Come molti ho scoperto gli Swans relativamente tardi,
grazie ai loro più recenti lavori, “The Seer” e “To Be Kind”. Era evidente come
i suoni e le sperimentazioni di questi due album fossero la summa di un
percorso artistico cominciato ben prima e ho quindi cominciato ad esplorarlo. Le
idee scritte qua sotto mi gironzolavano in testa da parecchio tempo e, complici
i troppi impegni (dalla prossima si torna al format usuale, non disperate), mi
è sembrato il momento di condividerle.
Dal diario di Rorshach, 12 Ottobre 1985:
“Le strade sono lunghi rigagnoli e i rigagnoli sono pieni
di sangue e quando alla fine le fogne si ricopriranno di croste, tutti i
parassiti della società affogheranno. Tutto il loro sesso e i loro delitti,
accumulati come sudiciume, li sommergerà fino alla cintola e tutte le puttane e
tutti i politici guarderanno verso l’alto e grideranno “salvaci!”…e io guarderò
verso il basso, e sussurrerò “no”.”
(Watchmen #1, Alan
Moore, 1985)
Ascoltando “Filth”, debutto discografico degli Swans
datato 1983, non riuscivo a togliermi dalla testa l’incipit del capolavoro di
Alan Moore. Immaginavo il volto di Kovacs dietro la maschera, deformato dal
lugubre, insondabile ghigno, lo stesso raffigurato in copertina, mentre osserva
la brutale catarsi che sta avvenendo sotto di lui. Suona come una sorta di
masochistica purificazione a cui si è forzati a partecipare dalla musica di
questa band newyorkese. È impossibile e forse insensato dato lo stile
monolitico dell’opera, analizzare il disco canzone per canzone. Filth è un
unico blocco granitico da cui emerge una fiera tanto bestiale quanto i colpi di
scalpello che l’hanno liberata. Ed ecco quindi le percussioni secche, potenti,
marziali, con quell’aggressività e ripetitività tipiche dell’industrial e della
No Wave che, nella loro solo apparente trasgressione, riescono a squarciare il
velo di ipocrisia della società smascherandone le perversioni. Scordatevi qualsiasi
genere di melodia: gli strumenti vengono malmenati, percossi più che suonati. Chitarra,
basso e i vari suoni campionati creano un’atmosfera di cacofonie discordanti e
ripetitive; vengono consumati atti di pura violenza ai danni delle vostre
orecchie, ma allo stesso tempo non riuscite a distaccarvi dall’oscuro fascino
che questo fitto e intricato telaio di suoni e rumori induce nella vostra
mente. Da questa solida, metallica impalcatura noise emergono impetuose e
impietose le urla di Michael Gira. È difficile definire testi le frasi ululate
dal cantante e bassista, vera anima del gruppo fin dagli esordi. Sembrano in
realtà crudeli e bestiali norme, i comandamenti di un perverso regime.
“Look
straight ahead”.
“Don’t
talk until you’re spoken to”.
“Use sex
for control”.
“Use
hate for freedom”.
Fino a toccare verso il finale, vette di disturbante
veemenza:
“Knock
him down.
Cut off
his deception.
Murder
his influence.
Rape his
memory”.
Da brividi. Quando ho ascoltato “Filth” la prima volta ho
pensato che fosse la cosa più brutale in cui mi fossi imbattuto fino a quel
momento.
Poi ho ascoltato “Cop”.
“Cop” usci l’anno successivo a “FIlth”, e ne è l’ideale
prosecuzione dal punto di vista musicale e tematico. Con una formazione oramai stabilizzata (di cui in
particolare Gira e Westberg diverranno i punti di riferimento), gli Swans
proseguono nella loro progressiva emancipazione dal movimento No Wave,
evolvendosi ed emergendo come una delle realtà underground più interessanti degli
anni 80, che dalle audaci sperimentazioni post-punk stavano lentamente
scivolando verso quel pop plastificato che avrebbe dominato il mainstream del
decennio successivo. In particolare gli Swans contribuirono con la loro musica
a creare un humus di sonorità nuove e alternative da cui avrebbero tratto linfa vitale
gruppi ormai storici come i Sonic Youth, giusto per citarne uno.
“Cop” si spinge, se possibile, ancora di più nelle
profondità di quegli oscuri anfratti esplorati da “Filth”. Il ritmo viene notevolmente
rallentato, la musica arranca, procede faticosamente, come un moderno Sisifo
costretto a spingere la sporca, meschina e ipocrita anima del mondo occidentale
contemporaneo. In eterno, senza tregua. Questa andatura lenta, cadenzata, si
riflette sulla musica accentuandone cacofonie e contrasti. Ciò che risulta
dalla ripetizione angosciante di questi suoni e ritmi è una descrizione cruda
e terrificante di una società “catena di
montaggio”. Un mondo di macchine votate alla perpetua produzione, reprimendo
ogni istinto o pulsione, sia essa di vita o di distruzione, sacrificando se
stesse al dio Mercato. L’individuo non ha modo e non ha motivo di esprimere se
stesso, mortificato nello spirito.
“You’re
superior.”
“I don’t
exist.”
“You
control me.”
“You own
me.”
“I worship your authority.”
Gira dipinge con violente e selvagge pennellate un ritratto desolante e
nichilista dell’Occidente della Reaganomics e del Tatcherismo, incapace di
comprendere e superare le proprie contraddizioni.
“Nobody beats
you like a cop in jail” sono i versi biascicati nella traccia che dà il nome
all’album. Non è solo un abuso di potere ciò che viene denunciato (“A
mezzanotte tutti gli agenti…”) ma qualcosa di psicologicamente più complesso. Bigottismo e malsane declinazioni del pensiero
secondo cui il fine giustifica i mezzi non sono sufficienti a mascherare la
consapevolezza del male perpetrato, che viene quindi colpevolmente nascosto. Sotto
la patina del benessere economico, lontano dalla vista e allo stesso tempo
sotto gli occhi di tutti, il mondo sta marcendo.
Gli Swans non
sono certo i primi a trattare certi temi nella loro musica, tuttavia vi è una
sostanziale differenza rispetto alle opere di altri musicisti. I gruppi della
prima ondata Punk e la successiva scena Rap/Hip Hop, pur essendo
sostanzialmente differenti affrontavano le questioni politiche e sociali allo
stesso modo: di petto, con rabbia e talvolta scomoda ironia, attaccando
direttamente ciò che andava contro i loro principi. Vi era uno scontro concreto
dove ad ogni azione corrispondeva una reazione in musica. Altri gruppi e altre
scene avevano un atteggiamento diametralmente opposto: si concentravano
sull’individuo, creavano personaggi con complessi profili psicologici dalla cui
esperienza più o meno fittizia nasceva una critica. È il caso di “The
Wall” e “The Lamb Lies Down on Broadway”.
Nel caso degli
Swans non avviene niente di tutto questo. La loro è una presa d’atto, non di
posizione. “Filth” e “Cop” si limitano a fornire una realistica, cruda
descrizione del mondo come appare, rimandando riflessioni e opinioni
all’ascoltatore. Sta a lui decidere a cosa credere.
In una recensione a posteriori Ned Raggett scrisse: "Early
Swans really is like little else on the planet before or since", ed è
probabilmente vero. Negli
album successivi sperimenteranno lentamente suoni differenti, più acustici e
meno meccanici. Si può dire che con questi due lavori finisce la “prima fase”
della carriera degli Swans, impetuosa e seducente come la creatura da cui
prendono il nome.
Davide Quercia
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