lunedì 19 settembre 2016

NESSUNO BUSSÒ ALLA PORTA

Igor non aspettava nessuno, aspettava qualcuno. Ma quel giorno si presentò nessuno.
Era una casupola accogliente, quella in cui Igor aveva passato gli ultimi anni della sua vita. Prima era stata la casa dei genitori dell’uomo, e prima ancora una rimessa per gli attrezzi appartenuta ad un lontano parente. La famiglia di Igor aveva ereditato un locale dismesso e l’aveva trasformato in una sorta di abitazione vivibile. I lavori erano costati tempo e denaro per l’anziana coppia; tempo prezioso, visto il tempo rimasto. Avevano associato a quell’abitazione un complesso di sentimenti e sacrifici al punto da considerare quelle mura come loro progenie. Curavano le rifiniture con amore. Non lasciavano passare dieci minuti prima di sostituire una lampadina fulminata. Credevano, complice anche la vecchiaia galoppante, che quella casa avesse un’anima, e che spettasse a loro curarsi della materialità per curarsi della spiritualità.


Igor aveva vissuto con i genitori fino ai trent’anni circa, e quel pomeriggio aspettava qualcuno. Era nato in casa, un appartamento poco luminoso in viale Samsa, poi la famiglia si era trasferita in città per trovare un impiego stabile e il piccolo Igor aveva dovuto lasciare i suoi giocattoli in quell’appartamento poco luminoso. Fu difficile ritrovare l’equilibrio, ma i Kums ci riuscirono: Il padre di Igor, Victor, fu subitamente assunto in un ufficio contabile. Non era certamente il lavoro della sua vita, ma per garantire la sicurezza economica al figlio e alla moglie questo ed altro. La porta dell’ufficio di Victor Kums cambiava ogni giorno. Un giorno era troppo bassa, un giorno sembrava essere stata ruotata di novanta gradi. Ogni giorno Victor entrava con una posa differente e rimaneva in quella posizione per molte ore. Come lui, anche gli altri dipendenti dell’ufficio erano costretti ad entrare in modo alternativo, ma tutti nella stessa maniera. E ogni sera le mogli dei dipendenti dello studio cercavano di lenire le pene delle schiene dei loro mariti con massaggi, oli e pomate profumate. Avevano tanti odori differenti questi prodotti, ma nessuno riusciva a togliere quella cattiva postura, sempre diversa, ma sempre la stessa.
Così i Kums ritrovarono una stabilità economica e la tranquillità di un alloggio duraturo. Poi scoppiò la guerra tra fazioni: da una parte i rossi Kumachi, dall’altra i seguaci del Santo col Fioretto. I Kums ripartirono alla ricerca di fortuna. Stavolta Igor dovette lasciare i ricordi, quelli che aveva avidamente custodito e nei quali vivevano ancora i giocattoli abbandonati nel primo appartamento poco luminoso. Passarono gli anni e le abitazioni. In ogni luogo Igor lasciava qualcosa di sé: una volta la bicicletta, una volta il sorriso. Aveva però sempre in mente l’idea di ripercorrere un giorno a ritroso quel percorso per riacciuffare gli averi perduti e tornare in sé.
Un giorno lasciò il nido familiare, perché sentiva di poter continuare da solo. E anche in quell’occasione lasciò qualcosa di sé ai genitori, così che lo ricordassero anche quando fosse stato lontano. Si trasferì a diverse centinaia di miglia da casa, in un condominio buio, con la muffa nera alle pareti e le pareti scricchiolanti. Qui cominciò a vivere, lontano dalle perdite che aveva seminato nel tempo. Si costruì una famiglia, rattoppò le tende alle finestre, tinteggiò le pareti e riempì di luci il suo appartamento nel condominio pensando di allontanare le ombre. Ma un giorno una tempesta estiva spazzò via le tende, allagò la casa e l’umidità riaffiorò dal bianco sporco. Così i genitori si spensero a breve distanza l’uno dall’altro e Igor non fece in tempo a tornare nell’appartamento buio che dovette assistere ad un altro funerale. Il matrimonio finì, senza figli a farne le spese, senza animali domestici, senza sfuriate violente, ma non senza rimpianti cocenti. E Igor tornò a casa, quella casupola accogliente dove la storia ha avuto inizio, per cominciare quel giro a ritroso verso se stesso, ma si fermò alla prima tappa. Non cambiò le lampadine e rimase al buio, ad aspettare qualcuno. Ma nessuno era alla porta. Nessuno bussò e Igor non si stupì. Nessuno entrò, nessuno si sedette con Igor al freddo di una casa spenta. Nessuno portò ciò che Igor stava aspettando da troppo tempo, ma non chi lui davvero attendeva da sempre. Ricordò dove aveva lasciato i giochi, sorrise un’altra volta, nessuno lo vide sorridere. Ricordò ancora quella casa con la muffa alle pareti e la bici, le giornate interminabili seduto dietro la porta ad aspettare il padre che tornava dal lavoro malconcio e acciaccato, piegato per lui. Ricordò l’appartamento poco luminoso da cui scopriva il mondo. Stanco si versò l’ultimo goccio di whiskey e andò alla finestra. Nel riflesso Igor vedeva una lacrima solcare il suo viso e un sorriso arginare la lacrima. Nessuno era entrato, nessuno era uscito. Nessuno andava con passo lento per la deserta campagna d'inverno.

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