Il Knickerbocker è tornato e finalmente quel vuoto che il
tragico finale della prima, meravigliosa stagione aveva lasciato in me e in
tutti gli accaniti fan della serie va ricolmandosi con nuovi drammi (medici e non)
di inizio ‘900. L’ultimo episodio della scorsa stagione era infatti stato un
climax ascendente di drammaticità. Continuare a raschiare il fondo. Tutte le
linee narrative si concludevano nel peggiore dei modi: da John Thackery
ricoverato in una clinica per disintossicarsi dalla cocaina con l’eroina e la
morfina a suor Harriett acciuffata dalla polizia per le sue “opere di bene”, da
Edwards apparentemente esanime sul putrido asfaltofreddo di una New York poco
idealizzata alla compagna di Everett, disturbata e sdentata. Un vero tour nel
profondo del fallimento umano.
Gli sceneggiatori hanno deciso di omettere un time skip
tra le due stagioni in modo da rendere il tutto più frizzante e accattivante, sorvolando dunque sul periodo più buio (e sulla carta meno interessante) che
sarebbe succeduto al finale della scorsa stagione. Vediamo quindi l’infermiera
Lucy ancora follemente innamorata del protagonista, Edwards vivo e nominato
nuovo primario, ma costretto ad appoggiarsi al dottor Bertie durante le
operazioni a causa del distacco della retina dovuto alla famosa rissa che aveva
chiuso la sua linea narrativa qualche mese fa, Everett più razzista che mai e
ancora alle prese con i disturbi della moglie, la suora chiusa in prigione e l’autista,
suo socio in affari, indaffarato a non far emergere il suo nome nelle indagini.
E poi c’è lui, John Thackery, ex primario e faro dell’intera prima stagione. L’elemento
centrale di congiunzione tra tutti i personaggi che ora tenta di sopravvivere
tra una dose di eroina e una di morfina nell’istituto in cui era stato
recuperato qualche tempo addietro. Non ci è dato sapere quanti giorni,
settimane o mesi siano passati da quel tragico giorno, ma la sua situazione
sembra solo essere peggiorata, ma se da un lato lo spettatore può realmente
provare pietà per un luminare della scienza ridotto a tossicodipendente sociopatico,
dall’altro un ragionamento logico invita a pensare che, viste le premesse, il
fatto che sia ancora vivo è più di una conquista enorme. Questo stato di Thack però lo esclude quasi totalmente
dalla narrazione del primo episodio che si concentra sostanzialmente sul Knick.
Il Knickerbocker è infatti sul punto di chiudere per trasferirsi in un
quartiere altolocato e liberarsi finalmente di quegli sconvenienti poveri (mannaggia a loro!) che
riempivano i letti dell’ospedale. Per fare ciò però c’è bisogno di un nuovo
medico chirurgo. Il consiglio sceglie quindi di assumere un anziano signore
dalle dubbie capacità, e quindi di relegare Edwards al ruolo di aiuto primario spogliandolo
della sua carica ad iterim, una decisione naturale e comprensibile visto il
livello medio del consiglio d’amministrazione del Knick. Il medico
afroamericano si adira quindi per la mancata presa in considerazione della sua
candidatura a primario, ma io credo che, una volta tornato John al comando, gli
sceneggiatori riserveranno più di qualche soddisfazione alla pecora nera (in
tutti i sensi) sella prima stagione.
Ci viene mostrata anche l’evoluzione, in realtà minima, del
rapporto tra Lucy e Bertie. Lui ancora innamorato, lei ancora poco propensa a
considerare le avance del chirurgo, ma non per questo lontana da lui. Un rapporto
che spero si concluda nel migliore dei modi nel corso di questa stagione.
Edwards invece ritrova Cornelia, di ritorno da una
spiacevole parentesi a San Francisco. Stavolta devo andare contro le scelte
degli scrittori: riproporre nuovamente le stesse situazioni tra il povero
medico e la giovane rampolla ora sposata mi sembra rigirare l’avambraccio nella
piaga e riciclare quanto visto nella prima stagione. Non tutto il cast di uno
show televisivo deve per forza essere presente anche l’anno successivo e in
questo caso avrei preferito un allontanamento o almeno un notevole
ridimensionamento del personaggio di Cornelia (maledetta, dovevi tenere il
bambino!).
Tutto ciò accade dunque prima del grande salto e
soprattutto in assenza del vero elemento d’interesse di tutta la serie: Clive
Thack Owen. La chiave della svolta è però l’invidia del dottor Gallinger che,
in un atto puramente egoistico, almeno a mio parere, rapisce l’ex primario e lo
porta nell’Oceano Atlantico a bordo di un’insignificante barchetta per farlo
rinsavire ed aiutarlo realmente nel percorso di disintossicazione dalle varie
droghe di cui non può fare a meno. Considerando Gallinger quello della scorsa
stagione, questo è solo il modo di rientrare al Knick senza dover sottostare
agli ordini di un medico nero. Non vedo traccia di amicizia. Altrimenti il
rapporto tra i due ex colleghi sarebbe proseguito anche durante le avversità,
cosa che non è stata.
Thack quindi soffre dannatamente ma riesce a fare i dieci
nodi e finalmente decide di tornare. Ma finalmente per chi? Non ho apprezzato particolarmente
questa scelta di riabilitare la figura del protagonista dopo appena quaranta
minuti dall’inizio della stagione. Sembra quasi che venga dimenticato tutto il
male che John ha fatto a se stesso, a Lucy e al Knickerbocker appena pochi mesi
prima per poter ricostruire una narrazione organica fondata sul suo carisma e
sull’indiscussa abilità dell’attore. Una sorta di forzatura che evidenzia i limiti del
realismo. La televisione si avvicinerà sempre più, fino a raggiungere un
distacco infinitesimale, ma non riuscirà mai davvero a riprodurre tutta la
realtà. La realtà è noiosa, dilatata, poco interessante e poco accattivante. Qui
emerge il distacco tra finzione e realtà, purtroppo. Ma sono scelte.
A questo punto immagino che venga ricostituito il corpo
chirurghi iniziale e che le novità di trama arrivino dal cambio di sede. Perché
si cambia sede, vero? Chissà.
Dal punto di vista tecnico invece The Knick si conferma
la perla ammirata qualche mese fa. Soderberg riesce a riprodurre fedelmente un
Novecento che strizza l’occhio allo steampunk, al noir e al period drama classico.
Un miscuglio di generi che, unito alla perfezione stilistica del regista e alle
meravigliose musiche elettroniche di Cliff Martinez confeziona un prodotto
perfetto e a mio parere troppo sottovalutato. Recuperate la prima stagione e
lasciatevi avvolgere dal lato oscuro della New York perbene.
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