giovedì 8 settembre 2016

WAYWARD PINES 2 - COMMENTO EPISODI 3 E 4

La seconda stagione di Wayward Pines viaggia spedita verso un luogo sconosciuto, ma è il percorso sconnesso a preoccupare. Il terzo episodio, tra alti e bassi, e con un ritmo rivedibile, a reinserito nel cast un personaggio chiave della prima stagione, Pam Pilcher, che io davo erroneamente per defunta, e che invece viveva ai margine della società per aver ucciso il fratello durante l’insurrezione guidata da Ethan Burke. In realtà l’intera narrazione trova una conclusione fine a se stessa nell’arco dei quarantacinque minuti dell’episodio, facendo sembrare l’intera sottotrama del tutto non indispensabile. La breve apparizione dell’ex infermiera vuole essere lo slancio per narrare la storia del primo bambino nato a Wayward Pines e cresciuto con la convinzione di essere il responsabile del futuro della razza umana. Quel bambino era Jason e personalmente non ho disprezzato né la scelta di ampliare in questo modo il personaggio, né la caratterizzazione data al nuovo reggente. Detto ciò non posso esimermi dal rendere pubblici alcuni problemi evidenti: innanzitutto la figura di Jason appare sempre più come sconnessa dallo stesso ambiente che lui ha costruito sulle volontà del patrigno, poiché una caratterizzazione così approfondita di un personaggio chiave non può essere anticipata da un’intera stagione, la prima, in cui Jason sostanzialmente non esiste. Quasi a voler confermare il fatto che l’idea di inserire questo personaggio sia nata dopo alcuni avvenimenti della prima stagione, probabilmente addirittura dopo l’ultimo episodio. Sembra che ogni sfumatura che viene data con vigore a questo dispotico leader voglia in qualche modo rattoppare gli errori di sceneggiatura compiuti nella prima stagione. Non ho apprezzato poi, in linea generale, l’uso dei personaggi chiave della serie in questi primi episodi: finora tutti coloro che erano sopravvissuti fortunosamente all’avvento della prima generazione stanno malauguratamente morendo, chi suicidandosi, chi divorato dagli abby, chi strangolato. Anche in questo caso, un personaggio tridimensionale, una colonna portante dell’intera serie poteva essere trattata con più riguardo.
Sono rimasto contrariato anche dalla posizione assunta da Yedlin nel caso dell’episodio di Pam. Non riesco ancora ad inquadrare dalla giusta distanza il nuovo medico di Wayward Pines, ma in ogni caso il suo comportamento nei confronti del regime sembrerebbe avere più di qualche incongruenza: da una parte il sospetto e la volontà di rovesciare il sistema autoritario, dall’altra un collaborazionismo silenzioso, nonostante il coltello dalla parte del manico rappresentato dal fatto di essere l’unico medico qualificato in città. Ethan Burke, che a questo punto possiamo definire più acuto del suo alter ego Theo Yedlin, non avrebbe gettato al vento la possibilità di indagare sulla misteriosa rivoluzione d’ottobre attraverso le parole della testimone oculare Pam.



Ma, se nel complesso sono riuscito a godere della costruzione gerarchica e delle attitudini reazionarie con cui sono stati caratterizzati gli uomini d’ordine nel terzo episodio - facendo ancora riferimenti espliciti all’epoca dei totalitarismi - non posso dire lo stesso del quarto episodio. In questo caso il problema principale è stato la mancanza di un protagonista. Finora abbiamo seguito le vicende da diversi punti di vista, e il fatto che nessuno di essi sia ancora riuscito a prendere il sopravvento porta inevitabilmente la serie ad un saliscendi si ritmi poco interessante, piatto e soporifero. Si passa rapidamente dalla storia del sopravvissuto alle spedizioni alla moglie di Theo alle prese con le bambine feconde. Tanti spunti, poco pathos, nessuna struttura portante attorno alla quale costruire una narrazione solida e innovativa. Lo spettatore salta di palo in frasca, continuando  perdere interesse per tutto ciò che riguarda la civiltà del futuro. Se dovessi però indicare una trama, tra le altre, che abbia attirato minimamente la mia attenzione, quella è l’evoluzione e l’organizzazione degli abby. Appare evidente che dietro la migrazione delle aberrazioni e dietro la frase enigmatica del sopravvissuto riguardante le abitudini dell’altra linea evolutiva ci sia una sviluppo psicologico di quelle che finora sembravano essere delle bestie, guidate unicamente dall’istinto animale e dalla legge della natura. Ora, tralasciando le sottotrame che da qui in poi si svilupperanno - momenti di televisione, aimè, sempre più bassi - risulta interessante il discorso etico. E se, come pare, gli abby si evolveranno in un futuro prossimo in una razza simile a quella che li ha preceduti, se la mutazione degli abby fosse solo una deviazione nella linea evolutiva e il futuro fosse ancora in mano ai nuovi umani, che senso avrebbe l’intera impresa dell’arca? Pilcher potrebbe aver sbagliato i suoi calcoli, cancellando così completamente la vita di migliaia di persone appartenenti per natura all’anno 2014. E se gli abitanti di Wayward Pines, indottrinati e non, scoprissero di essere stati parte di un piano globale in parte inutile e in parte mortalmente pericoloso, cosa sarebe dall’ultima roccaforte della vecchia umanità? Questi interrogativi, insieme al destino di Ben, restano gli unici motivi per continuare a credere nel progetto morente di Shyamalan.

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