Rieccoci a distanza di ventiquattrore per terminare
quanto cominciato. Avevamo lasciato le due stagioni di True Detective sul
risultato di uno pari dopo i primi due punti del confronto. Alla prima i
personaggi e alla seconda la sigla. Se siete giunti su questa pagina senza
passare dalla prima parte, potete recuperare cliccando qui. Nient’altro da
aggiungere. Rituffiamoci nell’oscurità dell’animo umano.
III) Trama e Narrazione
Due trame da Oscar che puntano su aspetti totalmente
diversi per stupire lo spettatore e coinvolgerlo in un turbine di misteri,
suspance e colpi di scena. La prima stagione si basava principalmente sulla
trama per poter raccontare lo sviluppo di un rapporto d’amicizia tra due agenti
completamente diversi tra loro, mentre per la seconda è il contrario: le
indagini sul caso Casper fanno da sfondo e giustificano le peripezie di un
gruppo di uomini incastrati in una situazione più grande di loro. Questa
differenza di struttura si ripercuote anche nel ritmo: la seconda stagione
infatti, a differenza della prima, fatica ad ingranare e a focalizzarsi sul
punto focale dell’intera serie, ossia l’analisi profonda dell’animo dei
protagonisti. La prima invece riusciva egregiamente a risultare godibile e
bilanciata fin dall’inizio.
Anche la narrazione presenta nette differenze. Rust e
Marty rivivono gli eventi delle prime indagini attraverso gli interrogatori
degli agenti che hanno riaperto il caso e proprio questo dualismo tra le due
epoche riesce a costruire una storia complessa e propria del genere
giallo/noir. La narrazione di Ray ad Ani invece è più classica, usuale e si
sviluppa in maniera ampia grazie al numero elevato di personaggi e sottotrame
che si riveleranno fondamentali nel finale. Anche in questo caso il tempo gioca
un ruolo fondamentale attraverso il timeskip centrale che segna la svolta e
l’accelerazione decisiva che cambia il ritmo dell’intero prodotto. Il mio punto
va però alla costanza e all’ingegno nella costruzione di una doppia trama
incrociata. VINCE 1. 2-1
IV) Finale e Messaggio
Ecco il punto che mi costringerà a fare gli spoiler meno
graditi da coloro che leggono questa classifica non avendo visto entrambe le
stagioni. I finali di TD suggellano il capolavoro o deludono amaramente. Non ci
sono mezze misure. Dal mio umile punto di vista entrambi i finali hanno vinto
le loro personalissime sfide e hanno definitivamente confermato l’insuperabilità
della serie nel settore specifico; ma uno in particolare ha riassunto in
maniera più complessa e matura l’intera storia che si apprestava a chiudere.
Il primo finale sfrutta inizialmente la tensione creata
nell’ora precedente e tenta di riproporre uno stile action-poliziesco già
apprezzato nel famoso piano sequenza della quinta puntata. Quelli dello scontro
con lo psicopatico serial killer sono attimo di altissima tensione, concitati e
ben bilanciati. Lo spettatore è davvero portato a credere che la fine sia
vicina, specialmente per Rust, la situazione invece volge inaspettatamente
verso il sovrannaturale. Il protagonista infatti, in un delirio fisico e
mentale, vede una figura non ben identificata, un fumo nero di lostiana memoria
materializzarsi davanti ai suoi occhi. A mio parere la spiegazione a ciò va
ricercata nella tagline della serie “Touch darkness and darkness touches you back”. Rust ha
accumulato tanta oscurità e cattiveria in sé da entrare in contatto con un ente
metafisico che rappresenta l’oscurità del mondo, qualcosa di assai astratto ma
di realmente tangibile in molte storie di vita vissuta. Toccare l’oscurità
riuscendo a riemergere, ecco la vera sfida vinta dall’ex agente. Ecco il vero
tema dell’opera, l’oscurità umana. La serie però si sarebbe conclusa in maniera
più cruda se uno dei due protagonisti avesse perso la vita nell’ultima azione,
invece tutto si risolve con i due malandati ma ancora integri e la loro
amicizia rinata dalle ceneri dopo l’operazione congiunta. Una sorta di tutto è
bene quel che finisce bene.
