Dopo il deludente Mute di Duncan Jones, la svolta
cinematografica di Netflix prosegue con Annientamento, secondo film da regista
per Alex Garland, già autore dell’acclamato Ex machina. Annientamento è
un’opera curata, complessa e ben scritta che richiede allo spettatore un passo
in avanti per poter essere colta nella sua essenza.
Natalie Portman è Lena, biologa congedata dall’esercito
statunitense provata dalla lunga assenza del compagno Kane. La situazione iniziale
di sofferenza sembra risolversi quando, ad un anno dalla scomparsa, Kane
riappare improvvisamente a Lena, senza dare spiegazione alcuna sul periodo di
assenza, ma l’uomo accusa subito un malore inspiegabile che conduce la moglie
alle soglie dell’area X.
Delle premesse abbastanza usuali vengono rimescolate nel
prisma dinamico di una trama fitta di riferimenti puntuali a temi vergini per
la fantascienza contemporanea: dal superamento della colpa alla crisi di
coppia, passando per lo studio sulle cellule tumorali. Elementi che si
aggiungono in modo convincente ai temi classici e alle modalità consuete del
genere per dare vita ad un’opera originale e per certi versi innovativa. In realtà,
da questo punto di vista, il film potrebbe trarre in inganno e dare un’immagine
di sé dispersiva, quando invece l’attitudine per accogliere la molteplicità della
pellicola è quella di scindere i mezzi dai fini, i temi introdotti a sostegno
della tesi centrale e la tesi centrale stessa. Anche in questo caso si tratta
di un’interpretazione complessiva assolutamente personale, ma in un’ottica
finalizzata crea meno difficoltà la natura occasionale di alcuni momenti,
evidentemente mezzi tematici. In chiave metaforica, la questione del tempo nell’area
X è certamente un accessorio del film, come lo è anche il discorso sulle
cellule tumorali. Credo che il regista volesse focalizzarsi maggiormente sull’acquisizione
di un’identità nella nostra contemporaneità e sulle conseguenze che essa
comporta all’interno della coppia. Il tema della colpa per il tradimento di
Lena, i flashback talvolta sconnessi che ci vengono mostrati come rimandi al
pensiero della protagonista nella sua escursione verso il faro sono tasselli di
un puzzle più grande che ha il suo compimento nel finale. Il momento in cui
nessuno dei due protagonisti rispecchia più la figura che era all’inizio del
percorso, ma l’identità deve farsi da parte di fronte ad un riconoscimento
anche minimo di una familiarità. Un sentimento molto istintivo, animalesco, in linea con lo sviluppo biologico dei personaggi nell'area X. Un finale che potrebbe rappresentare una
conclusione lieta per la vicenda mostrata, ma che lascia un senso d’incompiutezza
assoluta rispetto al lavoro sottotraccia che l’opera porta con sé. In ogni
caso, come nel corso del 2017 avevamo visto fare a Madre! di Darren Aronofski,
anche Annientamento non sceglie autonomamente una chiave di lettura, ma lascia
la libertà allo spettatore di cogliere gli elementi che sente più affini per
produrre un’interpretazione personale. E questa tendenza si richiama ad un’ermeneutica
che negli ultimi anni ha perso troppo del suo fascino ed è un dovere supportare
un cinema così presuntuoso.
Annientamento inoltre non si riduce solamente ad un’interessante
e aperta idea di fondo che regge da sola una struttura, ma essa è anche
presupposto per la libera creazione di Alex Garland che, dopo aver dimostrato
doti eccellenti nella sua opera prima, dà sfogo alla sua fantasia e costruisce
un’ambientazione dal forte impatto visivo. L’idea di fondo del DNA rifrangente
all’interno dell’area X dà all’autore la possibilità di creare mischiando idee
differenti, nel contesto di un disturbante effetto luminoso. L’ambientazione si
compone di grandi praterie a cui si contrappongono edifici abbandonati e
disadorni. Sia alla luce del sole che nelle scene in notturna, i luoghi del
film non smettono di trasmettere una sensazione d’ignoto che richiama contemporaneamente
la paura e lo stupore. Vorremmo che ci venisse mostrato altro di quell’unicum
biologico, ma al tempo stesso soffriamo la vista e il pensiero delle creature
che potrebbero assalire le protagoniste da un momento all’altro. La tensione
visiva, coadiuvata da quella uditiva, non cala mai e contribuisce al
sostentamento di un ritmo preciso e deciso.
Il cast di protagoniste è forse uno degli elementi meno
riusciti della pellicola, che non riesce davvero a connotare nella gusta maniera
i membri della squadra esplorativa e non restano impresse come le creature, le
ambientazioni o i momenti cardine dell’opera. La loro presenza più che altro
scorre senza particolari sussulti, funzionale alla generazione di un sottile senso
dell’orrore e allo sviluppo di un concetto.
Annientamento è cinema coraggioso e alto che, nel
complesso della proposta cinematografica di Netflix, riscatta parzialmente i
due mezzi flop precedenti. Al tempo stesso però è un dispiacere non aver avuto l’occasione
di vedere sul grande schermo l’opera ultima di Garland, e qui, soprattutto per
questo genere, la linea della casa di produzione mostra il fianco. La Paramount
ha distribuito il film nelle sale in alcuni stati del nord America prima del
rilascio sulla piattaforma e le presenze nei cinema sono state nient’affatto
trascurabili. Dare la possibilità al pubblico di scegliere la modalità di
fruizione, anche ad un paio di settimane dal rilascio “gratuito” in streaming,
potrebbe essere la soluzione, il giusto compromesso.
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