mercoledì 14 ottobre 2015

MILANO EXPO È GARDALAND?

Ma come? L’Expo 2015 è ormai finito, tutti ne hanno già parlato, ormai non puoi neanche più criticare l’organizzazione italiana per i ritardi nei lavori e per il fatto di aver aperto l’esposizione con più cantieri che padiglioni finiti e tu scrivi solo ora la tua sull’evento mondiale? Si. Ho avuto la possibilità di andare a Milano soltanto sabato scorso e quindi ne parlo ora, anche rischiando di ripetere cose dette da altri, anche rischiando di essere ormai fuori tempo massimo.
Ma quindi questa esposizione internazionale assomiglia davvero a Gardaland? Per certi versi sì, ma purtroppo si discosta dal parco divertimenti per altri.


Feed the Planet, Energy for Life. Questa la tagline dell’evento. Nutrire il pianeta, energia per la vita. Da questi due brevi incisi è possibile cogliere al volo lo spirito che anima (o dovrebbe animare) una manifestazione di questa portata. Il tema centrale è dunque quello dell’alimentazione e dello sviluppo di questa nel mondo, cercando di far fronte alle mancanze strutturali ed economiche di alcuni paesi, in particolar modo quelli del terzo mondo. L’obiettivo pratico era quello di mettere a confronto in un evento del genere la moltitudine dei modelli dell’agricoltura mondiale per valorizzare le differenze e mettere in evidenza le falle che alcuni paesi avrebbero ovviamente presentato nell’esposizione della loro realtà. A ciò si sarebbe potuta aggiungere una componente effettivamente utile in un futuro prossimo, una sorta di trattato che modificasse parzialmente gli standard economici mondiali per andare in contro a quei paesi più  deboli che non riescono a provvedere da soli al sostentamento della popolazione. Perché ogni giorno muoiono ancora 26000 persone al mondo per cause legate alla fame e alla malnutrizione. Decisamente troppe per una società sedicente avanzata e attenta ai fabbisogni vitali di ognuno come la nostra. In questo senso riconosco il discreto lavoro svolto dalla Carta di Milano; questa deve però essere firmata dalle maggiori potenze mondiali e soprattutto non dovrà rimanere nei prossimi anni un insieme di belle parole scritte su pergamena. C’è bisogno che parole come ecosostenibilità o uguaglianza non siano solo uno specchietto per le allodole, una convincente campagna vuota. Basta proclami.


Una volta entrato, dopo minuti di cammino dovuti all’agevole distanza tra l’uscita della metro e l’ingresso della manifestazione, ho notato un piccolo stand improvvisato dell’Onu e uno leggermente più grande in cui i bambini erano invitati a disegnare sbizzarrendo la loro fantasia per poi appendere in bella mostra  i prodotti del loro lavoro, un’iniziativa consueta che mi ha dato però la possibilità di fare delle foto carine. Poi ho perso di vista le organizzazioni mondiali no profit, se non con qualche sporadica eccezione come Save the Children. Dal quel punto in poi sono cominciate l’autocelebrazione e la pubblicità. Per più di un chilometro non ho visto altro che paesi benestanti e benpensanti specchiarsi col loro vestito migliore, magari prestato, e multinazionali che approfittano della mancanza di fondi altrui per riempire i vuoti con irresistibile reclame.
Esiste la componente patriottica e quella realistica. Il fatto che queste due siano talvolta in contrasto non implica l’esclusione di una di esse dall’esposizione. Ho visto padiglioni scarni vantarsi di meriti futili mostrando omertà verso quelli che sono davvero i problemi della popolazione. L’Expo era una grande opportunità per conoscere nuove culture lontane dalla nostra, e sotto questo punto di vista tutte le potenzialità sono state sfruttate appieno o quasi, ma anche per i paesi ospiti di mostrare a noi europei la realtà che si vive ogni giorno in zone meno agiate della nostra. E invece no. Tutto questo non l’ho visto e, in qualsiasi padiglione si entri, sembra di vedere il nazionalismo americano, la precisione e il rispetto delle regole tedesco e la puntualità svizzera. Se tutti tirano l’acqua al proprio mulino i secchi si riempiono e da fuori sembrano tutti uguali.
Poi gli sponsor: padiglioni enormi che nulla hanno a che vedere con il tema principale della manifestazione ma che puntano unicamente a pubblicizzare il loro marchio. Passabile Beretta e Coca Cola, fastidioso ma sopportabile il McDonald, ma inaccettabile la Ferrero. Tre o quattro stand identici in cui lo spettatore può unicamente sedersi o sdraiarsi e guardare video promozionali proiettati sul soffitto. La nuova frontiera del marketing. Non si riesce a fare un passo che l’occhio cade inevitabilmente su un marchio conosciuto che poi ricorderemo a vita. I pubblicitari sanno il fatto loro. Ma c’è qualcosa che va oltre tutto questo squallore commerciale e commerciabile, ossia i padiglioni (o stand) dedicati ad aziende che non riguardano minimamente il cibo. Sto parlando di Alitalia/Ethiad e Technogym. Inspiegabili e ingiustificabili.



La mia giornata Expo, purtroppo rallentata dall’eccessivo numero di persone presenti domenica, si è conclusa con la visita di pochi padiglioni interessanti e quell’amaro in bocca che lasciano le situazioni attese e sperate ma dimostratesi una sorta di bluff. Quindi Milano Expo 2015 è una manifestazione da visitare e supportare? Assolutamente si. Il privilegio di averla quest’anno in Italia rappresenta un’occasione imperdibile e non tutto ciò che ho visto era da disprezzare. Le architetture ad esempio mi hanno colpito molto, in particolar modo quelle che sono riuscite a rispettare le peculiarità del paese che volevano rispettare; per fare un esempio, Argentina bocciata, Angola promosso. Il flusso di persone accorse nella capitale della moda in questi mesi e l’interesse mondiale che l’evento ha generato ne aumentano inoltre l’appetibilità per il grande pubblico. L’Expo non è pessimo, neanche disprezzabile nella sua forma, certo però dà l’idea di un killer professionista che insegue la sua preda per anni, la pedina, la studia, ne comprende le abitudini per poterle sfruttare a proprio favore e infine la bracca. Ce l’ha all’angolo, ormai è fatta. Dopo il classico discorso in cui svela la propria identità non deve far altro che premere il grilletto e scrivere la parola fine col sangue, ma clamorosamente manca il bersaglio, colpisce un parabolico coperchio metallico alle spalle della vittima e rischia di essere addirittura colpito dal suo stesso proiettile di riflesso. Ecco l’Expo 2015: inquadrare il bersaglio e mancarlo platealmente. Una passerella ricolma di sponsor dalla dubbia utilità. Un peccato e forse uno spreco. 

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