ALBUM: Déjà Vu (2015)
Ok, lo ammetto: questo non si direbbe proprio il mio
genere, ma, dopo la collaborazione con i Daft Punk in Random Access Memories,
ero assai curioso di scoprire il ritorno sulle scene del maestro
dell’elettronica, l’italianissimo (si fa per dire) Giorgio Moroder. Le aspettative
erano discretamente alte visti i premi Oscar vinti dall’artista tra gli anni
Settanta e gli anni Ottanta e considerando anche la qualità del brano "Giorgio
by Moroder", ma ciò che mi sono trovato davanti è un nuovo album di David Guetta
senza David Guetta. Kylie Minogue e Britney Spears, Sia e Charli XCX. No,
decisamente non è ciò che mi aspettassi. Tutto sommato l’album può essere anche
godibile in alcune sue parti; i singoli "Déjà Vu" e "74 is the new 24" fanno la loro parte, se
ascoltati senza grandi pretese musicali, ma nel complesso ci troviamo di fronte
al tentativo di un anziano signore (perché 74 is not the new 24) di rimanere al
passo coi tempi e di riformare la sua musica per renderla paragonabile ai vari
Guetta, Alesso, Hardwell e via dicendo. Manca l’originalità, manca il vero
Moroder, perché Moroder non è i Daft Punk, o forse non lo è più. VOTO: 6
ALBUM: Portraits (2015)
Come scelgo gli album da ascoltare, dite? Beh semplice:
vado su Deezer e faccio finta di capirne di musica. Mi atteggio. Penso “Ah,
bravini i Maribou State; devo averli ascoltati nella mia precedente vita”, e
poi finisco a guardare le copertine e a scegliere in base alla bellezza. Ecco
come ho scoperto gli Everything Everything (e che scoperta). Le copertine hanno
sempre ragione.
Questa volta mi è andata meno bene dell’ultima, ma
partiamo dall’inizio. L’album si apre con "Home", brano quasi unicamente
strumentale che si avvicina molto al genere ambient. Si passa poi a "The Clown",
brano più pop, più movimentato e più accattivante. Se dovessi giudicare il prodotto
dall’incipit il mio voto sarebbe decisamente positivo, ma purtroppo l’album
continua. Una serie di brani poco ispirati e talvolta vuoti e ripetitivi
abbassano pesantemente il livello dell’opera. L’ambient iniziale lascia posto
ad un’elettronica già sentita troppe volte. Negli ultimi due pezzi invece il
gruppo di origini ignote (cercate pure se volete, tanto non troverete) rallenta
il ritmo e si riprende trovando nuovamente melodie interessanti e arrangiamenti
fini. Vi consigli di chiudere gli occhi e di lasciarvi trasportare dalle note
di "Varkala"; qualcosa di antico, di primordiale. VOTO: 6.5
ALBUM: Beneath the Skin (2015)
Ho adorato il primo album degli Of Monster and Men, pur
riconoscendo chiaramente dei limiti. Con il primo lavoro erano riusciti a
ridare vita ad una tradizione nordica folk che troppo spesso viene relegata a
musica di livello inferiore per non rubare spazio ai colossi Statunitensi e
Inglesi. Troppo spesso sottovalutiamo la musica del vecchio continente e
osanniamo quella che le radio ci dicono di ascoltare, ma in questo senso My
Head is an Animal ha rappresentato una svolta interessante. L’irruzione non
programmata della musica islandese nel panorama pop mondiale. E veniamo quindi
al secondo lavoro. Da dove cominciare? Musicalmente parlando il livello medio
dell’album è discreto, senza alti né bassi, ma il vero problema è la scrittura
della canzoni. Undici interminabili brani, tutti lenti, tutti monotoni, tutti
uguali. Ciò che manca a Beneath the Skin è la creatività, l’inventiva che
aveva stupito nel primo album. Melodie sempre uguali e cambi di ritmo prevedibili
minuti prima che accadono. Un ora di noia. VOTO: 5
FILM: Videocracy - Basta Apparire (2009)
Dopo aver letto su internet del fenomeno mediatico del
2009, mi sono deciso a recuperare questo documentario di denuncia prodotto in
Svezia ma riguardante una realtà marcia tutta nostrana. Il tema centrale della
pellicola è (o dovrebbe essere) infatti “l’influenza della Televisione del
Presidente sulla popolazione italiana media”; dovrebbe perché in realtà il film
si ferma prima e sostanzialmente risulta essere una lunga e ripetitiva
introduzione al tema centrale e scottante promesso nel titolo e nei trailer
distribuiti. Qualche spunto degno di nota c’è, ad esempio le interviste a
Corona o al camerata Mora, ma per il resto si tratta di immagini di dominio
pubblico montate discretamente e rallentate per poter occupare l’intera durata
degli interminabili intermezzi tra le parti parlate. La voce narrante poi è
lenta, priva di phatos e alla lunga soporifera, decisamente un interprete non
all’altezza.
Il tema in sé però si salva: ciò che Berlusconi ha fatto
con la televisione (pubblica e di stato) è un atto deplorevole e criminoso che
purtroppo ha colpito molte famiglie tuttora ignare di essere state vittime
della decadenza dei costumi voluta dal Presidente e dai suoi soci in Fininvest.
Non voglio dire che la pochezza culturale del paese oggi è dovuta solo ed
unicamente alla televisione di Silvio, ma questa ha sicuramente aiutato ad
accettare tacitamente l’evoluzione della figura dell’italiano medio da mediamente
acculturato e informato a ignorate d’alta scuola. Nel 2015 purtroppo chi legge
un buon libro è considerato diverso e chi vive “ignorando” è stimato e invidiato. Comunque,
tornando al documentario, niente più di un occasione sprecata. VOTO: 5.5
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