La società è cambiata. Ad oggi due coppie su cinque si
separano e a farne le spese sono sempre i figli, le vere vittime. Essendo una
realtà ormai consolidata, molte sono le opere che trattano questo argomento, ma
una in particolare ha dimostrato di saper sintetizzare in maniera convincente
più sfaccettature legate sia al cambiamento comportamentale dei genitori che alle
diverse reazioni dei figli, trattasi de “Il Calamaro e la Balena”, pellicola
del 2005 diretta dal regista cult Noah Baumbuch. Il film in questione ha
ispirato i Noah and the Whale nella scelta del nome della band e solo questo
dovrebbe giustificarne la visione.
Il regista statunitense dirige un film indipendente (prodotto tra gli
altri da un certo Wes Anderson, non so se vi dice qualcosa il nome) nel quale
mostra discrete abilità tecniche e una buona capacità di scrittura
confezionando un prodotto intenso, simbolico, riflessivo e mai banale. Ogni
dettaglio ha un suo significato. Baumbuch pennella con maestria delineando
delle ombre perfettamente sfumate attorno ai connotati comici del film. Un
lavoro che ricorda la minuziosa arte giapponese del '600.
La storia, strutturata ad albero, ruota attorno a due ragazzi
medio borghesi di Brooklyn che, circa a metà degli anni ’80, in seguito ad una
serie di tradimenti ed incomprensioni tra i genitori, devono affrontare la
separazione di questi e tutte le sofferenze e le problematiche che essa
comporta. La prima difficoltà che si presenta loro è quella dell’affidamento
congiunto e quindi la mancanza di un alloggio fisso per Walt e Frank Berkman,
il primo interpretato da un esordiente Mark Zuckerberg.
Fin dalle prime battute si capisce l’atteggiamento che i due
figli assumono nei confronti dei genitori: se il più piccolo tende a rifiutare
l’ingombrante figura paterna, il più grande si identifica in questa
idolatrandola ed emulandola. Walt tenta con discreto successo di copiarne
atteggiamenti, gusti ed abitudini. La figura centrale dell’intero film è
infatti il padre: misogino scrittore fallito sul lastrico, ancora convinto
della validità delle sue opere, del suo atteggiamento superbo nei confronti del
Mondo, della razzista divisione delle persone in letterati e filistei. Questa
figura fastidiosa, approfittatrice e a tratti viscida, porterà i due fratelli
ad allontanarsi sempre più; ma, come ci si potrebbe aspettare, nessuna delle
due strade intraprese porterà a qualcosa di positivo, farà solo emergere limiti, problemi e fragilità di ciascuno. Sullo sfondo una madre assente, presa solo
dalla carriera letteraria in rampa di lancio e dai tanti uomini della sua vita.
La sofferenza è tangibile. Negli occhi dei due figli si legge
la tristezza, lo sconforto, la nostalgia di un nucleo familiare solido e
compatto, la mancanza di esempi vicini per costruire un rapporto sano con il
Mondo.
Il film coglie nel segno risultando efficace e intelligente,
puntando il dito contro quei genitori che mettono i figli in secondo piano. Può
essere interpretato come una grande lezione di vita rivolta a coloro che ancora
non comprendono l’enorme responsabilità che un figlio comporta. La
responsabilità di crescere, correggere e sorreggere un essere umano nuovo
finché questo non è in grado di intraprendere, senza eccessivi intoppi, un
percorso di vita autonomo. Meravigliosa responsabilità.
Nel film, attraverso l’evoluzione della storia del figlio
maggiore, viene poi mossa un’ulteriore critica ancor più specifica e dura verso
coloro che immaginano la paternità come un’occasione per plasmare un piccolo
essere a propria immagine e somiglianza. I figli sono altri dai genitori.
Libertà di essere protagonisti della propria vita. Il finale poi lascia spazio
all’interpretazione personale della metafora centrale del film: la splendida ed
evocativa guerra tra il calamaro e la balena che dà il titolo all'intera opera. Il tutto sulle note dei Pink
Floyd, il che è tutto dire.
La verità è che la nostra società fin da piccoli ci impone di pensare alla
procreazione come passaggio necessario per il raggiungimento di uno status
symbol accettabile agli occhi degli altri, ma non tutti nascono per essere
genitori. Genitori non si nasce, si diventa, ma alcune prerogative, priorità,
sfaccettature dell’anima suggeriscono coloro che sono predisposti a ciò. Poi
l’amore cambia tutto. È un discorso irrazionale. Intanto “Stay Together for the
Kids”.
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