domenica 29 novembre 2015

RECENSIONI DELLA SETTIMANA 23-29 NOVEMBRE


FILM: Paura e Delirio a Las Vegas (1998)
Da dove cominciare? Paura e Delirio a Las Vegas è un concentrato di elementi inqualificabili che fa dello stesso film un prodotto quasi impossibile da analizzare, ma ci proviamo lo stesso. Verso gli inizi degli anni ’70, un giornalista e il suo avvocato partono alla volta della città del peccato (che stavolta non è quella di Millar) per realizzare un servizio su una gara motociclistica. Fin qui tutto normale, se non fosse per un piccolo dettaglio da non trascurare: la droga. I due protagonisti (Depp e Del Toro) sono infatti dipendenti da tutte le droghe esistenti in quel momento in America, e tale loro lieve debolezza stravolge completamente l’intera esperienza del film. Ciò porta la trama a passare in ultimo piano per lasciare spazio al Delirio a cui i due personaggi molto sopra le righe vanno in contro; a parte poche scene, infatti, si potrebbe dire che, agli occhi di uno spettatore esterno, non accade nulla di rilevante sullo schermo.
Le scene più ispirate sono quindi indubbiamente quelle che vedono Depp in preda agli effetti degli stupefacenti: la sequenza con i dinosauri raggiunge vette di nonsense esilaranti, ma il vero culmine è la ricostruzione della sera precedente nel secondo albergo di Las Vegas. Pazzia totale. Da questa analisi emerge quanto le due interpretazioni  siano state fondamentali per la resa delle scene alterate. Due maestri che vent’anni fa promettevano decisamente molto bene.
Una componente purtroppo troppo ridimensionata ad un’analisi complessiva della pellicola è quella storica: la situazione statunitense in quegli anni, indubbiamente interessante e ricca di spunti utili allo sviluppo di una trama più consistente, viene rapidamente liquidata senza grandi giri di parole. Ma forse l’obiettivo del veterano Terry Gilliam era un altro.
A parte un paio di monologhi interessanti e profondamente veri, dunque, il film non presenta ulteriori contenuti degni di nota che conferiscano uno spessore all’opera. Ci troviamo “solo” di fronte alla delirante descrizione della mente di un individuo perennemente sotto l’effetto di stupefacenti  di ogni tipo, e se dovessimo valutare il prodotto unicamente sotto questo aspetto il voto sarebbe buono perché complessivo di una regia interessante, delle interpretazioni fantastiche, della novità, della comicità e del coraggio necessario per portare sul grande schermo questo agglomerato vuoto. Ma basta questo per fare un film? Forse si. VOTO: 8



FILM: Invictus (2009)
Clint Eastwood è una certezza, Morgan Lucius Freeman un pilastro del cinema mondiale, Matt Damon un grande attore troppo spesso sottovalutato. Nelson Mandela è invece il simbolo di una generazione. Di un mondo che forse non esiste nella realtà, più ma che alberga nei nostri cuori. L’utopia vivente che ha fatto la storia col silenzio e con il perdono.
Invictus è la storia romanzata dell’insediamento di Mandela in Sud Africa e dei mondiali di Rugby del 1995. Eastwood cerca di ridare voce ad una favola dura mai davvero raccontata attraverso un punto di vista interno che il mondo potrebbe non aver colto a suo tempo. L’incipit è di altissimo livello e lo spettatore riesce in pochi minuti a focalizzare l’attenzione sul momento storico e politico descritto dalle immagini. Lo sviluppo è convincente fin quando la storia riesce a svilupparsi su due binari in maniera bilanciata. Quando invece l’attenzione si sposta quasi unicamente su Damon e sulla sua squadra, la tensione venutasi a creare precedentemente sfuma gradualmente verso una scalata sportiva per niente elettrizzante ed appassionante. I match di rugby non prendono lo spettatore (o almeno non me) e scorrono via senza lasciare traccia, denotando una carenza in questo genere specifico per quanto riguarda il grande Clint. Sottotrama che prende il sopravvento in maniera totalmente antiadrenalinica.
Il vero fulcro dell’opera è colui che sarebbe dovuto essere il protagonista per l’intera durata del film: Nelson Freeman. Il vecchio Morgan è infatti una controfigura perfetta del politico sudafricano e, in ogni inquadratura in cui è presente polarizza l’attenzione riempiendo la scena in maniera unica. Una storia più nelsoncenrica avrebbe giovato alla narrazione e avrebbe nascosto le lacune di Eastwood in modo più convincente.
Un plauso particolare va fatto ad una scena meravigliosa che da sola vale tutto i prezzo del biglietto, ovvero quella in cui la squadra sudafricana è chiamata ad incontrare un gruppo di disagiati bambini neri. L’apice. Valutando il film nel complesso non posso però astenermi dal denotare una netta carenza nella seconda parte, dovuta in particolar modo al cambiamento discutibile del protagonista. Il voto è quindi la media tra la prima e la seconda parte, il tutto amalgamato dall’irraggiungibile qualità del regista premio Oscar. VOTO: 8


ALBUM: Saint Cecilia EP (2015)
I Foo Fighters ritornano (anche da seduti) e tentano un ritorno a sonorità passate con un EP nostalgico, compassato, ma anche convincente, formato da cinque brani. Il primo pezzo, che poi da il nome all’intero EP, sembra davvero tornare agli inizi dei 2000 con una chitarra ispirata e la voce di Dave (Davide, se siete di Cesena) ruvida e graffiante come un tempo. Un’ulteriore conferma delle immense potenzialità della band dell’ex batterista dei Nirvana. Le altre quattro canzoni invece sembrano essere un po’ meno innovative basandosi su sonorità più tradizionali; ma il livello riamane comunque alto.

Molti gruppi raggiungono l’apice della loro produttività molto presto, continuando poi a trascinarsi senza più molto da dire, da cantare. I Foo Fighters invece spostano sempre più un passo oltre il loro apice e continuano un percorso musicale talvolta sottovalutato, ma di indubbio valore. Una mosca quasi trasparente. VOTO: 7

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