Fino a poco tempo fa, per me Aziz Ansari era il medico
svogliato di Scrubs, quello che faceva penare Cox per le sue capacità sprecate
a causa dell’innata pigrizia. Solo qualche settimana fa, grazie al mio
abbonamento-sanguisuga a Netflix, ho potuto scoprire il vero volto del comedian
statunitense, che ha avuto la brillante idea di ricalcare le orme dell’irresistibile
Louie e di proporre una serie TV originale Netflix in cui egli impersona una
sorta di sua controparte televisiva. Dev Shah infatti non è altro che una
versione romanzata dello stesso Ansari, e ciò lo si nota da alcuni punti di
contatto notevoli tra le due figure, che vanno a creare i veri e propri
pilastri su cui si regge la serie. Per questo, eliminando ogni sorta di
espediente narrativo creato ad hoc per Dev, rimane il vero Aziz, con le sue
manie, le sue preoccupazioni, le sue radici e le sue ambizioni. Ed è proprio
questa veridicità di fondo a dare quel tocco di autorialità che caratterizza la
serie e porta a pensare che il vero Master of None del titolo non sia tanto
Dev, quanto Aziz, quanto una generazione schiacciata dalla globalizzazione e dalle
aspettative, dalla convenzione sociale e da un futuro in regressione.
La serie si struttura saldamente attorno al protagonista,
tanto da tralasciare spesso i personaggi principali, ma tutto è funzionale alla
traduzione televisiva del fumo grigio e viola che ispira i creatori della
serie. Attraverso Dev veniamo trasportati con molta leggerezza ed eleganza
nella New York dei giorni nostri, e ci ritroviamo a seguire le vicende
professionali e personali di un giovane aspirante attore. I temi principali di
questa prima stagione dello show sono legati principalmente alla realizzazione
dell’autore nell’ambiente spesso ostico in cui si trova. Discriminazioni,
sciacalli, feste al sapore di nulla e ancora discriminazioni. Nel complesso, la
prima stagione potrebbe essere presa come uno spaccato della vita di un
semplice trentenne in una città che comprime. Il punto più alto della prima
stagione, almeno a mio parere, è l’episodio in cui ripercorriamo medi di
relazione con Rachel, la ragazza del preservativo bucato nella prima sequenza
del primo episodio. In trenta minuti riusciamo a scorgere la passione, l’amore
incondizionato, l’arrivo della routine, la fine delle emozioni travolgenti e
ancora l’amore. Il perfetto bilanciamento di questi momenti produce un grande
spettacolo per il piccolo schermo, e conferma ancora le incredibili capacità di
scrittura del duo Ansari-Yang, senza le quali Master of None sarebbe un’altra
sitcom, l’ennesima. E invece Master of None non è una Sitcom, è qualcosa di più
dal punto di vista intellettuale, ma non qualcosa di meno da quello comico. La comicità
di Ansari è irriverente, sfacciata, scorretta e comunque perfettamente
allineata con la natura dello show, che rimane critica e intelligente. In questo
ha pesato molto l’attività di stand-up comedian dello stesso autore, il quale
ha travasato il suo estro per plasmare una commistione di elementi poco
innovativi e dare vita a qualcosa di unico.
Le puntate di Master of None scorrono senza che ci si
accorga del tempo che passa; lasciano lo spettatore incollato allo schermo. Sono
divertenti, leggere e scanzonate, ma trasmettono anche qualcosa di indefinitamente oppressivo . È il disagio che si prova ad immedesimarsi in una generazione
schiacciata dal mondo, quelli che stanno vivendo cambiamenti epocali senza una
preparazione adatta, e si sentono a loro agio solo quando si sentono persi nel
caos che li circonda. Perché, se per far piangere non c’è bisogno di piangere,
riflettere non è l’unica via per generare riflessione, ma un sorriso nasconde
il mondo.
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