FILM: Inside Llewin Davis (2014)
Utilizzo il titolo originale perché la traduzione “A
proposito di Davis”, che cerca di strizzare l’occhio alle commedie goliardiche
anni ’90, mi è sembrata fuori luogo ed evitabile. Inside Llewin Davis è invece
l’album solista che il protagonista tenta invano di proporre ad agenti ed
impresari durante l’intera durata del film.
L’ultimo capolavoro dei Coen (in attesa del prossimo “Ave,Cesare!”) è, a mio parere, un film perfetto, privo di sbavature. Uno dei
migliori prodotti del 2014, nonostante non abbia ottenuto grandi riconoscimente
a livello di critica.
La trama è pressoché assente: la macchina da presa si
limita a seguire in maniera compassionevole, ma mai pietosa, una settimana
della vita di Llewin Davis. Né un inizio, né una fine. Solo vita. Perché la
vita non ha trama, la vita scorre e l’uomo si trova spesso ad essere trascinato
dagli eventi senza riuscire a lasciare la sua impronta su questa Terra. Llewin
è uno sfortunato musicista folk che, all’inizio degli anni ’60, dopo la morte
del partner, cerca di sbancare il lunario e rimanere vivo a dispetto di un
mondo a cui lui è inadatto per natura, probabilmente. Gli eventi lo investono e
lui riesce sempre e comunque a prendere la decisione sbagliata, non tanto perché
sia sbagliata in senso assoluto, ma forse più perché è proprio lui a prenderla.
Non possedendo un alloggio, è inoltre costretto a scroccare un posto sul divano
di amici, conoscenti, sconosciuti. Tanti gli voltano le spalle e pochi rimangono
vicini a lui. Inoltre un figlio in arrivo rischia di uccidere definitivamente
il sogno di vivere di musica.
La svolta potrebbe arrivare da un viaggio che Llewin compie
verso Chicago alla ricerca di fortune migliori. L’ultima spiaggia. A voi il
piacere di scoprirne l’esito.
In tutto questo contesto malinconico e in parte
struggente, i Coen riescono a far ridere e sorridere lo spettatore con la loro
solita comicità nera e graffiante che prende di mira tutti senza fare nomi. Riusciamo
ad affezionarci al protagonista perché tra i due opposti, la vita disgraziata e
sfortunata e la comicità sopra le righe, arriva al pubblico in maniera molto
naturale, realistica.
Il comparto tecnico come al solito si conferma sopra la
media riuscendo a rendere perfettamente le atmosfere gelide della New York
degli anni ’60 e a trasmettere le emozioni che il protagonista prova anche
attraverso le immagini. La colonna sonora inoltre confeziona il capolavoro
innalzando a dismisura il livello del prodotto.
Il messaggio dei fratelli Lumiere è quello di non
giudicare mai il clochard che troviamo per strada, l’artista di strada, colui
che soffre, che tenta, ma che non riesce a trovare mai la chiave per aprire la
porta giusta. Chi sbaglia, chi pecca e chi perde oggi e anche domani, perché molto
spesso l’insuccesso, la fatica, la povertà e l’infelicità sono condizioni
dettate dalla fortuna, più che dalle doti o dalle scelte. A volte compatire senza
provare pietà è la scelta migliore. Semplice poesia. VOTO: 10
FILM: Zoolander (2001)
Spiegare la trama di questo classico moderno sarebbe
inutile. Chi di voi non ha visto neanche una volta nella vita le espressioni
facciali che hanno reso famoso sia il personaggio di Zoolander che il suo
interprete Ben Stiller? Immagino pochi.
Ci troviamo di fronte ad una commedia semplice ma non
stupida che cade volontariamente spesso nella demenzialità e nel nonsense, ma
lo fa con misura riuscendo ad essere allo stesso tempo dissacrante e
intelligente. Il finale probabilmente tende leggermene verso la componente meno
acuta della comicità del film, ma in generale Stiller si dimostra coerente
nella scrittura di un opera parodistica che rimane sulla stessa linea dall’inizio
alla fine (aspetto non da sottovalutare per film di questo genere).
Non ci troviamo di fronte ad un capolavoro o ad un film
che ha rivoluzionato i canoni, ma la discreta qualità ha contribuito alla
genesi del cult sdoganando ormai ogni espressione ormai di dominio pubblico. Alcune
scelte, alcune scene rivedibili e un comparto tecnico (in particolar modo la
regia) non eccelso però ridimensionano l’opera. VOTO: 7
ALBUM: Maximilian (2015)
Max Gazzé torna ad imitare David Bowie e, dopo le lenti a
contatto di colori diversi, decide di crearsi un alter ego e di tornare a fare
musica senza gli altri componenti del trio FSG proponendo, almeno sulla carta,
un sostanziale cambiamento nelle sonorità e nei testi. “Almeno sulla carta” perché
io tutta questa ventata d’aria fresca non l’ho percepita e per me Maximilian
non differisce poi molto dal vecchio Max. il singolo che ha anticipato l’album
è molto orecchiabile, ben studiato, divertente e non banale a livello di testo,
ma, a parte “La vita com’è”, l’album riserva poche sorprese andando a ricalcare
i soliti stilemi gazzeani. Le novità a livello di sonorità si percepisco quasi
unicamente all’inizio, quando in realtà l’album parte in maniera convincente
mostrando subitamente le potenzialità del cantautore romano. Tutto però poi va
lentamente a morire nella consuetudine e nella banalità di testi che, se
privati di qualche metafora interessante, potrebbero essere stati scritti da un
bambino. Amore, amore, sempre amore. “Teresa” il prossimo singolo, secondo me.
VOTO: 5
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