La piccola grande creature di Soderbergh è in lenta ma
costante crescita. Il che fa sperare in un climax ascendente che porti la
seconda stagione quantomeno a livello della prima. Rispetto al secondo e al
terzo, il quarto e il quindi episodio delineano finalmente una trama di fondo
che riesca a colpire e ad appassionare lo spettatore. I momenti migliori di
questa doppia puntata li abbiamo infatti quando l’attenzione della macchina da presa
(impugnata dispoticamente dallo stesso regista) si sofferma sul protagonista
della serie e sui personaggi che sono legati a lui in maniera più diretta. Più una
sottotrama è vicina e coinvolge Thack, più questa risulta appetibile ed
interessante. Il problema sorge quando la narrazione indugia su storie lente e
scontate come le disavventure della suora infanticida o la vita di coppia dell’immorale
Barrow.
Va però riconosciuto che, a volte, gli sceneggiatori sono anche
riusciti ad introdurre sottotrame interessanti come la nuova vecchia moglie di
Edwards o le uscite serali dell’infermiera Lucy. Spero che il medico nero più
amato dell’East coast riesca a liberarsi della fastidiosa (ma giustificata)
donna sposata in un attimo di distrazione. Chi di voi non sposerebbe una
ragazza in un momento di euforia? Sono invece abbastanza felice per l’infermiera-ginecologa
che finalmente sembra essersi allontanata dalla figura negativa ed ingombrante
del primario, ma avrei preferito che, al posto del belloccio rampollo, ci fosse il simpatico e non più innocente Bertie. Bertram che intanto sta
silenziosamente rubando la scena a tutti gli altri protagonisti attraverso la
trama meglio calibrata, scritta e strutturata. Fondere insieme elementi di
novità derivati dal suo trasferimento, l’amore per un’adorabile ed esilarante
reporter ebrea, il dramma della madre e la ricerca storicamente credibile sulla
radioterapia e sull’adrenalina contemporaneamente non era, sulla carta, semplice
da realizzare, e invece la storia del giovane medico scorre piacevolmente e
tutto sembra poter diventare con il tempo la colonna portante dell’intera
serie. Una sorta di passaggio di testimone tra Thackery e Bertie che non mi
auguro, ma che a questo punto potrebbe verificarsi, viste le premesse.
In ogni caso considero il quinto episodio il migliore
della seconda stagione finora in quanto è riuscito abilmente a mescolare la
vita ospedaliera con le storie personali dei vari protagonisti; ci ha mostrato
nuovamente un Thack catturato in toto dalle sue ricerche (che mi parrebbe non
siano andate a buon fine) e ha ristabilito un ordine gerarchico parzialmente
accantonato nel terzo episodio. Altro enorme punto a favore di questa doppia
puntata è stata la comicità ritrovata. Dopo qualche passaggio a vuoto siamo
infatti tornati a ridere come non facevamo da tempo all’interno dell’ospedale
in cui non vorremmo mai capitare. Black comedy pungente che si avvicina in
parte a quella insuperabile di Fargo (la serie, quella che dovrei commentare di
tanto in tanto - quando trovo tempo).
Thack invece, oltre a rendere i propri pazienti delle comparse
di quel quentiniano film sui nazisti, pare aver riallacciato i rapporti con la
ragazza dal naso alquanto stano, anche se la nuova modalità d’assunzione delle
droghe gli permette di non essere scoperto da Lucy durante i consueti
controlli. Credo che prima della fine avremo un lieve senso di deja-vu e probabilmente
sarà l’amore per la sua vecchia conoscenza a trattenerlo dall’andare oltre il
tremendo finale della prima stagione. Ma chissà, magari mi sbaglio. Magari questa
potrebbe essere l’ultima stagione di Clive Owen.
Ciò che pare chiaro ed evidente, per dirla in termini
cartesiani, è che le potenzialità di questo prodotto siano pressoché illimitate,
ma, nonostante ciò, rimangono ancora molti dubbi sulla costruzione degli
episodi, sulla scrittura e sul bilanciamento dei tempi. Sul finale del quinto
episodio (tanto spettacolare nelle scene successive allo scoppio della miniera,
quanto ammorbante nella parte conclusiva) ho pensato anche che forse parte
della colpa potrebbe essere attribuita alla lunghezza delle puntate che si
estende fino a un’ora quando probabilmente, limando alcuni elementi per farla rientrare
nei canonici quarantacinque minuti, si otterrebbe un ritmo più costante senza
sbalzi sì necessari ma eccessivi. Slegato dalla questione temporale è invece il
problema della lentezza nello sviluppo delle situazioni. A mio parere infatti l’evoluzione
di alcune sottotrame, probabilmente condizionata dall’eccessivo numero di
personaggi e rapporti tra questi, sembra davvero rallentata al limite del
sopportabile. Uno snellimento generale gioverebbe all’intera serie, credo. Ma quando
arriva il venerdì non esiste altro che il Knick, con tutti i pregi e i suoi
difetti.
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