martedì 6 settembre 2016

SERIE DI CUI NON PARLERÒ: BROADCHURCH

Perché voi non pensiate che io abbia una vita sociale attiva al di fuori del blog, dello studio e delle serie di cui abitualmente vi parlo, ho deciso di parlarvi anche delle serie che ho visto in questi mesi e delle quali non vi ho ancora parlato. Che Dio ti maledica, Netflix!

Leggendo sul web di questa serie inglese, ormai datata 2013, mi ero imbattuto in recensioni entusiaste e pareri non richiesti di anonimi utenti che paragonavano Broadchurch a Twin Peaks. Così mi si è accesa una lampadina, come la scintilla che ti prende quando senti il nome di una persona cara che non vedi da tempo e vieni pervaso subito da una voglia irrefrenabile di riscoprire quella relazione. Ma la gente cambia e non torna mai alla stessa maniera. Complice l’uscita su Netflix della serie e vista la breve durata di due stagioni da otto episodi ciascuna, ho deciso quindi di fiondarmi a capofitto su Broadchurch e di cercare il mio Lynch nei sorrisi degli altri che non sorridono mai come te. Ebbene, quanto c’è dei Picchi Gemelli in questa serie? Poco, quasi nulla. Qualche similitudine per quanto riguarda l’incipit incentrato sulla figura del bambino ritrovato sulla spiaggia e poso altro. Niente FBI, niente Logge, niente gufi, né giganti, né nani. Niente di tutto quell’apparato metafisico che faceva di Twin Peaks l’opera lynchana per eccellenza. Non ho quindi trovato ciò che mi aspettavo, ma mi sono imbattuto in una grandissima produzione, una perla degli anni duemiladieci (si dice così, no?). La struttura semplice viene man mano ampliata andando a scavare nelle vite dei personaggi che risultano essere indagati nel merito dell’operato di Hardy e Miller, in particolare ho empatizzato molto con Gazza di Hogworts, vittima indiretta degli eventi.
Ciò che colpisce di questa serie è la precisione con cui si incastrano gli eventi, la cura con cui i dialoghi dipingono i personaggi e le relazioni che intercorrono tra essi in maniera impeccabile. A tenere in piedi tutto il complesso di sospetti, indizi e false pisce costruite ad hoc ci sono i due protagonisti, interpretati da David Tennant e Olivia Colman, perfetti in ogni frangente, dall’odio iniziale, alla collaborazione forzata all’amicizia più sincera.


La prima stagione si sviluppa su una linea retta, lasciando al passato ciò che ribolle dal passato e concentrandosi sugli eventi mirati alla scoperta dell’assassino. In questa struttura viene sapientemente introdotto l’effetto Scream, ossia viene lasciata allo spettatore la possibilità di speculare sugli eventi mostrati e di formulare tesi alternative. Come l’opera cardine della serie di Wes Craven, anche Broadchurch pretende e ottiene che gli spettatori costruiscano una mappa investigativa nella loro mente, tengano un block notes virtuale degli eventi, degli indizi e dei sospetti. Proprio in questo senso, il duo di sospettati che emergerà circa a metà della prima stagione saprà rimescolare le carte in tavola per sbaragliare ogni aspirante detective nella conclusione finale. Questa scelta dinamica degli sceneggiatori porta lo spettatore ad entrare fisicamente nella cittadina costiera di Broadchurch per ottenere informazioni di prima mano e giungere al nome dell’assassino del piccolo Denny Latimer prima dei protagonisti, prima che sia troppo tardi, come fu per un altro caso.


La seconda stagione invece non si fossilizza sullo schema che aveva fatto le fortune della prima, ma riesce ad estrarre qualcosa di totalmente nuovo dal cilindro: ciò che è stato ritorna, e ciò che poteva essere non sarà, per ciò che nel passato ci è sfuggito di mano. In questo caso la situazione si sviluppa su due frangenti differenti, entrambi molto lontani dalla quieta ma angusta composizione della prima stagione. Da una parte abbiamo il processo all’assassino di Danny, i nuovi indimenticabili personaggi legati al processo e gli sviluppi di una sentenza non scontata, mentre dall’altro i nostri protagonisti tornano ad investigare sul caso che aveva quasi distrutto la carriera di Hardy mesi prima che egli venisse spedito in punizione a Broadchurch. I fili si ricollegano e chi pensavano che fosse la vittima si rivela il carnefice di un duplice scempio che ha lasciato solchi indelebili sulle fronti corrugate di molti. Il nuovo modello adottato dalla serie abbandona l’indagine interattiva per aumentare la qualità dei colpi di scena e il ritmo di un’indagine frenetica, spezzato solamente dalle sequenza ambientate in tribunale. Un’altra stagione perfettamente riuscita, coinvolgente e impeccabile.

Si prospetta ora la possibilità di una terza stagione, dopo il flop del remake statunitense. Sinceramente, dopo le belle parole spese ad elogiare i primi due atti di quest’opera riuscitissima, devo dissentire; spero infatti che Broadchurch si limiti a ciò che ha mostrato finora, tra moltissimi picchi e bassi trascurabili. Mi auguro, nel caso in cui venga prodotta una terza stagione, che gli sceneggiatori sappiano trovare un’altra struttura, ancora nuova e differente dalle precedenti, per dare ancora una volta un tocco di personalità, un elemento di unicità al terzo atto di un piccolo gioiello. Una serie già cult.

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