giovedì 17 marzo 2016

NBT: SWANS

Come molti ho scoperto gli Swans relativamente tardi, grazie ai loro più recenti lavori, “The Seer” e “To Be Kind”. Era evidente come i suoni e le sperimentazioni di questi due album fossero la summa di un percorso artistico cominciato ben prima e ho quindi cominciato ad esplorarlo. Le idee scritte qua sotto mi gironzolavano in testa da parecchio tempo e, complici i troppi impegni (dalla prossima si torna al format usuale, non disperate), mi è sembrato il momento di condividerle.


Dal diario di Rorshach, 12 Ottobre 1985:
“Le strade sono lunghi rigagnoli e i rigagnoli sono pieni di sangue e quando alla fine le fogne si ricopriranno di croste, tutti i parassiti della società affogheranno. Tutto il loro sesso e i loro delitti, accumulati come sudiciume, li sommergerà fino alla cintola e tutte le puttane e tutti i politici guarderanno verso l’alto e grideranno “salvaci!”…e io guarderò verso il basso, e sussurrerò “no”.”
(Watchmen #1, Alan Moore, 1985)

Ascoltando “Filth”, debutto discografico degli Swans datato 1983, non riuscivo a togliermi dalla testa l’incipit del capolavoro di Alan Moore. Immaginavo il volto di Kovacs dietro la maschera, deformato dal lugubre, insondabile ghigno, lo stesso raffigurato in copertina, mentre osserva la brutale catarsi che sta avvenendo sotto di lui. Suona come una sorta di masochistica purificazione a cui si è forzati a partecipare dalla musica di questa band newyorkese. È impossibile e forse insensato dato lo stile monolitico dell’opera, analizzare il disco canzone per canzone. Filth è un unico blocco granitico da cui emerge una fiera tanto bestiale quanto i colpi di scalpello che l’hanno liberata. Ed ecco quindi le percussioni secche, potenti, marziali, con quell’aggressività e ripetitività tipiche dell’industrial e della No Wave che, nella loro solo apparente trasgressione, riescono a squarciare il velo di ipocrisia della società smascherandone le perversioni. Scordatevi qualsiasi genere di melodia: gli strumenti vengono malmenati, percossi più che suonati. Chitarra, basso e i vari suoni campionati creano un’atmosfera di cacofonie discordanti e ripetitive; vengono consumati atti di pura violenza ai danni delle vostre orecchie, ma allo stesso tempo non riuscite a distaccarvi dall’oscuro fascino che questo fitto e intricato telaio di suoni e rumori induce nella vostra mente. Da questa solida, metallica impalcatura noise emergono impetuose e impietose le urla di Michael Gira. È difficile definire testi le frasi ululate dal cantante e bassista, vera anima del gruppo fin dagli esordi. Sembrano in realtà crudeli e bestiali norme, i comandamenti di un perverso regime.  

“Look straight ahead”.
“Don’t talk until you’re spoken to”.
“Use sex for control”.
“Use hate for freedom”.

Fino a toccare verso il finale, vette di disturbante veemenza:

“Knock him down.
Cut off his deception.
Murder his influence.
Rape his memory”.

Da brividi. Quando ho ascoltato “Filth” la prima volta ho pensato che fosse la cosa più brutale in cui mi fossi imbattuto fino a quel momento.
Poi ho ascoltato “Cop”.


“Cop” usci l’anno successivo a “FIlth”, e ne è l’ideale prosecuzione dal punto di vista musicale e tematico. Con  una formazione oramai stabilizzata (di cui in particolare Gira e Westberg diverranno i punti di riferimento), gli Swans proseguono nella loro progressiva emancipazione dal movimento No Wave, evolvendosi ed emergendo come una delle realtà underground più interessanti degli anni 80, che dalle audaci sperimentazioni post-punk stavano lentamente scivolando verso quel pop plastificato che avrebbe dominato il mainstream del decennio successivo. In particolare gli Swans contribuirono con la loro musica a creare un humus di sonorità nuove e alternative da cui avrebbero tratto linfa vitale gruppi ormai storici come i Sonic Youth, giusto per citarne uno.
“Cop” si spinge, se possibile, ancora di più nelle profondità di quegli oscuri anfratti esplorati da “Filth”. Il ritmo viene notevolmente rallentato, la musica arranca, procede faticosamente, come un moderno Sisifo costretto a spingere la sporca, meschina e ipocrita anima del mondo occidentale contemporaneo. In eterno, senza tregua. Questa andatura lenta, cadenzata, si riflette sulla musica accentuandone cacofonie e contrasti. Ciò che risulta dalla ripetizione angosciante di questi suoni e ritmi è una descrizione cruda e  terrificante di una società “catena di montaggio”. Un mondo di macchine votate alla perpetua produzione, reprimendo ogni istinto o pulsione, sia essa di vita o di distruzione, sacrificando se stesse al dio Mercato. L’individuo non ha modo e non ha motivo di esprimere se stesso, mortificato nello spirito.

“You’re superior.”
“I don’t exist.”
“You control me.”
“You own me.”
“I worship your authority.”

Gira dipinge con violente e selvagge pennellate un ritratto desolante e nichilista dell’Occidente della Reaganomics e del Tatcherismo, incapace di comprendere e superare le proprie contraddizioni.  
Nobody beats you like a cop in jail” sono i versi biascicati nella traccia che dà il nome all’album. Non è solo un abuso di potere ciò che viene denunciato (“A mezzanotte tutti gli agenti…”) ma qualcosa di psicologicamente più complesso. Bigottismo e malsane declinazioni del pensiero secondo cui il fine giustifica i mezzi non sono sufficienti a mascherare la consapevolezza del male perpetrato, che viene quindi colpevolmente nascosto. Sotto la patina del benessere economico, lontano dalla vista e allo stesso tempo sotto gli occhi di tutti, il mondo sta marcendo.
Gli Swans non sono certo i primi a trattare certi temi nella loro musica, tuttavia vi è una sostanziale differenza rispetto alle opere di altri musicisti. I gruppi della prima ondata Punk e la successiva scena Rap/Hip Hop, pur essendo sostanzialmente differenti affrontavano le questioni politiche e sociali allo stesso modo: di petto, con rabbia e talvolta scomoda ironia, attaccando direttamente ciò che andava contro i loro principi. Vi era uno scontro concreto dove ad ogni azione corrispondeva una reazione in musica. Altri gruppi e altre scene avevano un atteggiamento diametralmente opposto: si concentravano sull’individuo, creavano personaggi con complessi profili psicologici dalla cui esperienza più o meno fittizia nasceva una critica. È il caso di “The Wall” e “The Lamb Lies Down on Broadway”.
Nel caso degli Swans non avviene niente di tutto questo. La loro è una presa d’atto, non di posizione. “Filth” e “Cop” si limitano a fornire una realistica, cruda descrizione del mondo come appare, rimandando riflessioni e opinioni all’ascoltatore. Sta a lui decidere a cosa credere.


In una recensione a posteriori Ned Raggett scrisse: "Early Swans really is like little else on the planet before or since", ed è probabilmente vero. Negli album successivi sperimenteranno lentamente suoni differenti, più acustici e meno meccanici. Si può dire che con questi due lavori finisce la “prima fase” della carriera degli Swans, impetuosa e seducente come la creatura da cui prendono il nome. 

Davide Quercia

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