domenica 8 novembre 2015

LA MIA PAURA PREFERITA: AGORAFOBIA

Sarà ormai l’abitudine, sarà il suo tono pacato, sarà che si mostra sempre per quello che è e mai per quello che il suo personaggio gli chiederebbe di essere, ma quando conclude un suo canonico video con “Un bacione dal vostro amico Dario Moccia”, io ci credo. Credo davvero che a parlare sia un mio caro amico. Credo che, se ci trovassimo il sabato sera a discorrere delle nostre passioni, e magari a programmare nuovi tour in Giappone, il suo tono sarebbe quello dei video, i suoi tempi, le sue espressioni. Quello che rende realmente Dario un potenziale amico è la trasparenza e la naturalezza con cui abbatte le barriere tecnologiche irrompendo in camera nostra a portare un po’ di sana Nerd Cultura.


Quando il giovane divulgatore toscano ha annunciato la sua partecipazione alla realizzazione di un fumetto, non stavo più nella pelle. Rimanere al proprio posto portando avanti delle idee ben precise e coerenti dall’inizio alla fine; questi i meriti che giustificherebbero da soli l’acquisto, a mio parere. Poi ho finalmente messo le mani sull’albo realizzato in collaborazione con il disegnatore Giovanni Fubi Guida e sono rimasto attonito. Senza parole.
Agorafobia non è quello che un fan di Dario si sarebbe potuto attendere. È diverso, nel senso che va oltre l’idea che noi avevamo del ragazzo sotto l’effetto di taurina. Agorafobia è una storia breve ed autoconclusiva sporca e cupa, fredda e disturbante. La trama, in breve, narra di un ragazzo afflitto da un grande peso nell’anima che lo ha costretto a chiudersi sempre più rispetto al mondo esterno, sia metaforicamente che fisicamente. Passa le sue eterne giornate contemplando le avvolgenti coperte, chiamando per nome i treni che passano vicino al lui. Il mondo che scorre ad uno sputo dalla sua paura. Il pensiero ricorrente è sempre la colpa per la presunta scomparsa di un amico che vediamo solo in un paio di frangenti confusi. Gli elementi che più riescono a movimentare il quadro generale non sono altro che una caduta e una sigaretta. Morte dell’anima.
Da questo punto di vista il nostro beniamino mostra della lacune in fase di scrittura spesso evidenti, attribuibili più alla mancanza di esperienza che a mancanza di idee originali. il concept di sviluppare un solo personaggio e di farlo dialogare con se stesso è, parlando per esperienza personale, la maniera più semplice di costruire una storia, sorvolando sulla scrittura di dialoghi plausibili e sul bilanciamento dei tempi dei vari personaggi.


I disegni di Fubi, che, giudicando il monaco dall’abito qualche mese fa, quando erano uscite le prime tavole, non mi avevano fatto gridare al capolavoro, invece aiutano in maniera convincente il lettore ad empatizzare con lo stato d’animo del disperato e tremante protagonista attraverso linee sporche, connotati abbozzati e macchie. Molte tavole sembrano essere frutto di un incidente di percorso, di un rovesciamento del calamaio, ma ogni linea fuori posto sembra essere lì per un motivo, per una paura recondita. Ogni elemento grafico contribuisce a creare l’aspetto fondante che contraddistingue l’opera: l’atmosfera. Ogni sguardo del protagonista sa di morte, ogni battuta detta o pensata è un’agonia sia per il personaggio che per il lettore se riesce ad immedesimarsi appieno. L’immedesimazione è appunto importante per cogliere delle sfumature di significato che rendono la lettura più appagante e coinvolgente, ma ciò che davvero conta è l’esperienza. Due momenti in particolare mi hanno colpito e toccato: l’inizio dell’opera, quando il protagonista insonne osserva i piccoli oggetti della sua prigione, e la scena dell’ombra allo specchio. Chiunque nella vita potrebbe trovarsi, o si è già trovato in passato, a lottare strenuamente con l’ombra di se stesso, a cercare di ribellarsi ad un istinto superiore che ci impedisce di vivere come vorremmo e ci costringe ad arretrare, a rinunciare alla vita che sognavamo e che ci sta sfuggendo di mano per colpa nostra. Nostra e di nessun altro. Essere nemici di si stessi al punto di non vivere più, questa è la fine dell’uomo. Un’ombra densa di dolore e rabbia che nessuno vede a parte noi; noi che facciamo finta di niente e intanto pieghiamo la schiena.


Un tema sempre attuale trattato con la semplicità di una voce esperta e di una mano mossa al punto giusto. Agorafobia (che potete trovare qui) è quindi un prodotto sinceramente poco innovativo e non esente da pecche, ma è anche un punto di partenza per nuove collaborazioni di Dario e soprattutto un viaggio. Un viaggio nella parte oscura dell’anima che viene sfiorata, ma non approfondita. Alcuni momenti davvero ben calibrati, toccanti e disarmanti. A voi la lettura dunque, purché il vostro animo sia pronto.

Un bacione dal vostro amico Mattia Santoro.


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