martedì 8 dicembre 2015

NOI NON SIAMO SALERNITANI

Il calcio è il nuovo oppio dei popoli.

Scopriamo una carta: nonostante sia ampiamente consapevole di quanto in realtà il gioco del calcio funga da enorme anestetico e contemporaneamente da valvola di sfogo ingiustificata per diversi milioni di Italiani, a me piace abbastanza e quando posso lo seguo. Lungi da me però un condizionamento della mia vita privata in relazione ai risultati della domenica. Quello è, a parer mio, un degenero dell’iniziale e genuina passione che dovrebbe accompagnare ogni evento sportivo. Ma qui in Italia il calcio è molto di più.


Essendo legato ancora alle mie terre natie, spinto dalla curiosità di luoghi abitualmente non frequentati, ho deciso, con la mia famiglia, di passare una giornata diversa andando a vedere al Menti di Vicenza la squadra di casa sfidare la drammatica Salernitana nel posticipo dell’ennesima giornata di serie B. La partita, per la cronaca, è terminata con un deprimente e sonnolento 0-0, ma non è stato tanto lo “spettacolo” (se di spettacolo si può parlare) in campo o il risultato finale a colpirmi, quanto un paio di cori intonati dalla curva biancorossa (foltissima) rivolti alla desolata amaranto. A pochi secondi dal fischio d’inizio, infatti, è aleggiato nell’aria un dolcissimo e per niente razzista “Benvenuti in Italia!”. Si, siamo nel 2015 e, dopo anni di sanzioni, partiti politici speranzosi che inneggiavano all’odio (che - badate bene - non sono morti, ma digievoluti), discorsi politicamente corretti e curve chiuse, ci ritroviamo ancora a parlare di razzismo territoriale. Ci ritroviamo ancora a parlare di sciocchi tifosi di curva, categoria tanto rumorosa quanto incolta, che interpretano il sostegno alla loro squadra del cuore (o della pelle, se ce l’hanno tatuata addosso) come insulto della compagine avversaria e dei loro pochi supporter accorsi dal lontano sud. E quale modo migliore di provocare un centinaio di infreddoliti se non dimostrare di dormire ogni notte con lo Chabod sul comodino, facendosi beffe della "questione meridionale" e richiamando all’odio verso il diverso che tanto caro fu ai vecchi giovani padani?


L’Italia ha da sempre mostrato delle evidenti difficoltà nell’unificazione dei popoli peninsulari, che da sempre si sono formati con modelli culturali di matrice diversa (ma indubbiamente compatibili), negli ultimi anni, però, lo spostamento della rabbia e dell’odio represso, derivato dall’insofferenza a cui ogni essere umano è sottoposto giornalmente, verso gli stranieri più stranieri ha fatto in modo che il meridionale venga oggigiorno malvisto ma non violentato verbalmente; guardato con sospetto, come quei rom che rubano il rame (reale piaga sociale - sveglia!1!!1), ma dopotutto accettato, perché la società lo vuole, perché l’Italia lo vuole, perché i giornali lo vogliono. Ma quando l’arbitro fischia, la bestia è libera di scorrazzare e di esprimere la sua antidemocratica idea sopita. E quindi benvenuti in Italia piccoli Salernitani, benvenuti nella civiltà degli incivili e delle bestie!
L’altro coro che mi è rimasto in mente e mai se ne andrà è invece molto più divertente, spigliato e ironico: “Noi non siamo Salernitani!”; con annesso elementare battito di mani classico imparato alla Juilliard di New York. Al ché io e mio fratello, anche lui presente al big match, ci siamo guardati con un leggero sorriso ricolmo di amarezza e consapevolezza. Come spiegare loro che una costatazione di fatto non fa un’offesa, o meglio: come spiegare a me e a mio fratello l’accezione dispregiativa che una marmaglia di gente ha tentato di dare alla parola per la popolazione di una città vicina a noi e alla nostra cultura? Cosa vuol dire “Salernitani” in quel contesto? Tutto. Tutto ciò che di negativo vi viene in mente. Cancellate la parola “Salernitani” e aggiungente un aggettivo dispregiativo a piacere; il peggiore che vi viene in mente. Non sbaglierete.


Questa mia riflessione non vuole andare contro il Vicenza, il Verona, il Vercelli (e tutte le squadre che cominciano per V), ma vorrei fosse intesa in senso generale. Anche per le tifoserie del sud che cantano gli stessi cori a parti invertite. Perché se questo è il mondo che ruota attorno al rettangolo verde, cambio volentieri canale.

Ma nel caso specifico un consiglio per il Vicenza (che non leggerà mai quest’articolo su questo blog sconosciuto) ce l’avrei: caro signor Vicenza, quando il prossimo anno, verso agosto, i tuoi tifosi verranno da te con i soldoni guadagnati d’estate ad acquistare un abbonamento per la curva, assieme alla tessera e a qualche gadget biancorosso, regala loro anche un libriccino, anche piccolo. Basterebbe poco. Basterebbe “Il Piccolo Principe”, magari nella versione illustrata, così da renderla accessibile anche ai meno abbietti alla lettura. Grazie. 

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