Alla vigilia della prima prova mi sento in dovere di
rinfrancare i giovani maturandi che stanno passando le loro ultime ore prima
dell’esame studiando (si spera) e ascoltando Venditti (si spera di no). E quale
miglior modo per tirarci su di morale se non raccontandovi la mia
personalissima esperienza?
Correva l’anno 2014; l’estate si prospettava quantomeno
fresca (tanto che poi avremmo festeggiato Pasquetta a Ferragosto), l’ebola era
ancora un miraggio lontano e i campi ROM c’erano ma non se ne parlava tanto.
Qualcuno comprava maglie azzurre perché ci credeva, ma poi la Costa Rica e
Godin ci hanno fatto cambiare idea un po’ troppo presto. Mentre l’Italia del
mai eletto premier si apprestava a succedere alla Grecia per il semestre di
presidenza europea, io e i miei coetanei preparavamo gli esami di stato. Dopo mesi di voci, pettegolezzi e finte tracce spacciate
per rivelazioni celesti, finalmente tutto stava per finire. Dopo aver smaltito
la delusione per la cocente sconfitta nella finale del torneo di calcetto
scolastico contro i Mercenari (8-1. ndr), avevo apportato le ultime modifiche
alla tesina; che poi in realtà doveva essere finita a maggio, che poi in realtà
doveva essere finita ad aprile, che poi in realtà doveva…
Ero abbastanza sicuro che la mia figura l’avrei fatta:
mappa concettuale sul viaggio nel tempo e sui wormhole partendo dalla DeLorean.
solo mesi dopo mi sarei reso conto della banalità delle mie argomentazioni, ma
almeno in quel momento ero convinto e tanto bastava. rimaneva il problema delle
prove, ma si sa: per la prima non bisogna studiare, per la seconda ormai è
tardi per imparare nuove formule complesse e la terza va a fortuna. Forte di
quest’ottica speranzosa mi dedicai al recupero di OC (4 stagioni nel solo mese
di giugno). A distanza di un anno, forse, ammetto, forse, che avrei potuto fare
di più. Ma il quinto anno ti porta allo stremo prima della fine, non posso
rimproverarmi nulla.
Arrivò quindi il giorno della prima prova. Facce tese,
sorrisi tirati e vocabolari sotto braccio. L’agitazione era nell’aria, ma io
non avevo paura. Ci accomodammo in un lungo corridoio di cui non riuscivo a
vedere il fondo. Una classe a destra e una a sinistra. Noi a destra, ma dipende
dai punti di vista. Ci consegnarono dei plichi infiniti che per farne uno credo abbiano abbattuto ettari di foreste. Tracce banali e per niente stimolanti (io scrissi qualcosa sulla violenza, credo), mai il vero problema fu l’analisi del testo, che mai ho scelto in cinque anni di liceo. Quasimodo. Bravo è bravo eh, nessuno
lo mette in dubbio, ma se lo avessimo studiato durante l’anno magari avremmo
potuto affrontare anche la tipologia A. E tutti furono costretti a virare
forzatamente su altro. Tipo quello del dono. Scontato. Vi auguro il meglio per quest’anno,
almeno qualche traccia interessante.
Finita la prima prova finito un ciclo: niente più temi
per il resto della vita, o meglio, niente più temi se scegliete di non aprirvi
un blog. Finita la prima prova tutti a casa a matematicare in allegria. La
disperazione dell’ultimo secondo. Dopo aver perso ore a far nulla si perdono
ore a rimpiangere le ore perse a far nulla e, mentre in casa si preparavano
solo insalate di riso e piatti freddi, io mi dedicavo a perdere tempo e ad
ipotizzare situazioni di vita improbabili, mio passatempo prediletto. Finita la
prima prova comincia il giro di messaggi: “Quale hai fatto?”, “Quanto hai scritto”, ma soprattutto “Domani
ci sediamo vicini?”. Comincio a dubitare del disinteresse delle prime due
domande.
Mentre si avvicinava la seconda prova, le due bocche si
comportavano in maniera diversa: quella dello stomaco si chiudeva per lasciare
posto a quella del linguaggio che sparava a zero su tutto e tutti in preda al
panico. Guai a voi, genitori, che cercate di comunicare con i vostri figli la
sera prima della seconda prova. Sarete dannati, o almeno insultati.
Il secondo giorno di esami mi sedetti in fondo, dove occhio
non vede e cuore non duole. Ora non voglio dire che qualcuno potrebbe aver
copiato durante la seconda prova, ma se dovessi dire il contrario potrei anche
macchiarmi di menzogna. Sia ben chiaro, non voglio istigare i maturandi
due-zero-quindici a delinquere, anzi, contate solo sulle vostre forze così che un
giorno potrete raccontare la vostra storia con due punti in meno, ma con la
testa altissima. Poi l’occhio ci scappa sempre, quello non è peccato. Se Dio ha
fatto due occhi è perché uno deve guardare il foglio del vicino, sperando non
sia vuoto.
Il primo problema. Il primo. Solo il primo. Il secondo
non lo calcolò nessuno in tutta Italia. Primo problema e cinque quesiti di
quelli banali, perché ci sono sempre quelli banali, fidatevi.
Fino alla seconda prova pensavo che un paio dei miei
compagni di classe non avessero il dono della parola, ma, miracolo dei miracoli,
in quelle sei interminabili ore ho sentito parlare anche loro. Ed erano a
chilometri di distanza.
Finita anche la prova di matematica sembrava che quel
macigno, nutrito in un anno con ansia e preoccupazioni inutili, alimentato da
professori catastroficamente esagerati, si stesse sgretolando sotto i colpi del
tempo e della fatica. Dopo poche chiacchiere con gli amici andai subito a casa
a mangiare, perché in quella maratona che è la seconda prova riuscire a
mangiare è cosa da pochi eletti dallo stomaco ferreo, e i wafer al cioccolato, con trenta gradi all’ombra,
divengono un po’ meno invitanti a dirla tutta.
La pausa tra la seconda e la terza prova è salvifica e
rinvigorente, come un bagno caldo dopo una lunga e stressante maratona di Game
of Thrones, ma mentre sarete con la testa immersa nell’acqua e Atmosphere
pervaderà la stanza comincerete a pensare a Calvino e a Van Der Rohe, a
Kierkegaard e a Tacito, alla parallasse e a Sassoon. A quel punto uscirete di fretta dalla vasca e correrete nudi e bagnati verso la vostra scrivania, noncuranti degli estranei ospiti che
vostra madre ha accolto poco prima in cucina. Ora dovete prepararvi, non
abbassate la guardia. Terza prova is coming.
Nessun commento:
Posta un commento