Il finale della seconda
invece è molto più dark e pessimista nei confronti della vita e del mondo. Le
ultime tre puntate sono un crescendo di disperazione e violenza che sfocia in
una tragica serie di eventi che non si pone affatto l’obiettivo di risolvere la
trama principale, il caso portante e le sottotrame relative alla mafia di
Vinci. L’obiettivo reale è quello di approfondire il tema della prima stagione,
l’oscurità umana, intrecciandolo con l’ingiustizia mondiale riassunta nella
tagline della seconda stagione “We get the world we deserve”, massima che
poi viene rovesciata per rinnovare un messaggio di speranza nel buio. Nel
mentre le cadute progressive dei protagonisti completano quanto era mancato
nella precedente stagione e portano la serie ad un livello più profondo. Un
progetto più difficile da realizzare ma assai più apprezzabile. Decisamente
riuscito, completa e supera il predecessore. VINCE 2. 2-2
V) Comparto Tecnico
Ecco forse il primo e lampante punto di connessione tra
le due stagioni: l’eccelsa qualità media dimostrata nel corso di sedici
magistrali ore. La differenza sostanziale sta nella scelta della produzione di
affidare l’intera prima serie a Fukunaga, mentre di optare per otto registi
diversi per curare la regia della seconda.
Dal punto di vista del sonoro e della fotografia le due
stagioni raggiungono pressoché gli stessi standard, mentre alla lunga le
diverse presenze dietro la macchina da presa si fanno sentire eccome. Fukunaga
infatti riesce ad evitare cali di ritmo, non si perde in grandangoli o
panoramiche inutili e si focalizza maggiormente sui volti e sulle espressioni dei
protagonisti. La scelta di cambiare sistematicamente la figura del regista
invece ha gravato sul ritmo e sullo stile di comunicazione che ogni artista che
si rispetti conferisce al proprio lavoro. Ciò pesa soprattutto quando le
immagini mostrate non vengono sostenute dal ritmo frenetico delle ultime
puntate. d’altra parte però, cinematograficamente parlando, una moltitudine di
stili arricchisce il prodotto, lo rende variegato, più resistente alle tarme
del tempo e più interessante per uno spettatore che magari voglia focalizzare
la propria attenzione sul comparto tecnico e sulla minuziosa analisi di questo
(cosa che io non ho fatto - non sono ancora così psicopatico).
A questo punto il mio giudizio propenderebbe per un
pareggio che poi si ripercuoterebbe però anche a livello generale decretando il
definitivo nulla di fatto nel confronto tra le due serie; ma so che a voi piace
vedere vincitori e sconfitti, all’uomo piace. Vediamo in tutto ciò che ci
circonda una competizione. Vincitori e vinti. Ma vi accontento. Prendiamo
quindi in considerazione le due scene meglio riuscite, una per stagione. La
prima propone il piano sequenza di cui sopra in cui Rust, ubriaco e sotto
l’effetto di stupefacenti, si fa largo tra i malviventi nel bel mezzo di una
retata. Dall’altra la seconda stagione si difende con la frenetica sequenza in
cui Ani cerca indizi nel bordello d’alta classe frequentato dalla classe
politica e dagli imprenditori di Vinci. Anche in questo caso la mia preferenza
va a Rust, a Fukunaga e alla prima stagione. Quello è IL Cinema. VINCE 1. 3-2
Vince quindi, a mio parere, seppur per un solo
in quantificabile dettaglio tecnico, la prima stagione. Nulla da togliere alla
seconda che, come ho cercato di spiegare, ha apportato molte migliorie dando
vita ad un nuovo standard complessivo che comprende elementi della prima
stagione ed altri di quella appena conclusasi. Il giudizio definitivo dipende
quindi sostanzialmente dai gusti dell’osservatore e personalmente credo ci
sarebbe voluto davvero poco perché la seconda superasse la prima, forse un
bilanciamento più ragionato e congeniato alla suspance che il genere richiede. Alti
e bassi che si fanno sentire insomma. Ma così non è. Vince Rust. Argento a Ray.
E voi? Quale preferite tra
le due? Siete stati condizionati dalle aspettative o siete comunque riusciti a
godere della seconda stagione? Preferite Rust o Ray? Ditelo con un commento qui
sotto o sui social. A presto con una nuova serie di commenti ad una serie,
credo.
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