domenica 24 maggio 2015

RECENSIONI DELLA SETTIMANA 18-24 MAGGIO


FILM: Mad Max: Fury Road (2015)
Lo so, lo so. Abbiamo già parlato approfonditamente di questo film nella rubrica del giovedì con Antonio Margheriti ma, essendo un prodotto molto discusso e avendolo visto in settimana, ho pensato di integrare all’articolo del mio emerito collega con qualche impressione personale. Vi invito quindi a leggere prima questo articolo per capire i riferimenti fatti.

Sostanzialmente penso che il film in questione non sia un capolavoro, ma probabilmente questo giudizio é influenzato dal fatto che il genere action non mi appartiene come altri. Penso però anche di aver visto uno dei migliori film d'azione di sempre. L'azione é la parte centrale del film, occupa circa il 70/80% della pellicola. La regia é dinamica e curata. La fotografia realistica ma al contempo eccessiva e spettacolare. Tutto sembra sopra le righe. L'ambientazione e i personaggi, dal primo all'ultimo, funzionano alla perfezione. L'innovazione del genere femminile al centro di una pellicola culturalmente maschilista alza il livello del prodotto. Finalmente una ventata di novità in un settore per certi versi stantio.
Questa pellicola però presenta dei problemi evidenti che impediscono di raggiungere la perfezione. Il film infatti convince molto più nella prima parte, quando i protagonisti non parlano. Quando invece si raggiunge la prima tregua dalla fuga si ha l'introduzione dei tipici dialoghi stereotipati e improbabili hollywoodiane. Non sono poi d'accordo con Antonio quando dice che il film non eccede mai. Secondo me alcune scene sono volutamente tamarre, ma troppo. A tratti alcune scelte stridono con la durezza e il realismo dell'ambientazione post apocalittica e della carenza di risorse. La trama poi risulta nel suo complesso troppo allungata: non ho apprezzato ad esempio l'introduzione delle donne-guerriere e l'intermezzo inutile con le moto. Alcune imperfezioni che però non intaccano i punti forti del film. Un grande film d'azione. VOTO: 9



ALBUM: The Desired Effect (2015)
Apprezzo molto i Killers, secondo me hanno ottenuto un successo meritato con il loro primo album, Hot Fuss, ma hanno poi smarrito la retta via perdendosi in prodotti molto meno validi, ripetitivi ed inutilmente pomposi. Detto questo devo però ammettere che ogni volta che viene annunciato un nuovo lavoro della band di Las Vegas attendo sempre curioso di vedere il risultato sperando in un’inversione di tendenza.
Brandon Flowers, cantante, frontman e principale fondatore del gruppo, ha iniziato nel 2010 una carriera parallela da solista con la pubblicazione di Flamingo, album vuoto e dimenticabile, senza infamia né lodi. Nel 2015 però ci riprova e stavolta il risultato è anche peggiore. The Desired Effect è a tutti gli effetti uno dei peggiori album che io abbia mai ascoltato: una serie di canzoni pessime, ripetitive, dai toni alti e prive di elementi che possano renderle interessanti. Riff di chitarra sovrastati da tastiere che sintetizzano suoni tipici degli anni ’80. Sfarzo e pomposità esagerati per testi e strutture che non reggono affatto. Molto più vicino ad un album di canzoni di Gardaland, ma neanche di quelle accattivanti che si ascoltano in fila per Raptor o per Oblivion, no, di quelle che portano alla pazzia nella Casa di Prezzemolo. Forse un giudizio condizionato dalle aspettative e dell’amore incondizionato che provo per l’opera prima degli Assassini, ma questo album non voglio ascoltarlo mai più. VOTO: 3.5



