Netflix è sinonimo di qualità, ma qualità non è sinonimo
di buona riuscita, o almeno non sempre.
Love è una serie che si muove nel quotidiano delle vite
dei due protagonisti, e vorrebbe narrare in maniera realistica le dinamiche
della nascita dell’amore tra due individui molto diversi tra loro. Gus è un
ragazzo impacciato, perennemente fuoriposto. Non segue le mode, non frequenta i
posti più quotati e vive le sue giornate nella periferia, rischiando poco,
sporgendosi poco. Mickey è invece una sfacciata ragazza del ventunesimo secolo:
un po’ depressa, un po’ infelice, un po’ distaccata dalle sue coetanee più in
vista, un po’ frustrata dalle situazioni che le sono sfuggite di mano. Due personaggi
diversi, sì, ma accomunati dalla stessa estrazione sociale, quella degli
emarginati dalla comunità fondata sull’esibizione e sull’esibizionismo. Sboccerà
l’amore tra i due, ma sarà qualcosa di indefinitamente spigoloso, lontano dalle
correnti comuni e distante dalle concezioni moderne di relazione fissa.
Alla luce delle premesse, Love poteva essere un’altra
bella sorpresa targata Netflix, ma alla fine dell’ottavo capitolo - di dieci -
ho deciso che non avrei portato a termine la serie. Il problema è molto
semplice: pur riuscendo a centrare il clima e il realismo, Love non ha in sé la
vis comica per riuscire a intrattenere. La scelta di puntare tutto sul realismo
della relazione ha portato ad un’esagerazione delle dinamiche che volevano
allontanarsi dai canoni televisivi e cinematografici. In questo modo però anche
i tempi comici hanno perso di valore, producendo soltanto una serie di
situazioni disdicevoli, allungate e boriose, caratterizzate unicamente da
dialoghi inconcludenti. Questa politica seriale è stata portata avanti in particolar
modo attraverso il personaggio di Gus che, con la sua inevitabile inappropriatezza,
riesca a risultare imbarazzante in ogni situazione. Ogni contesto, battuta,
dialogo con un personaggio secondario è un ottimo pretesto per scatenare nello spettatore e
nello stesso protagonista un senso di assoluto imbarazzo. Proviamo realmente
vergogna per ciò che Gus fa e dice, vorremmo essere con lui per evitare il
peggio e fermarlo prima che smarrisca la faccia, e con essa la dignità; ma ciò
non è possibile e ci troviamo inevitabilmente invischiati in un processo per
cui la vergogna diventa quasi la nostra. Nulla da dire sulla costruzione di
questi frangenti, se non che non riescono mai a scatenare ilarità. Ci si guarda
attorno in uno stato confusionale cercando di capire se siamo noi a non aver
colto la battuta, se siamo noi a reagire su tempi comici sbagliati e obsoleti, o
se sia la serie a mancare evidentemente in questa sua componente, che suppongo
sia quantomeno fondamentale se si parla di una serie comedy.
A lungo andare queste situazione scabrose diventano
fastidiose e a tratti insopportabili. Si è spinti a guardare non per le
emozioni che lo spettacolo riesce a trasmettere, ma solamente per cercare di
capire dove gli sceneggiatori vogliano andare a parare con una trama che mostra
comunque pochi guizzi. Diventa una noiosa agonia scoprire cosa si celi nel
futuro dei due innamorati emarginati.
Eppure la serie era partita con il piglio giusto, un episodio davvero ben
riuscito nel quale venivano presentati i personaggi in situazioni probabilmente
più caricaturali. In contesti simili, le loro qualità imbarazzati parevano
meglio inserite nel tessuto complessivo e lo spettatore poteva ridere di una
festa di vicinato finita male o di un triangolo incestuoso. Ma da quel momento in poi la
serie ha sparato molti colpi a salve, come la questione della cena per farli
conoscere e la serata magica. Elementi che in questo mood generale non hanno fatto
altro che allontanare l’interesse comune.
Non tutte le serie Netflix escono col buco.
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