mercoledì 5 luglio 2017

DIVENTARE GRANDI

Lo slittamento delle età ha provocato un ritardo temporale nello sviluppo dei nuovi cittadini. Lo scorso secolo, contraddistinto dalle due guerre mondiali, aveva avvicinato una gioventù ancora adolescente al mondo degli adulti, al lavoro e all’autososotentamento. Questo modello era rimasto in vigore anche in un periodo di ripresa economica in cui si era portati a vedere nei ragazzi una fonte di manovalanza a basso costo. Ciò si traduceva, nello specifico, nella possibilità dei giovani di emanciparsi dalla famiglia d’origine - seppure i rapporti familiari rimanevano certamente più stretti rispetto a quelli attuali - e all’emancipazione seguiva necessariamente un’assunzione di responsabilità per la propria persona, il proprio futuro. Una responsabilità sociale che richiedeva a gran voce un interessamento per le problematiche comuni, una forma, talvolta involontaria, di partecipazione al dibattito sociale.
Oggi questo modello ha lasciato il posto ad un allungamento spropositato dei tempi, viziato dalla difficoltà dell’ingresso nel mondo del lavoro. Viviamo una gioventù dilatata e tendiamo ad avvicinarci tardi al sostrato adulto della società. Gli uomini di domani sono quindi eterni bambini che non smettono di crogiolarsi nell’infinità della gioventù umana, e ciò potrebbe alla lunga rappresentare un problema, nel caso in cui il dibattito politico si limitasse ad una cerchia ristretta di persone, andando contro il principio proprio della democrazia. Saremo in grado di far valere le nostre ragione quando, già troppo adulti, tenteremo di ritagliarci il nostro posto nel mondo?
Diventare grandi significa anche allentare il cappio al collo del cordone ombelicale dei genitori per essere responsabili delle proprie azioni, dei successi e soprattutto delle sconfitte, dalle quali passa realmente lo sviluppo umano del soggetto. Diventare grandi significa evolvere un rapporto di dipendenza da altri in modo da poter rappresentare a propria volta l’appoggio di un’altra vita. In quest’ottica, la possibilità che tale forma di emancipazione sociale avvenga appare sempre più risicata. Avviandoci verso un futuro di insicurezza e solitudine.



Ma pochi giorni fa qualcosa è cambiato.
Io e mio fratello eravamo soli in casa. Io ventun anni, lui diciotto. Ad un certo punto, mentre preparavamo il pranzo, ci siamo accorti di una lucertola per le scale che portano alle camere che Shin Godzilla pare Prezzemolo.  E allora PANICO!
“Chiama Papà!”
“Ma quello sta a un’ora di macchina da qua, è andato a mangiare fuori”
“E quindi?”
E quindi dobbiamo toglierla noi
“Nono, fallo tu, io sto cucinando, lo vedi che sto cucinando?! Non posso proprio toglierla io”
E allora, sprezzante del pericolo, ho afferrato il coraggio a due mani, ho riflettuto un po’ sul da farsi e ho preso due bicchieri di plastica per rinchiudere la bestia e gettarla in giardino. Mi sono avvicinato cauto all’essere ignaro e ho cominciato ad intrappolarlo in modo che non potesse far altro che lanciarsi nel bicchiere, nella mia trappola mortale. Ma nulla. Perché in tutto questo ho dimenticato di dire che la lucertola era appena nata, sarà stata lunga 3/4 centimetri compresa di coda, e faceva anche fatica a camminare. Quindi rinchiuderla in un bicchiere di plastica, incastrandola nell’angolo formato dall’incontro di due scalini non era proprio la migliore delle idee. Eppure, piegando appena il bicchiere sono riuscito a raccoglierla. Poi, con invidiabile virilità, ho gridato a mio fratello - che intanto fingeva di essere impegnato ai fornelli - di aprire la porta di casa. Sono uscito con rapidità olimpica e ho scagliato con tutta la mia forza i due bicchieri chiusi a maracas verso il giardino, proprio mentre l’essere intrappolato sembrava aver riacquisito l’equilibrio necessario a rovesciare il mio piano. Quindi, con la stessa celerità di prima, sono tornato in casa, sbattendo la porta alle mie spalle.


Sono stato io. Io ho salvato la casa, io ho sbrogliato la matassa. Io sono diventato grande, a ventun anni. In questo momento, superata l’enfasi iniziale, sento davvero di aver compiuto un grande passo verso l’emancipazione dal mondo della dipendenza umana giovanile, verso la responsabilità che ci terrorizza e ci ammalia. Ora sento che è arrivato il momento di essere la roccia di una nuova vita. È arrivato il momento di avere un figlio.
Grazie mamma, grazie papà, da qui vado da solo.

In fin dei conti è semplice, l’essere rivela la sua essenza nel momento della fine. E realizzare la finitezza del tutto apre alla responsabilità di una vita piena. Basta avere la possibilità di crescere.
La finitezza è stata una lucertola.

Che non sapeva camminare.

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