ALBUM: Wilder Mind (2015)
Con il primo avevano stupito, con il secondo confermato. Con i terzo album invece i Mumford and Sons cambiano e deludono. La chitarra acustica che aveva fatto la fortuna del gruppo lascia il posto ad una elettrica meno ispirata e meno amalgamata con il resto delle sonorità proposte dall’album. Tutto sembra più forzato, tutto sembra più artificioso e anche i punti forti del gruppo che avevamo imparato a conoscere, quali la voce del cantante, non vengono valorizzati da questo cambio di rotta.
Le canzoni che si alternano sono simili e poco ispirate, manca la verve, manca l’innovazione e manca anche la tradizione. Tutto ciò che rimane è mediocrità, pop poco interessante e poco accattivante. Solo il singolo Believe e Hot Gates ricordano i fasti dei precedenti album.
Cambiare non vuol dire per forza peggiorare. Apprezzo molto gli artisti che rischiano e decidono di abbandonare una strada battuta per esplorare l’inesplorato, ma molto spesso questi commettono evidenti passi falsi, come in questo caso. Il problema di fondo è l’eccessivo avvicinamento ad un pop orecchiabile che non appartiene alla band e che stona inevitabilmente. Sarebbe stata più interessante una sperimentazione ragionata all’interno dello stesso ambito indie. Peccato, aspettiamo però il prossimo album quando sicuramente si tornerà alle origini. VOTO: 5



ALBUM: Wanted on Voyage (2014)
Senti la sua voce profonda e potente e immagini un omone sulla trentina, magari nero, magari sovrappeso, alla Berry White per intenderci. Lo vedi cantare dal vivo e ti ritrovi di fronte un ragazzino di vent’anni con la chitarra, mediamente alto e decisamente molto magro. È difficile pensare che da quel corpicino esca una voce così poco adatta all’idea che l’immagine suggerisce, ma l’abito non fa il monaco e il primo album del giovane artista inglese esalta degnamente le sue doti canore e cantautoriali. George Ezra confeziona un prodotto fresco e classico, un buon mix tra innovazione della nuova generazione e classico indie folk britannico. La chitarra si sente e sovrasta gli altri strumenti. Semplicità è la parola d’ordine che garantisce a questo primo lavoro di Ezra un successo inaspettato ma giustificato. I singoli risultano i brani più orecchiabili e immediati. Una bella scoperta molto promettente. VOTO: 7



ALBUM: Drones (2015)
E voi direte: “Ma quest’album deve ancora uscire. Come fa a receimpressionarlo già?”. E avete ragione, l’album deve ancora uscire e noi oggi parliamo solo dei singoli finora estratti per tenere alto l’hype. I singoli in questione sono tre, in ordine d’uscita, “Psycho”, “Dead Inside” e “Mercy”.
Premetto che nessuno dei tre mi sembra assolutamente da bocciare, ma, già con soli tre brani, la band inglese ha dato prova delle sue potenzialità e ha palesato il fatto che il nuovo album conterrà influenze assai diverse, influenze vecchie e nuove.
Mi duole ammetterlo ma Psycho è forse la meno ispirata delle tre ma anche la meno Muse, la più nuova. Le chitarre elettriche risuonano con potenza e sovrastano tutto il resto, purtroppo anche la voce di Bellamy. Il riff ripetuto però funziona, anche se non coinvolge e prende come al solito. Buoni il testo e il video.
Dead Inside ripropone già una struttura più consona allo stile dei Muse. Le chitarre del singolo precedente vengono affiancate da una batteria imponente e convincente. La voce del frontman è più libera di esprimersi e il testo risulta il migliore dei tre brani estratti finora.
Mercy è invece la migliore, decisamente la migliore. Sembra di essere tornati ai fasti di Starlight. Un prodotto che mescola alla perfezione chitarre, piano, basso, batteria e soprattutto voce. Il cantante è libero di spaziare e mostrare tutte le sue abilità regalando una delle sue migliori performance canore che non vedo l’ora di sentire live. I cori sul ritornello fanno molto anni ’80 ma funzionano ed esaltano. La migliore.

Ovviamente non posso dare un voto su tre soli brani, ma la via è quella giusta. Potrebbe essere un grande album. L’hype aumenta.

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