Dopo mesi di inattività in questo preciso settore ci
risiamo. Ecco la serie da commentare che stavo cercando e che ci accompagnerà
per i prossimi due mesi su questo blog. Dopo mesi di vani tentativi (TheWhispers) o di pilot troppo belli per essere poi criticati in questa sede (The
Brink), la seconda stagione di Fargo è venuta in mio soccorso. Volendo essere
totalmente sincero, preso dagli studi e dal recupero di serie più datate,
all’epoca dell’uscita della prima stagione non ebbi il tempo di seguirla con
costanza e quindi, a parte qualche spezzone sporadico su Sky Atlantic posso
dire di averla completamente persa. Avrei certamente potuto recuperarla negli
oziosi mesi estivi appena trascorsi, ma il distacco, sia temporale che logico,
tra la prima e la seconda stagione mi ha portato a desistere. Ciò non vuol dire
che non recupererò mai la prima, la cui solidità e accuratezza sono ormai note
a tutti, ma solo che il mio personalissimo percorso sarà inverso e tutto
dipenderà da questa seconda stagione.
Come al solito vi avverto della presenza di eventuali
spoiler voluti ma non cercati, funzionali alla costruzione delle mie argute
tesi. Ricordo inoltre che, come fu per True Detective, esclusi il primo e
l’ultimo episodio che verranno analizzati separatamente, tutte le altre puntate
saranno oggetto di commento due alla volta per evitare articoli troppo lenti
rispetto ad altri e per avere il tempo materiale di trattare altre due serie
(sorpresa delle sorprese). Quindi non mi rimane che cominciare.
Il primo episodio si apre con un’esilarante piano
sequenza che simula una scena d’intermezzo delle riprese di uno show televisivo
o di un film dell’epoca. In meno di tre minuti veniamo immersi nel mondo dei
Cohen e della loro particolare comicità. Serietà, rigore, studio delle
inquadrature e dialoghi surreali che in realtà sono molto più vicini alla
quotidianità di quanto possa sembrare. Personalmente mi sono rivisto abbastanza e ho
facilmente empatizzato con il regista che osa troppo dando dell’indiano ad un
indiano e poi cerca di rimediare accennando alla Shoah. Semplicemente i Cohen.
L’attenzione si sposta poi su quelli che sembrano essere i protagonisti della
nostra storia ma che si riveleranno essere solo una parte del tutto. Un poco
credibile malvivente deve dei soldi ad un uomo ben più minaccioso che si presenta poi come suo fratello. Inizialmente queste sequenze risultano un po’ confuse e
poco accattivanti in quanto lo spettatore non riesce a cogliere il senso di
tutto quello che passa sullo schermo, come se ci fossero dettagli non detti che
in realtà darebbero senso al tutto. Un tipo narrazione per certi versi di
nicchia e meno commerciale che potrebbe annoiare i più. Questa lentezza
narrativa si prolunga fino alla metà dell’episodio circa, quando la scena nella
tavola calda rivolta tutto e accelera l’intera puntata. Le interpretazioni
magistrali del malvivente, un certo Bear (ma non ebreo) e soprattutto del
giudice che cita Giobbe (al pari di un certo Samuel qualche anno fa) tengono altissima la tensione dello spettatore che
rimane allo stesso tempo estasiato e turbato dalla tragedia che si sviluppa in
due minuti. Poi comincia davvero il giallo e ci viene presentato l’agente che
si occuperà delle indagini, o forse no, perché pochi minuti dopo lo vediamo
lasciare le indagini al più anziano suocero. Da qui in poi la puntata rallenta
nuovamente, senza però toccare gli abissi di prima, in attesa dell’esplosivo
finale in cui viene introdotta una nuova coppia (il cui elemento maschile è
quell’infame di Todd di Breaking Bad, ingrassato per l'occasione) legata in maniera meravigliosa con le
altre linee narrative. Alle spalle di tutto ciò una famiglia mafiosa in lutto
(doppio, ma questo ancora non è dato saper loro) che vede i propri averi
minacciati dall’emergere di nuove famiglie poco raccomandabili.
Comincia così quest’avventura targata Cohen, e di Cohen
ce n’è a bizzeffe. Ogni personaggio presentato in questo pilot è, a mio parere,
ricollegabile ad un altro già visto e apprezzato nelle pellicole dei due
fratelli registi. La coppia finale che scopre il malvivente intento a scappare
dal loro garage potrebbe essere paragonata alla strana coppia Pitt-McDormand di
Burn After Reading ad esempio. L’agente di polizia, attorno al quale ruoterà
probabilmente l’intera serie, invece ricorda da vicino la stessa McDormand in
Fargo, film da cui tutto ciò ha avuto origine. Maschere quindi consone al
cinema dei due registi che stranamente non hanno inserito i loro nomi tra
quelli degli scrittori, ma che evidentemente influenzano molto in qualità di
produttori esecutivi.
Quello che ci si para davanti dopo circa cinquanta minuti
è un dipinto ad olio crudo ma colorato, un dipinto con molte sfumature, assai
grande e variegato. I personaggi presentati non sono pochi considerando che trattasi di miniserie giallo-noir, genere che spesso addossa sulle spalle
dei soli protagonisti le responsabilità dell’intera narrazione e che abbozza
soltanto i personaggi secondari limitandoli a macchiette utili allo sviluppo
del caso. In questo frangente invece sembra che gli autori abbiano tentato di
fare il contrario: il più caratterizzato è infatti Bear Gerhardt, ossia il
mafioso che viene ucciso alla fine dell’episodio. Quello che invece dovrebbe
essere il protagonista, ovvero l’agente Solverson (interpretato dal padre di
Insidious), ci viene invece mostrato attraverso veli di stereotipi legati al
genere che non lo rendono attivo, tridimensionale, ma piatto e passivo in
attesa che la storia, in particolare la sua, ingrani. Sembra che questa serie
faccia il contrario di quello che ci si aspetti e per questo la mia prima
impressione è stata particolarmente positiva. Tutto quello che accade è
impensabile e imprevedibile, e ciò contribuisce molto a creare il clima giusto
perchè un prodotto così particolari riesca ad ottenere il seguito che in realtà
ha. L’imprevedibilità mette lo spettatore nelle condizioni di seguire
assiduamente la serie nonostante i tempi volutamente dilatati in alcuni punti.
Dal punto di vista tecnico invece Fargo ha confermato
quanto di buono fatto vedere nelle prima stagione, puntando però maggiormente su
campi stretti, telecamere fisse e su una fotografia più calda e curata che
richiama le atmosfere 70s a discapito del fotorealismo. Gli attori hanno
fornito tutti o quasi prove soddisfacenti, con pochi picchi che si elevano
rispetto al livello generale medio-alto (e poi c’è la madre, non so se mi
spiego). La colonna sonora invece è troppo sottotono rispetto alle altri
componenti tecniche e non risalta quasi mai.
Cosa aspettarsi quindi da questa serie? I fratelli Cinema
non si discutono e, al pari di Re Mida, trasformano in oro tutto ciò che
toccano da diversi anni. Ho notato fin da subito una vena umoristica assai
forte che a mio parere crescerà di pari passo con la drammaticità degli eventi
narrati. Una forma di comicità che personalmente adoro. Per cui mi aspetto una
trama semplice ma aggrovigliata su se stessa, una caccia agli uomini che
cacciano altri uomini. Un prodotto innovativo in un sottogenere che ormai sta
diventando saturo di prodotti medi che non si distinguono tra gli altri. Ma
queste sono solo illazioni. Tempo per riflettere ce n’è, ce ne sarà. Siamo solo
all’inizio.
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