lunedì 16 novembre 2015

RECENSIONI DELLA SETTIMANA 9-15 NOVEMBRE


FILM: Inside Llewin Davis (2014)
Utilizzo il titolo originale perché la traduzione “A proposito di Davis”, che cerca di strizzare l’occhio alle commedie goliardiche anni ’90, mi è sembrata fuori luogo ed evitabile. Inside Llewin Davis è invece l’album solista che il protagonista tenta invano di proporre ad agenti ed impresari durante l’intera durata del film.
L’ultimo capolavoro dei Coen (in attesa del prossimo “Ave,Cesare!”) è, a mio parere, un film perfetto, privo di sbavature. Uno dei migliori prodotti del 2014, nonostante non abbia ottenuto grandi riconoscimente a livello di critica.
La trama è pressoché assente: la macchina da presa si limita a seguire in maniera compassionevole, ma mai pietosa, una settimana della vita di Llewin Davis. Né un inizio, né una fine. Solo vita. Perché la vita non ha trama, la vita scorre e l’uomo si trova spesso ad essere trascinato dagli eventi senza riuscire a lasciare la sua impronta su questa Terra. Llewin è uno sfortunato musicista folk che, all’inizio degli anni ’60, dopo la morte del partner, cerca di sbancare il lunario e rimanere vivo a dispetto di un mondo a cui lui è inadatto per natura, probabilmente. Gli eventi lo investono e lui riesce sempre e comunque a prendere la decisione sbagliata, non tanto perché sia sbagliata in senso assoluto, ma forse più perché è proprio lui a prenderla. Non possedendo un alloggio, è inoltre costretto a scroccare un posto sul divano di amici, conoscenti, sconosciuti. Tanti gli voltano le spalle e pochi rimangono vicini a lui. Inoltre un figlio in arrivo rischia di uccidere definitivamente il sogno di vivere di musica.
La svolta potrebbe arrivare da un viaggio che Llewin compie verso Chicago alla ricerca di fortune migliori. L’ultima spiaggia. A voi il piacere di scoprirne l’esito.
In tutto questo contesto malinconico e in parte struggente, i Coen riescono a far ridere e sorridere lo spettatore con la loro solita comicità nera e graffiante che prende di mira tutti senza fare nomi. Riusciamo ad affezionarci al protagonista perché tra i due opposti, la vita disgraziata e sfortunata e la comicità sopra le righe, arriva al pubblico in maniera molto naturale, realistica.
Il comparto tecnico come al solito si conferma sopra la media riuscendo a rendere perfettamente le atmosfere gelide della New York degli anni ’60 e a trasmettere le emozioni che il protagonista prova anche attraverso le immagini. La colonna sonora inoltre confeziona il capolavoro innalzando a dismisura il livello del prodotto.
Il messaggio dei fratelli Lumiere è quello di non giudicare mai il clochard che troviamo per strada, l’artista di strada, colui che soffre, che tenta, ma che non riesce a trovare mai la chiave per aprire la porta giusta. Chi sbaglia, chi pecca e chi perde oggi e anche domani, perché molto spesso l’insuccesso, la fatica, la povertà e l’infelicità sono condizioni dettate dalla fortuna, più che dalle doti o dalle scelte. A volte compatire senza provare pietà è la scelta migliore. Semplice poesia. VOTO: 10


FILM: Zoolander (2001)
Spiegare la trama di questo classico moderno sarebbe inutile. Chi di voi non ha visto neanche una volta nella vita le espressioni facciali che hanno reso famoso sia il personaggio di Zoolander che il suo interprete Ben Stiller? Immagino pochi.
Ci troviamo di fronte ad una commedia semplice ma non stupida che cade volontariamente spesso nella demenzialità e nel nonsense, ma lo fa con misura riuscendo ad essere allo stesso tempo dissacrante e intelligente. Il finale probabilmente tende leggermene verso la componente meno acuta della comicità del film, ma in generale Stiller si dimostra coerente nella scrittura di un opera parodistica che rimane sulla stessa linea dall’inizio alla fine (aspetto non da sottovalutare per film di questo genere).
Non ci troviamo di fronte ad un capolavoro o ad un film che ha rivoluzionato i canoni, ma la discreta qualità ha contribuito alla genesi del cult sdoganando ormai ogni espressione ormai di dominio pubblico. Alcune scelte, alcune scene rivedibili e un comparto tecnico (in particolar modo la regia) non eccelso però ridimensionano l’opera. VOTO: 7


ALBUM: Maximilian (2015)

Max Gazzé torna ad imitare David Bowie e, dopo le lenti a contatto di colori diversi, decide di crearsi un alter ego e di tornare a fare musica senza gli altri componenti del trio FSG proponendo, almeno sulla carta, un sostanziale cambiamento nelle sonorità e nei testi. “Almeno sulla carta” perché io tutta questa ventata d’aria fresca non l’ho percepita e per me Maximilian non differisce poi molto dal vecchio Max. il singolo che ha anticipato l’album è molto orecchiabile, ben studiato, divertente e non banale a livello di testo, ma, a parte “La vita com’è”, l’album riserva poche sorprese andando a ricalcare i soliti stilemi gazzeani. Le novità a livello di sonorità si percepisco quasi unicamente all’inizio, quando in realtà l’album parte in maniera convincente mostrando subitamente le potenzialità del cantautore romano. Tutto però poi va lentamente a morire nella consuetudine e nella banalità di testi che, se privati di qualche metafora interessante, potrebbero essere stati scritti da un bambino. Amore, amore, sempre amore. “Teresa” il prossimo singolo, secondo me. VOTO: 5

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