martedì 13 settembre 2016

DON’T BREATHE - NON RESPIRATE

Siamo abituati al sovrannaturale, allo slasher, al teen-slasher, al gore, al fantathriller, alla fantascienza. Siamo abituati a combinazioni multiformi di questi generi. Siamo abituati a catalogare ogni evento che ci accade, ogni momento, ogni film che vediamo; eppure non riusciamo a collocare questa pellicola senza perderci una parte della sua anima. Perché “Don’t Breathe” - arrivato a noi come “Man in the Dark” - riesce, nella sua semplicità, a innovare e dare freschezza ad un filone di thriller claustrofobici di cui avevamo perso notizia.

La trama è molto semplice nella struttura: un gruppo composto da una ragazza e due ragazzi adocchia il colpo della vita nella figura di un reduce dalla guerra in Iraq che vive solo, in un quartiere isolato e custodisce in casa un’ingente somma di denaro consegnatagli come risarcimento per aver perso la vista in Medio Oriente. Rubare dei soldi ad un anziano cieco e solo sembrerebbe più facile di rubare le caramelle ad un bambino. Ma non bisogna assolutamente sottovalutare le risorse di un ex militare. Espressa in questi termini la trama potrebbe sembrare spoglia, ma andare più a fondo nella spiegazione delle dinamiche che poi si formeranno nell’abitazione potrebbe rovinarvi un prodotto diverso, tutto da scoprire.


Sostanzialmente il film si svolge in un solo luogo, ovvero la casa del rapinato, ma nonostante questo il regista, il giovane Fede Alvarez, riesce a ricostruire e a caratterizzare in maniera assai diversificata diversi ambienti e situazioni al punto da allargare gli spazi e ampliare le possibilità del film. Ogni scena è infatti intrisa di un gusto particolare che cerca di sperimentare nel genere, magari andando a citare alcune opere che hanno segnato il cinema horror negli ultimi anni (riferimento a Cujo su tutti). Attraverso questa profondità innovativa, raggiunta soprattutto attraverso le capacità tecniche, Alvarez riesce a dare un volume ad una storia di per sé piatta e poco significativa.
A fare da padroni però sono il ritmo, incalzante e sostenuto, e la messa in scena, funzionale all’oggetto o la stanza che i protagonisti dovranno raggiungere. Il ritmo in particolare prende lo spettatore dal primo attimo, fin da quando le sequenze iniziali di presentazione dei personaggi non fanno presagire grandi scossoni all’orizzonte. Da quel momento in poi “Don’t Breathe” è un’escalation di pathos ed emozioni forti che coinvolgono lo spettatore e lo immergono appieno nell’opera. Lo fanno sentire nella casa dell’anziano reduce di guerra, lo costringono a trattenere il respiro. Nell’articolo ho voluto deliberatamente usare il titolo originale perché, a dispetto della locandina raffigurante la protagonista femminile, credo fermamente che l’imperativo “Don’t Breathe” sia rivolto allo spettatore e all’effetto che il regista aveva intenzione di provocare in sala. A mio parere questo obiettivo è stato pienamente raggiunto in un’opera sì puramente d’intrattenimento, ma che fa della qualità visiva e costruttiva lo strumento attraverso cui creare il legame con lo spettatore. Non ci troviamo di fronte ad una pellicola banale e scontata, ma tutto è in bilico, tutto è determinato dal particolare.


È lo stesso impareggiabile ritmo a fungere anche da copertura per gli errori di sceneggiatura, le forzature e i buchi di trama che il film presenta. Spesso infatti vi ritroverete a vivere pienamente una determinata scena e la costruzione logica dell’insieme rappresentato passerà in secondo piano. Soltanto in un seondo momento potrete ricostruire l’accaduto concentrandovi sugli errori, purtroppo talvolta grossolani, che stanno alla base dei difetti principali di quest’opera imperfetta. E lo farete solo in un secondo momento perché il ritmo, le atmosfere, le interpretazioni e l’ambientazione del film vi hanno portato ad immergervi completamente nella storia, e, quando ci si ritrova in una questione di vita o di morte, non sempre si ha il tempo di valutare eventuali errori di sceneggiatura.

Un film che difficilmente otterrà l’attenzione che merita, ma che dovrà ottenere la vostra attenzione, soprattutto se siete in cerca di qualcosa che vi avvolga e vi coinvolga, nella paura di essere scoperti. Chi ha spento la luce?

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