirla tutta la “mia” serie comincia a Giugno e davvero non sapevo come occupare il tempo che rimane.
Daredevil? Nah, è già uscita tutta in un colpo grazie a Netflix. Non avrebbe senso analizzare ogni puntata di una stagione già terminata. Barcollavo nel buio quando mi ha chiamato mio fratello. “Hanno istallato MySky, ora abbiamo tutte le serie che vogliamo On Demand”. A quel punto mi sono deciso: era giunta l’ora di Wayward Pines.


L’occhio si apre e la menta va inevitabilmente a Lost. Il protagonista si sveglia ed entra in una tavola calda in una cittadina dello stato di Washington e la menta va inevitabilmente a Twin Peaks (vagamente citato anche nella struttura del titolo). L’FBI complotta contro il malcapitato agente attorno a cui ruota la trama e la mente va inevitabilmente a X-Files. La barista della tavola calda avverte il protagonista della presenza di telecamere ovunque e la mente va inevitabilmente a The Truman Show.
Diciamo che, tralasciando il fatto che questa mente vada troppo spesso in giro, le ispirazioni del celebre M. Night Shyamalan non sono affatto male e già i piccoli dettagli del primo episodio possono catalogare questa miniserie in un filone ben preciso che mescola elementi noir ad altri soprannaturali, il tutto tenuto insieme dall’immancabile velo di mistero.
Appena dopo i titoli di testa veniamo immediatamente catapultati all’interno dell’azione. Non sappiamo quasi nulla del protagonista, né un background né una presentazione, solo un uomo ferito che vaga per una città semideserta. La storia di fondo ci viene spiegata a mano a mano che la narrazione prosegue: l’agente Ethan Burke, sposato, con un figlio e un’amante, era stato inviato a Wayward Pines per investigare sulla scomparsa di due colleghi, ma, una volta arrivato sul posto deve aver subito un “incidente stradale” che è costato la vita all’altro agente che era stato inviato con lui nella sinistra cittadina. Da questo punto in poi entrano in gioco nuovi personaggi locali che dimostrano di sapere indubbiamente qualcosa più di Burke, interpretato da un convincente Matt Dillon, e che portano il protagonista a dubitare della facciata di quella tipica cittadina rustica americana.


Le serie di questo tipo vivono di tensione e in questo episodio essa è sempre alta grazie a due particolari non da poco: le musiche ritmate, mixate alla perfezione e posizionate nel momento giusto e le scelte registiche di Shyamalan, oltretutto produttore e supervisore del progetto. Il regista de Il Sesto Senso (e davvero poco altro degno di nota) decide di dare un tono misterioso e personale all’opera preferendo l’uso di primi piani e telecamere fisse. L’autore di origini indiane opta inoltre per mettere a fuoco unicamente i volti dei personaggi e ciò tende a creare un effetto etere sfocato in tutti gli sfondi delle inquadrature; molto misterioso e sovrannaturale. La regia però può definirsi scolastica nella maggior parte delle scelte e alla lunga l’effetto appena citato potrebbe risultare pesante. Speriamo che i registi che si alterneranno nei prossimi episodi osino un po’ di più conferendo una personalità più interessante all’opera.


Le serie di questo tipo vivono di colpi di scena e questi non mancano: la scoperta del cadavere del compagno, l’intrigo internazionale ordito dallo psichiatra e dall’agente dell’FBI e la scena finale con la telecamera che, spostandosi verso l’alto, mostra una muraglia cinese che circonda la città.
Nonostante non venga esplicitamente mostrata, la componente metafisica della serie, che riprende chiaramente quella di David Lynch, è ben presente e immagino risulterà alla lunga fondamentale per la risoluzione di alcuni misteri presentati in queste prime battute. Il tempo ad esempio; il tempo sembra scorrere in maniera diversa tra la città e il resto del mondo, altrimenti non si spiegherebbe il cambiamento della collega del protagonista nel giro di cinque settimane. Qualcosa legata al tempo non quadra.


Cosa sta succedendo qui? È tutto frutto della mente del protagonista in seguito al presunto incidente o davvero esiste una comunità di persone costrette a vivere in una bolla facendo finta che tutto sia normale? La scene ambientate al di fuori della città suggeriscono più la seconda e anche io spero sia così. Certamente tutti sanno tutto e lo dimostra la barista che cerca di aiutare il protagonista, solo non sappiamo se tutto ciò che vediamo sia effettivamente vero. Mi dispiacerebbe se dopo dieci episodi si venisse a sapere che è stato tutto un sogno dell’agente Burke, ma allo stesso tempo mi dispiacerebbe se tutto si limitasse ad una semplice teoria del complotto ordita contro il protagonista o contro una branca attiva dell’FBI, ma allo stesso tempo mi dispiacerebbe se l’elemento fantastico e misterioso venisse esagerato e quindi tutta la serie perdesse di credibilità. Credo che la buona riuscita di questo prodotto, evidentemente commerciale e rivolto ad un pubblico occasionale, dipenda dal costante equilibrio di queste tre componenti fondamentali.


Per ora posso dire che come prodotto d’intrattenimento funzione, ma ciò è dovuto principalmente al fatto che si basi sul calco fatto dai suoi predecessori. Poche novità e molti clichè che, se mescolati bene, possono dare vita a qualcosa di piacevole. Speriamo bene.

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