Incamminiamoci insieme in un percorso nuovo, inesplorato,
vergine. Una strada di campagna con l’erba, fresca di rugiada, alta fino alle
ginocchia. Una spianata di verde che rappresenta la fantasia, l’immaginazione
infantile. Dopo mesi sono finalmente riuscito a trovare quel tempo che mi
mancava per dedicarmi ad un piccolo progetto personale a cui tengo molto e che
avevo nella mia mente fin dall’inizio di questa esperienza condivisa.
Finalmente comincia questa nuova serie di articoli diversi, più personali, introspettivi
e meno preimpostati su canoni stereotipati. Più fanciulleschi, volendo rimanere
in tema Ghibli. Da oggi in poi, a cadenza quindicinale, troverete un articolo
incentrato su di uno specifico film d’animazione diretto dal maestro Miyazaki e
prodotto dal suddetto studio Ghibli. Il tutto congeniato seguendo l’ordine
cronologico, in modo da assorbire anche i cambiamenti della persona del regista
e intendere implicitamente lo sviluppo della sua posizione in riferimento a
determinate tematiche ricorrenti. Gli approfondimenti non devono però essere
intesi come recensioni tecniche attente e puntigliose, ma come osservazioni
personali sulla poetica, sullo spirito e l’intento dell’opera in questione. Si
dia dunque inizio alle danze, a partire da quel Castello nel Cielo che
trent’anni fa racchiuse in se lo sviluppo di un culto. E Laputa sia.
Qualche breve accenno di trama per rendere l’articolo
comprensibile anche ai meno abbietti al genere e all’autore: in un
presente/passato steampunk, in cui i bambini sono costretti a lavorare in
miniera sulla scia degli spazzacamino della Londra ottocentesca, una ragazza di
nome Sheeta viene rapita e tenuta prigioniera su un’aeronave. Questa viene poi
attaccata da un gruppo di pirati aerei e nel parapiglia la protagonista riesce
a scappare dalla sua camera, ma finisce per cadere nel vuoto. A salvarla è il
potere di una pietra azzurra che portava al collo. La ragazza, svenuta, finisce
leggiadra tra le braccia di giovane minatore, il quale dovrà difenderla dall’esercito
e dai pirati che mirano a lei per il raggiungimento di Laputa, la misteriosa
isola nel cielo.
Prima di dedicarmi a questa personale analisi dell’opera
di Miyazaki, mi sono documentato su altre fonti online e ho fatto attenzione
alle interpretazioni altrui di precisi simboli utilizzati dal maestro dell’animazione.
Spesso ho sentito riassumere l’intera filosofia di questo film in due parole:
ecologismo e antimilitarismo. Nella loro semplicità non sono errate, ma
restituiscono un quadro striminzito di Laputa che non rende giustizia a molte
sfumature profonde presenti nella pellicola. Ogni elemento, anche quello all’apparenza
più insignificante, può nascondere una metafora profonda portatrice di
riflessioni ancora contemporanee. Il castello stesso, che dà il nome alla
traduzione italiana del titolo, ad esempio rappresenta, a mio parere, l’intero
pianeta Terra, composto da una componente umana e da una naturale, la quale
agisce attivamente sulla parte artificiale attraverso dei robot che, dal fitto
muschio che li ricopre, dimostrano di essere elementi invisibili, agenti in
incognito, forze della natura che agiscono nel regno dell’immateriale. La flemma
usuale di questi robot antropomorfi indica la pazienza innata del mondo
naturale che, per quanto possibile, cerca di collaborare con il genere umano,
di viziarlo e accompagnarlo anche nelle azioni più discutibili.
