Nuovi attentati a Bruxelles. 34 vittime accertate e
centinaia di feriti, alcuni gravi, in seguito agli attacchi kamikaze rivendicati
dall’Isis. Un continente sotto shock e una certezza perduta, ormai da tempo
perduta.
Probabilmente non l’avrete mai notato, se passate di qui
occasionalmente o se è la prima volta che cliccate per sbaglio su questa
pagina. Forse ve ne sarete accorti, se mi seguite da più tempo o se avete uno
sguardo attento e sensibile. Ma quando accadono eventi di questa portata il
Blog si ferma, la pagina facebook si ferma. Non che cambi qualcosa nel mondo, ma c’è
bisogno di silenzio, quando non si sa cosa dire e soprattutto quando non si è
nella posizione di dirlo. E a nulla vale la tecnologia e la globalizzazione se
questo scempio è l’apice della nostra umana comprensione.
Lo scorso novembre fui molto scosso dagli eventi di
Parigi. Per qualche giorno pensai fosse finito il mondo con il tramonto della
nostra umanità, ma poi mi ripresi e mi accorsi che il mondo non era finito
neanche dopo Auschwitz. Perché dopotutto il tempo continua a scorrere. In preda
ai sentimentalismi romantici e tragici scrissi quindi un articolo particolare, di
getto. Si chiamava “Sono morto al Bataclan” e raccontava in maniera romanzata il
tredici novembre di un ragazzino immaginario di provincia che, in mezzo ai
soliti problemi dell’età, la scuola e le ragazze, era riuscito ad andare a
Parigi per vedere gli Eagles of Death Metal, band a lui cara. Il tutto
terminava con una serie di buoni propositi per il futuro da parte del giovane che si chiudeva con “…ma
non mi accadrà nulla di tutto ciò. Non tornerò a casa stasera: sono morto al
Bataclan”. Ad essere sinceri un pezzo sentito e toccante in alcuni frangenti,
soprattutto considerando il fattore immedesimazione. Ma perché, se scorrete
indietro sulle pubblicazioni di questo piccolo blog, non troverete mai tale
articolo? Fin dalla stesura non ero convinto dell’eccesso di retorica che permeava
e debordava in alcuni momenti (tra cui il suddetto finale), ma la goccia sono
stati i giorni televisivi successivi all’attentato: un tripudio di inviati o
presunti tali, speculatori, finti giornalisti d’inchiesta e soprattutto
tuttologi opinionisti che mi hanno fatto rivalutare del tutto il mio pezzo e la
mia posizione rispetto all’argomento. Con la possibilità di sfruttare il mio
mezzo di comunicazione ho realizzato l’importanza del silenzio e della parola
pesata. Ciò che davvero mi ha colpito nel profondo è stato l’accorgermi dell’inutilità
del mio articolo. A chi era rivolto? Quale scopo aveva? Cosa aggiungeva al
dibattito? Ecco il vero punto: ogni disgrazia genera inevitabilmente un
dibattito nel quali alcuni cercano di esprimere la loro posizione e altri si
accodano e seguono ad occhi chiusi. In un dibattito già futile ed inflazionato,
cosa avrebbe apportato di innovativo il mio pezzo? Nulla. Niente di utile,
niente di intelligente. Allora ho scelto di buttare al vento ore di scrittura e
pensiero creativo per mantenere salde le mie convinzioni e soprattutto per
scoprire il mio contributo alla causa nel silenzio. Il rispetto calpestato di
quelli che leggiamo ed esprimiamo come numeri.
Poi lo sdegno per il turpiloquio mediatico è passato e
siamo tornati alla solita routine, con luminari del terrorismo diluiti e più
argomenti adatti al contesto televisivo. Poi è capitato di nuovo, a Bruxelles
qualche giorno fa, e di nuovo siamo stati investiti dalla macchina della
disinformazione strumentalizzata e reazionaria. In questi giorni, in preda alla
rabbia fisica e mentale, ho assistito a salotti preparati per l’occasione, a
Giampiero Mughini che illumina la plebe sul ruolo di Salah, a Bruno Vespa che
sostituisce il suo consono plastico con una radiografia di una vittima con un
chiodo di dieci centimetri piantato nello sterno (notizia rivelatasi una bufala
già ore prima lo spettacolino serale del nostro giornalista tipo), a Barbara D’urso
commuoversi nel raccontare delle vite dei defunti nell’attentato, ad Adinolfi
che incolpava degli attentati - UDITE UDITE - i cristiani europei che non hanno
avuto il coraggio di difendere le loro origini religiose. E poi ancora gli
xenofobi sostenitori della Fallaci. Ma, più d’ogni altra cosa, ad alimentare in
me sentimenti di disgusto per lo stucchevole teatrino messo in piedi da questo
sistema impostato su valori sbagliati è stato il solito Matteo Salvini, che ha
colto la palla al balzo e, dimostrando di essere uno dei più acuti politicanti,
ottimamente consigliato dal suo agente di immagine, è stato ritratto nell’ormai
celebre foto al cellulare. Perché in quel modo, in quella posa, con quella
espressione e con quello strumento è riuscito perfettamente a far credere ai
suoi pochi elettori che lui (e quindi la sua proposta medievale) rappresenta la
chiave di svolta della situazione, la soluzione. Iconografia moderna,
inconscio. E allora basta con il finto black humor che vuole infierire sulle
tragedie, ma ben vengano tutti i meme che circolano in questi giorni sulla foto
del leader del carroccio. Questa è la satira che smonta una campagna violenta e
sudicia.
In questo modo, in seguito all’ondata di finta comunicazione,
i mezzi di comunicazione hanno risvegliato consapevolmente lo spettro dell’ignoranza
della posizione di chi sa ma non tutto, di chi sentenzia ma non è giudice di
nulla, di chi mistifica, odia, incolpa, ma non conosce la realtà dei fatti. A mio
parere ci sono diversi livelli di comunicazione e diversi livelli
interpretativi di un evento. Ci sono livelli di conoscenza accessibili solo
alle alte cariche funzionarie, conoscenza che collima col potere che queste
cariche rappresentano, e che serve loro per valutare in toto la situazione e
prendere una decisione più ragionevole. I teatrini televisivi non possono
questo, ma emulano e inducono a pensare che gli sprovveduti spettatori possano
spostare gli equilibri con una sentenza, una frase, un giudizio azzardato o un
tweet. Andando così a calpestare momenti che stanno passando alla storia e vite
che in un attimo si sono spente nell’orrore della tortura fraterna. Ogni parola
un insulto. La più grande forma di rispetto per un dramma, quando la vostra
posizione di uomo non richiede che voi vi esponiate oltremodo, è e rimarrà
sempre il silenzio. Quindi fate più di un minuto di silenzio, una vita non guasterebbe.
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