Ma come? L’Expo 2015 è ormai finito, tutti ne hanno già
parlato, ormai non puoi neanche più criticare
l’organizzazione italiana per i ritardi nei lavori e per il fatto di aver
aperto l’esposizione con più cantieri che padiglioni finiti e tu scrivi solo
ora la tua sull’evento mondiale? Si. Ho avuto la possibilità di andare a Milano
soltanto sabato scorso e quindi ne parlo ora, anche rischiando di ripetere cose
dette da altri, anche rischiando di essere ormai fuori tempo massimo.
Ma quindi questa esposizione internazionale assomiglia
davvero a Gardaland? Per certi versi sì, ma purtroppo si discosta dal parco
divertimenti per altri.
Feed the Planet, Energy for Life. Questa la tagline
dell’evento. Nutrire il pianeta, energia per la vita. Da questi due brevi
incisi è possibile cogliere al volo lo spirito che anima (o dovrebbe animare)
una manifestazione di questa portata. Il tema centrale è dunque quello
dell’alimentazione e dello sviluppo di questa nel mondo, cercando di far fronte
alle mancanze strutturali ed economiche di alcuni paesi, in particolar modo
quelli del terzo mondo. L’obiettivo pratico era quello di mettere a confronto
in un evento del genere la moltitudine dei modelli dell’agricoltura mondiale
per valorizzare le differenze e mettere in evidenza le falle che alcuni paesi
avrebbero ovviamente presentato nell’esposizione della loro realtà. A ciò si
sarebbe potuta aggiungere una componente effettivamente utile in un futuro
prossimo, una sorta di trattato che modificasse parzialmente gli standard
economici mondiali per andare in contro a quei paesi più deboli che non riescono a provvedere da soli al
sostentamento della popolazione. Perché ogni giorno muoiono ancora 26000
persone al mondo per cause legate alla fame e alla malnutrizione. Decisamente
troppe per una società sedicente avanzata e attenta ai fabbisogni vitali di
ognuno come la nostra. In questo senso riconosco il discreto lavoro svolto
dalla Carta di Milano; questa deve però essere firmata dalle maggiori potenze
mondiali e soprattutto non dovrà rimanere nei prossimi anni un insieme di belle
parole scritte su pergamena. C’è bisogno che parole come ecosostenibilità o
uguaglianza non siano solo uno specchietto per le allodole, una convincente
campagna vuota. Basta proclami.
Una volta entrato, dopo minuti di cammino dovuti
all’agevole distanza tra l’uscita della metro e l’ingresso della manifestazione, ho notato un
piccolo stand improvvisato dell’Onu e uno leggermente più grande in cui i
bambini erano invitati a disegnare sbizzarrendo la loro fantasia per poi
appendere in bella mostra i prodotti del
loro lavoro, un’iniziativa consueta che mi ha dato però la possibilità di fare
delle foto carine. Poi ho perso di vista le organizzazioni mondiali no profit,
se non con qualche sporadica eccezione come Save the Children. Dal quel punto
in poi sono cominciate l’autocelebrazione e la pubblicità. Per più di un
chilometro non ho visto altro che paesi benestanti e benpensanti specchiarsi
col loro vestito migliore, magari prestato, e multinazionali che approfittano
della mancanza di fondi altrui per riempire i vuoti con irresistibile reclame.
Esiste la componente patriottica e quella realistica. Il
fatto che queste due siano talvolta in contrasto non implica l’esclusione di
una di esse dall’esposizione. Ho visto padiglioni scarni vantarsi di meriti
futili mostrando omertà verso quelli che sono davvero i problemi della popolazione. L’Expo era una grande opportunità per conoscere nuove culture
lontane dalla nostra, e sotto questo punto di vista tutte le potenzialità sono
state sfruttate appieno o quasi, ma anche per i paesi ospiti di mostrare a noi
europei la realtà che si vive ogni giorno in zone meno agiate della nostra. E
invece no. Tutto questo non l’ho visto e, in qualsiasi padiglione si entri,
sembra di vedere il nazionalismo americano, la precisione e il rispetto delle
regole tedesco e la puntualità svizzera. Se tutti tirano l’acqua al proprio
mulino i secchi si riempiono e da fuori sembrano tutti uguali.
Poi gli sponsor: padiglioni enormi che nulla hanno a che
vedere con il tema principale della manifestazione ma che puntano unicamente a pubblicizzare
il loro marchio. Passabile Beretta e Coca Cola, fastidioso ma sopportabile il
McDonald, ma inaccettabile la Ferrero. Tre o quattro stand identici in cui lo
spettatore può unicamente sedersi o sdraiarsi e guardare video promozionali
proiettati sul soffitto. La nuova frontiera del marketing. Non si riesce a fare
un passo che l’occhio cade inevitabilmente su un marchio conosciuto che poi
ricorderemo a vita. I pubblicitari sanno il fatto loro. Ma c’è qualcosa che va
oltre tutto questo squallore commerciale e commerciabile, ossia i padiglioni (o
stand) dedicati ad aziende che non riguardano minimamente il cibo. Sto parlando
di Alitalia/Ethiad e Technogym. Inspiegabili e ingiustificabili.
La mia giornata Expo, purtroppo rallentata dall’eccessivo
numero di persone presenti domenica, si è conclusa con la visita di pochi
padiglioni interessanti e quell’amaro in bocca che lasciano le situazioni
attese e sperate ma dimostratesi una sorta di bluff. Quindi Milano Expo 2015 è
una manifestazione da visitare e supportare? Assolutamente si. Il privilegio di
averla quest’anno in Italia rappresenta un’occasione imperdibile e non tutto
ciò che ho visto era da disprezzare. Le architetture ad esempio mi hanno
colpito molto, in particolar modo quelle che sono riuscite a rispettare le
peculiarità del paese che volevano rispettare; per fare un esempio, Argentina
bocciata, Angola promosso. Il flusso di persone accorse nella capitale della
moda in questi mesi e l’interesse mondiale che l’evento ha generato ne aumentano
inoltre l’appetibilità per il grande pubblico. L’Expo non è pessimo, neanche
disprezzabile nella sua forma, certo però dà l’idea di un killer professionista
che insegue la sua preda per anni, la pedina, la studia, ne comprende le abitudini per
poterle sfruttare a proprio favore e infine la bracca. Ce l’ha all’angolo, ormai
è fatta. Dopo il classico discorso in cui svela la propria identità non deve
far altro che premere il grilletto e scrivere la parola fine col sangue, ma
clamorosamente manca il bersaglio, colpisce un parabolico coperchio metallico
alle spalle della vittima e rischia di essere addirittura colpito dal suo
stesso proiettile di riflesso. Ecco l’Expo 2015: inquadrare il bersaglio e
mancarlo platealmente. Una passerella ricolma di sponsor dalla dubbia utilità. Un
peccato e forse uno spreco.
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