Mi sto gradualmente pentendo della scelta fatta di
analizzare la serie due episodi alla volte, ma tant’è. Prendendo separatamente
le due puntate in oggetto oggi avrei molto da dire sulla seconda, ma molto meno
sulla prima, almeno scoppiettante finale escluso. E badate bene: non sto
tacitamente affermando di aver apprezzato tali episodi, anzi. Ma andiamo con
ordine.
La puntata della scorsa settimana segue la scia lenta e
sinceramente noiosa della precedente e si perde a specchiarsi nella grande
capacità di scrittura dei personaggi di Pizzolatto. La trama si ferma e veniamo
a sapere numerose novità, specialmente riguardanti il passato e le attitudini
sessuali del frustrato detective Woodrough. Consiglio personale e gratuitamente
spassionato al buon Nick: se ti piace tanto creare profili problematici al
limite dl credibile tralasciando la trama, datti ad In Treatment e abbandona
questa nave dopo averla portata dai Caraibi al Triangolo delle Bermuda. Grazie.
Poi ad un certo punto cominciano a comparire come funghi
i Messicani (che in una storia di droga, strozzini e corruzione non guastano
mai, ma talvolta rischiano di essere di troppo) che in so quale strano modo
centrano con la storia del nostro assessore assassinato, ma sta di fatto che
improvvisamente tutto ruoti attorni a questo gruppo di malviventi e ciò porta
il dream team di detective ad organizzare un blitz nella zona in cui dovrebbero
nascondersi i suddetti Mexicans. Queste sono le dubbie e claudicanti premesse che
portano al momento migliore della serie finora, ossia l’ultimo quarto d’ora del
quarto episodio. Finalmente azione, qualcosa in movimento che sveglia lo
spettatore assopito e manda avanti una trama stanziante. Finalmente cinema di
qualità a servizio di un brand che un anno fa ridettava legge per quanto
riguarda il rapporto tra serie tv e progenitori. una scena rivista tre volte
per poterne comprendere ed elogiare ogni dettaglio. E qui arriva il fulcro
narrativo di questo biepisodio, ossia il time skip seguente alla strage deciso dall’autore:
i tre protagonisti sono costretti ad allontarasi e a cambiare le loro mansioni
a causa delle conseguenze di una sparatoria sanguinolenta ed evitabile (queste
cause non mi sono ben chiare nonostante l’impegno profuso nella visione). E quindi
Velcoro lavora per il “gangster” Semyon, Ani fuma sigarette non elettroniche mentre
archivia scartoffie e Woodrough si appresta a sposare con un’avvenente donzella nonostante
sia omosessuale. Deh, tutto chiaro. Peccato che questo “tutto” non centri nulla
con il mio tutto, ossia l’omicidio, ossia il caso che giustifica il titolo
della serie, quello che si vede ogni settimana sulle note di "Nevermind" (tanto love). True
Detective. Vero investigatore. Ce ne fosse uno che investighi con serietà e
metodo sul caso Caspar. Ma poi una donna nera viene in mio soccorso e
riassegna, con qualche operazione interna un po’ oscura e oscurante, il caso ai
tre che, con le buone o con le cattive, scoprono che il caro vecchio assessore,
oltre ad avere le mani in pasta in praticamente tutti i loschi affari che coinvolgessero
l’amena cittadina di Vinci, era anche responsabile di un complesso giro di
ricatti seguiti a feste hard a cui prendevano parte modelle rifatte da un tizio
che sfortunatamente ha perso qualche dentino (Ray rules).
Lo stesso Ray che scoprirà solo dopo cinque episodi il
doppiogioco di Frank Voughn e la verità sullo stupro della moglie che
sostanzialmente sta alla base dei turbamenti dell’anima del poliziotto. Ciò ci
traghetterà così ad un finale interessante, poco sconvolgente ma quantomeno
accattivante. Ora sono botte sicure, non ci metto la mano sul fuoco ma almeno
su qualcosa di caldo.
E quindi? Credo di aver compreso quasi tutti i singoli
eventi mostrati in questi due episodi di TD e comincio a pensare sempre più a
questa seconda stagione (o serie se vogliamo considerarla totalmente aliena
alla storia di Rust) come un puzzle di 999 pezzi. Manca quell’ultima lacrima, l’ultima
foglia che dia un senso a tutto l’insieme. Senza tale pezzo tutto ciò che
abbiamo è nulla: tante storie staccate tra loro che perdono di mordente e
rischiano di stancare prima di scoprirsi davvero interessanti e fondanti per la
trama principale che a tratti non c’è e a tratti latita (ma qualcuno ha
realmente capito la storia dei Messicani? Io per niente).
Per quanto riguarda le interpretazioni ho notato un
miglioramento del livello medio complessivo, anche se Vaughn continua a fare
facce. Vaughn, il personaggio più fastidioso e ripetitivo. A qualcuno interessa
davvero se quella finta ragazzina di sua moglie possa avere o no un figlio? Probabilmente
il peggio scritto dei quattro.
Ho comunque deciso di guardare le nuove puntate di
mattina, altrimenti il sonno è assicurato. Il sonno prodotto da una serie nata
con troppe aspettative e condizionata dalla magniloquenza di uno sceneggiatore
cult solo alla seconda esperienza nel settore. Arrivati a questo punto non
posso esimermi dal concludere la visione delle prossime tre puntate, ma come
livello d’intrattenimento non ci siamo affatto e quel nome mi sembra davvero
fuori luogo. Ancora noia.
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