Il problema sorge nel momento in cui l’uomo vuole
eliminare gli spazi vitali del mondo naturale, ossia della componente verde di
Laputa, per accrescere il potere distruttivo dell’isola e quindi sottomettere
Gaia al fine di sottomettere il mondo degli spiriti umani. Il potere di poter
decidere il confine tra l’uomo e la natura ha fatto così emergere l’avidità
umana, di fronte alla quale il verde non può che ribellarsi e provare a
contenere l’autodistruzione forzata. Si ha quindi una rivolta della natura
contro gli stessi dominatori, padroni di Laputa, che non hanno saputo trovare
un equilibrio vantaggioso per tutti. Emblematica è la scena in cui l’erede al
trono dell’isola riesce a penetrare nella stanza ultima e si stupisce della
presenza di vegetazione. Come in un gioco da tavolo, la Natura ha occupato
nuove caselle, nuovo spazio di possibilità per continuare a sopravvivere,
tentando di mantenere una sorta di equilibrio con lo strapotere negativo che l’uomo
ha esercitato sull’altro uomo. Ciò ha reso l’immagine della gloriosa isola nel
cielo corrotta, sporca, indistinta e priva di ordine. Ciò ha fatto emergere le
incongruenze di una società intera, che viene poi riassunta nella sola stirpe
della protagonista, e ha fatto sì che la situazione trovasse soluzione solo
nell’estinzione del genere umano. A rimanere sull’isola sono stati infatti solo
i robot, che ancora però tentano di stabilire un contatto con gli uomini
attraverso gli omaggi alle sepolture, quasi a voler rimarcare la volontà del
cielo di farsi uno con la terra. Se pensiamo all’aeropietra centrale dell’isola
come all’essenza stessa del globo terrestre, capiremmo la distanza fisica che
intercorre tra le due realtà ad indicare lo spazio siderale che separa la
corruzione umana dal compromesso al quale la natura sarebbe pronta a scendere
in caso di incontro. Ma gli uomini non hanno intenzione di retrocedere nella loro
colonizzazione violenta e mirano tutti, indistintamente dalla loro funzione nel
mondo, al dominio dall’altro attraverso lo spazio naturale che li circonda. L’unica
persona anziana, gobba e saggia che ha timore del contatto diretto con la
pietra è stata relegata nel sottosuolo, a credere di vedere le stelle nelle
gocce di rugiada di una miniera. Gli uomini senza scrupoli hanno abolito un
progetto di vita pacato e ragionata in preda alla loro auto deflagrazione orami
prossima.
La natura invece, a differenza di quanto pensa l’uomo
disonesto ed egoista, sarebbe disposta a concedere grandi benefici al nostro
genere. Gli aviopirati infatti escono quasi indenni e molto più ricchi dallo
spettacolare scontro finale, a differenza dei militari, che invece non
puntavano alle ricchezze materiali del castello, ma alle potenti armi di
distruzione di massa. Il compromesso naturale sarebbe effettivamente
sbilanciato a favore di un genere umano che invece non si accontenta e pretende
anche più di quanto la natura riuscirebbe mai a garantire.
La parola distruttrice utilizzata da i due protagonisti
in uno spettacolare ed emozionante finale potrebbe essere intesa come la
purificazione del mondo nell’autodistruzione, ma l’esito dell’opera va contro
le aspettative di tutti e la pietra rientra ne suoi cardini di levitazione dopo
una spoliazione assai significativa: come detto i precedente, l’isola volante
che rappresenta l’intero pianeta è composta da due realtà distinte che si
integrano in maniera discreta. La parola distruttrice ha lo scopo di ripulire
la natura dalle scorie di una civiltà passata per tornare a far giganteggiare
uno fronda maestosa e respirare delle radici infinite, oppresse e oscurate,
lontane dalla luce del sole e dalla frescura della terra. La liberazione della
natura dal dominio egoistico dell’uomo rappresenta l’unica via di sopravvivenza
per il mondo verde, nonostante questa pratica drastica comporti ingenti danni
alla componente umana. Quando la notte è vicina la parola distruttrice pare
essere l’unica via.
Da questa analisi emerge quanto in realtà l’antimilitarismo
sia solo un sottofondo animato che risulta funzionale più alla trama dell’opera
che al messaggio dell’autore. A mio parere l’aspetto ecologico invece non si
presenta in maniera sterile come parrebbe da qualche interpretazione, ma appare
molto politicizzato e, se preso per il giusto verso, invita ad una nuova consapevolezza
del rapporto bilaterale con la Natura in modo da ottenere un doppio vantaggio.
Il maestro Miyazaki prova a spronare un pubblico infantile attraverso una
propaganda celata ed edulcorata e uno più adulto mediante una semina infinita
di metafore intelligenti e mature che purtroppo in pochi hanno il piacere di
cogliere e condividere. La natura non è contro l’uomo, e forse l’uomo non si
schiera mai direttamente contro la natura, ma l’uso violento che l’uomo
vorrebbe fare del potere naturale porta inevitabilmente i robot ad assumere un atteggiamento
ostico, e lo scontro non potrà mai terminare se non con l’estinzione dell’uomo
dal Castello nel Cielo. E se volete davvero credere a quel Castello che si
staglia dietro il ciclone, abbiate il coraggio di fare un passo indietro.
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