martedì 29 settembre 2015

COSÍ PARLÓ NAPOLI

Nord e Sud. Sud e Nord.
Qualunque paese si osservi le differenze tra meridione e settentrione sono più o meno rilevanti e, nei casi più estremi, queste possono sfociare in manifestazioni di razzismo e violenza. È il caso dell’Italia, o almeno dell’Italia fino ad un paio di anni fa, prima che il Matteo Felpato cambiasse la politica del suo partito passando dalla xenofobia verso il terrone a quella verso l’immigrato clandestino, nuovo nemico del vero popolo padano. Semplice scelta politica. Convenienza. La discriminazione verso il Mezzogiorno però, a mio parere, è rimasta immutata perché sono rimaste immutate le differenze strutturali e culturali tra Nord e Sud.


Proprio su queste differenze si basa “Così Parlò Bellavista”, pellicola del 1984 scritta e diretta da Luciano De Crescenzo; Nastro d’Argento e David di Donatello al miglior regista esordiente l’anno successivo. Il film, ambientato a Napoli, descrive lo scombussolamento che l’arrivo del milanese Cazzaniga porta nella vita di Gennaro Bellavista e dei suoi squattrinati amici. Bellavista è un professore di filosofia in pensione che, non riuscendo a rinunciare alla passione per l’insegnamento, organizza giornaliere lezioni gratuite nel soggiorno di casa sua per gli amici di cui sopra: il portiere, il sostituto portiere, lo spazzino e il poeta; quattro personaggi secondari che nel loro piccolo rappresentano alcune sfaccettature della capitale del Sud.
La trama segue contemporaneamente anche le disavventure di Patrizia, figlia del professore, e del suo compagno Giorgio, disoccupati in dolce attesa. Se da un lato Bellavista filosofeggia sulla vita, la religione e le differenze tra Nord e Sud, dall’altro la storia della coppia di sposini in crisi economica approfondisce le problematiche di Napoli in maniera ironica, convincente e intelligente. Disoccupazione, Camorra, teatralità, superstizione, lotto. Tutte queste sono riassunte in poche ma significative scene, talvolta apparentemente slegate le une dalle altre, come quella del cavalluccio rosso, esilarante, veritiera e poetica.


Questa doppia narrazione restituisce un ritratto di Napoli a due facce, Harvey Dent. Città da una parte storica, poetica, evocativa, filosofica, culturalmente superiore e dall’altra problematica, degradata, poco curata, abbandonata a se stessa. Un ritratto completo e tristemente veritiero che molti prodotti più alti e pretenziosi non eguaglieranno mai in efficacia e veridicità.
Il vero fulcro del film è però rappresentato dai discorsi ispirati del professor Bellavista. Dubbi e certezze, Stoici ed Epicurei. Fondamentale per lo sviluppo della trama quello sugli “Uomini d’amore e uomini di libertà”, interessante e sempre attuale la pacata invettiva contro la vita mafiosa. Tutte perle da gustare e assimilare. “… in questo mondo in cui regna il caos Napoli è ancora l’ultima speranza dell’umanità”.
Dalle parole del protagonista però emergono anche dei preconcetti legati alle persone del Nord; preconcetti non discriminatori e razzisti, ma superiori, legati al modo di intendere vita, impiego e relazioni interpersonali. Questa situazione muta nel finale quando, dopo un intero film passato ad inseguirsi senza mai incontrarsi, Bellavista e il dottor Cazzaniga si ritrovano bloccati in ascensore per diverse ore. Qui hanno l’occasione di confrontarsi e mettere sul piatto della conversazione i pregiudizi positivi e negativi che avevano l’uno verso l’altro per poi scoprire che niente è come sembra. Cade il Nord. Cadono le etichette. Cade il sud. Cadono i pregiudizi.



Un film a metà tra critica di costume e intrattenimento; comicità e poesia. Filosofia. Prodotto che nasconde lo spirito malinconico, lo splendore e le contraddizioni, la vera sofferenza straziante di una popolazione dietro un velo di semplicità e immediatezza. Altro che “Benvenuti su e giù”. “Dove è meglio che nasca un bambino?”, a Nord o a Sud? A voi il lauto gusto di scoprirlo. Siamo uomini d’amore o di libertà? Terroni o Polentoni? No, siamo Uguali. Posate le armi, posate la lingua. Siamo umani. “Si è sempre meridionali di qualcuno”.

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