Sarà ormai l’abitudine, sarà il suo tono pacato, sarà che
si mostra sempre per quello che è e mai per quello che il suo personaggio gli
chiederebbe di essere, ma quando conclude un suo canonico video con “Un bacione
dal vostro amico Dario Moccia”, io ci credo. Credo davvero che a parlare sia un
mio caro amico. Credo che, se ci trovassimo il sabato sera a discorrere delle
nostre passioni, e magari a programmare nuovi tour in Giappone, il suo tono
sarebbe quello dei video, i suoi tempi, le sue espressioni. Quello che rende
realmente Dario un potenziale amico è la trasparenza e la naturalezza con cui
abbatte le barriere tecnologiche irrompendo in camera nostra a portare un po’
di sana Nerd Cultura.
Quando il giovane divulgatore toscano ha annunciato la
sua partecipazione alla realizzazione di un fumetto, non stavo più nella pelle.
Rimanere al proprio posto portando avanti delle idee ben precise e coerenti
dall’inizio alla fine; questi i meriti che giustificherebbero da soli
l’acquisto, a mio parere. Poi ho finalmente messo le mani sull’albo realizzato
in collaborazione con il disegnatore Giovanni Fubi Guida e sono rimasto
attonito. Senza parole.
Agorafobia non è quello che un fan di Dario si sarebbe
potuto attendere. È diverso, nel senso che va oltre l’idea che noi avevamo del
ragazzo sotto l’effetto di taurina. Agorafobia è una storia breve ed
autoconclusiva sporca e cupa, fredda e disturbante. La trama, in breve, narra
di un ragazzo afflitto da un grande peso nell’anima che lo ha costretto a
chiudersi sempre più rispetto al mondo esterno, sia metaforicamente che
fisicamente. Passa le sue eterne giornate contemplando le avvolgenti coperte,
chiamando per nome i treni che passano vicino al lui. Il mondo che scorre ad
uno sputo dalla sua paura. Il pensiero ricorrente è sempre la colpa per la
presunta scomparsa di un amico che vediamo solo in un paio di frangenti
confusi. Gli elementi che più riescono a movimentare il quadro generale non
sono altro che una caduta e una sigaretta. Morte dell’anima.
Da questo punto di vista il nostro beniamino mostra della
lacune in fase di scrittura spesso evidenti, attribuibili più alla mancanza di
esperienza che a mancanza di idee originali. il concept di sviluppare un solo
personaggio e di farlo dialogare con se stesso è, parlando per esperienza
personale, la maniera più semplice di costruire una storia, sorvolando sulla
scrittura di dialoghi plausibili e sul bilanciamento dei tempi dei vari
personaggi.
I disegni di Fubi, che, giudicando il monaco dall’abito
qualche mese fa, quando erano uscite le prime tavole, non mi avevano fatto
gridare al capolavoro, invece aiutano in maniera convincente il lettore ad
empatizzare con lo stato d’animo del disperato e tremante protagonista
attraverso linee sporche, connotati abbozzati e macchie. Molte tavole sembrano
essere frutto di un incidente di percorso, di un rovesciamento del calamaio, ma
ogni linea fuori posto sembra essere lì per un motivo, per una paura recondita.
Ogni elemento grafico contribuisce a creare l’aspetto fondante che
contraddistingue l’opera: l’atmosfera. Ogni sguardo del protagonista sa di
morte, ogni battuta detta o pensata è un’agonia sia per il personaggio che per
il lettore se riesce ad immedesimarsi appieno. L’immedesimazione è appunto
importante per cogliere delle sfumature di significato che rendono la lettura più appagante e coinvolgente, ma ciò che davvero conta è l’esperienza. Due momenti
in particolare mi hanno colpito e toccato: l’inizio dell’opera, quando il
protagonista insonne osserva i piccoli oggetti della sua prigione, e la scena
dell’ombra allo specchio. Chiunque nella vita potrebbe trovarsi, o si è già
trovato in passato, a lottare strenuamente con l’ombra di se stesso, a cercare
di ribellarsi ad un istinto superiore che ci impedisce di vivere come vorremmo
e ci costringe ad arretrare, a rinunciare alla vita che sognavamo e che ci sta
sfuggendo di mano per colpa nostra. Nostra e di nessun altro. Essere nemici di
si stessi al punto di non vivere più, questa è la fine dell’uomo. Un’ombra
densa di dolore e rabbia che nessuno vede a parte noi; noi che facciamo finta
di niente e intanto pieghiamo la schiena.
Un tema sempre attuale trattato con la semplicità di una
voce esperta e di una mano mossa al punto giusto. Agorafobia (che potete trovare qui) è quindi un prodotto sinceramente poco innovativo e non esente da
pecche, ma è anche un punto di partenza per nuove collaborazioni di Dario e soprattutto un
viaggio. Un viaggio nella parte oscura dell’anima che viene sfiorata, ma non
approfondita. Alcuni momenti davvero ben calibrati, toccanti e disarmanti. A voi
la lettura dunque, purché il vostro animo sia pronto.
Un bacione dal vostro amico Mattia Santoro.
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