martedì 16 giugno 2015

STORIE DI (IM)MATURITÀ - PRIMA PARTE

Alla vigilia della prima prova mi sento in dovere di rinfrancare i giovani maturandi che stanno passando le loro ultime ore prima dell’esame studiando (si spera) e ascoltando Venditti (si spera di no). E quale miglior modo per tirarci su di morale se non raccontandovi la mia personalissima esperienza?


Correva l’anno 2014; l’estate si prospettava quantomeno fresca (tanto che poi avremmo festeggiato Pasquetta a Ferragosto), l’ebola era ancora un miraggio lontano e i campi ROM c’erano ma non se ne parlava tanto. Qualcuno comprava maglie azzurre perché ci credeva, ma poi la Costa Rica e Godin ci hanno fatto cambiare idea un po’ troppo presto. Mentre l’Italia del mai eletto premier si apprestava a succedere alla Grecia per il semestre di presidenza europea, io e i miei coetanei preparavamo gli esami di stato. Dopo mesi di voci, pettegolezzi e finte tracce spacciate per rivelazioni celesti, finalmente tutto stava per finire. Dopo aver smaltito la delusione per la cocente sconfitta nella finale del torneo di calcetto scolastico contro i Mercenari (8-1. ndr), avevo apportato le ultime modifiche alla tesina; che poi in realtà doveva essere finita a maggio, che poi in realtà doveva essere finita ad aprile, che poi in realtà doveva…
Ero abbastanza sicuro che la mia figura l’avrei fatta: mappa concettuale sul viaggio nel tempo e sui wormhole partendo dalla DeLorean. solo mesi dopo mi sarei reso conto della banalità delle mie argomentazioni, ma almeno in quel momento ero convinto e tanto bastava. rimaneva il problema delle prove, ma si sa: per la prima non bisogna studiare, per la seconda ormai è tardi per imparare nuove formule complesse e la terza va a fortuna. Forte di quest’ottica speranzosa mi dedicai al recupero di OC (4 stagioni nel solo mese di giugno). A distanza di un anno, forse, ammetto, forse, che avrei potuto fare di più. Ma il quinto anno ti porta allo stremo prima della fine, non posso rimproverarmi nulla.


Arrivò quindi il giorno della prima prova. Facce tese, sorrisi tirati e vocabolari sotto braccio. L’agitazione era nell’aria, ma io non avevo paura. Ci accomodammo in un lungo corridoio di cui non riuscivo a vedere il fondo. Una classe a destra e una a sinistra. Noi a destra, ma dipende dai punti di vista. Ci consegnarono dei plichi infiniti che per farne uno credo abbiano abbattuto ettari di foreste. Tracce banali e per niente stimolanti (io scrissi qualcosa sulla violenza, credo), mai il vero problema fu l’analisi del testo, che mai ho scelto in cinque anni di liceo. Quasimodo. Bravo è bravo eh, nessuno lo mette in dubbio, ma se lo avessimo studiato durante l’anno magari avremmo potuto affrontare anche la tipologia A. E tutti furono costretti a virare forzatamente su altro. Tipo quello del dono. Scontato. Vi auguro il meglio per quest’anno, almeno qualche traccia interessante.
Finita la prima prova finito un ciclo: niente più temi per il resto della vita, o meglio, niente più temi se scegliete di non aprirvi un blog. Finita la prima prova tutti a casa a matematicare in allegria. La disperazione dell’ultimo secondo. Dopo aver perso ore a far nulla si perdono ore a rimpiangere le ore perse a far nulla e, mentre in casa si preparavano solo insalate di riso e piatti freddi, io mi dedicavo a perdere tempo e ad ipotizzare situazioni di vita improbabili, mio passatempo prediletto. Finita la prima prova comincia il giro di messaggi: “Quale hai fatto?”,  “Quanto hai scritto”, ma soprattutto “Domani ci sediamo vicini?”. Comincio a dubitare del disinteresse delle prime due domande.
Mentre si avvicinava la seconda prova, le due bocche si comportavano in maniera diversa: quella dello stomaco si chiudeva per lasciare posto a quella del linguaggio che sparava a zero su tutto e tutti in preda al panico. Guai a voi, genitori, che cercate di comunicare con i vostri figli la sera prima della seconda prova. Sarete dannati, o almeno insultati.


Il secondo giorno di esami mi sedetti in fondo, dove occhio non vede e cuore non duole. Ora non voglio dire che qualcuno potrebbe aver copiato durante la seconda prova, ma se dovessi dire il contrario potrei anche macchiarmi di menzogna. Sia ben chiaro, non voglio istigare i maturandi due-zero-quindici a delinquere, anzi, contate solo sulle vostre forze così che un giorno potrete raccontare la vostra storia con due punti in meno, ma con la testa altissima. Poi l’occhio ci scappa sempre, quello non è peccato. Se Dio ha fatto due occhi è perché uno deve guardare il foglio del vicino, sperando non sia vuoto.
Il primo problema. Il primo. Solo il primo. Il secondo non lo calcolò nessuno in tutta Italia. Primo problema e cinque quesiti di quelli banali, perché ci sono sempre quelli banali, fidatevi.
Fino alla seconda prova pensavo che un paio dei miei compagni di classe non avessero il dono della parola, ma, miracolo dei miracoli, in quelle sei interminabili ore ho sentito parlare anche loro. Ed erano a chilometri di distanza.
Finita anche la prova di matematica sembrava che quel macigno, nutrito in un anno con ansia e preoccupazioni inutili, alimentato da professori catastroficamente esagerati, si stesse sgretolando sotto i colpi del tempo e della fatica. Dopo poche chiacchiere con gli amici andai subito a casa a mangiare, perché in quella maratona che è la seconda prova riuscire a mangiare è cosa da pochi eletti dallo stomaco ferreo, e i wafer al cioccolato, con trenta gradi all’ombra, divengono un po’ meno invitanti a dirla tutta.
La pausa tra la seconda e la terza prova è salvifica e rinvigorente, come un bagno caldo dopo una lunga e stressante maratona di Game of Thrones, ma mentre sarete con la testa immersa nell’acqua e Atmosphere pervaderà la stanza comincerete a pensare a Calvino e a Van Der Rohe, a Kierkegaard e a Tacito, alla parallasse e a Sassoon. A quel punto uscirete di fretta dalla vasca e correrete nudi e bagnati verso la vostra scrivania, noncuranti degli estranei ospiti che vostra madre ha accolto poco prima in cucina. Ora dovete prepararvi, non abbassate la guardia. Terza prova is coming.

Continua... presto



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