martedì 16 ottobre 2018

TUTTI I PROBLEMI DI “A STAR IS BORN”


Partiamo un po’ da lontano: come io vado in sala.
Vorrei dire di essere un critico d’essai, vorrei dire di essere totalmente incorruttibile, vorrei essere una persona migliore anche, ma al momento non lo sono affatto. Il mio problema è che mi faccio convincere troppo facilmente: basta un trailer montato non dico bene, non dico discretamente, va bene anche se è montato da cani, l’importante è che ci sia una canzone in sottofondo che vada in crescendo e che esploda nel finale del trailer, proprio quando appare il titolo del film.


NB: meglio una canzone anni ’60 ’70 ’80. Ma in verità in verità vi dico: va bene anche la sigla dei Teletubbies, purché formenti.

NB: mia nonna - intorno all’anno 2000 - confondeva spesso i Teletubbies con i Talebani. Tinkie Winkie che tira giù le Torri Gemelle con un balletto dei suoi.


E quindi c’ho il fomento facile.
Ma torniamo al film di oggi: A star is born, esordio alla regia per il più amato dagli americani Bradley Cooper, che mette un cappello mezzo country, imbraccia una chitarra che palesemente non sa suonare e fa la parte del rocker/poeta maledetto. Al suo fianco Lady Gaga in un ruolo ritagliato su misura per lei che riprende in parte la sua storia personale.


A leggere la trama, sentire i pareri altrui, avevo pensato sarei andato al cinema più per dovere di affermato blogger che per il piacere della visione. Poi ho visto il trailer e mi si è aperto un mondo: quando Lady Gaga entra sulla chitarra di Bradley Cooper non c’è n’è per nessuno. E le immagini raccontano di due vite che si intrecciano con l’amore, le difficoltà, la musica.
Poi ho visto il trailer e mi sono fomentato e poi sono rimasto un po’ deluso. Perché non imparo mai?
A star is born è un film molto americano, molto classico che cerca di rimodernare la storia trita e ritrita dell’opera a cui si ispira, e ci riesce solo in parte. In generale l’esperienza della visione in sala tocca dei picchi notevoli, ma è minata alla base da una serie di problemi che presi singolarmente sembrano superabili, ma che visti nel complesso rovinano in parte l’intera opera.
Ad una regia sì classica, ma adatta al contesto e soprattutto ispirata nelle sequenze musicali, non corrisponde una sceneggiatura all’altezza e una storia stantia si dipana attraverso situazioni poco strutturate, personaggi non abbastanza approfonditi per poter sostenere un certo pathos e dei dialoghi scadenti. Non arriva mai ad essere un’opera di difficile comprensione, ma molti passaggi senza una specifica logica allontanano spesso lo spettatore dall’immersione nello schermo, e in un film che tenta - anche disperatamente - di coinvolgere emotivamente lo spettatore, un muro di piccole problematicità che si frappone durante la visione diventa un ostacolo insormontabile.
Come detto il film tenta in tutti i modi di parlare allo stomaco e al cuore dello spettatore, chiedendo una lacrima in cambio. Non è deprecabile una proposta del genere, si tratta di una scelta. Il problema emerge quando questa ricerca supera il muro della lacrima e sfonda il portone della stucchevolezza. A quel punto ciò che poteva apparire toccante diventa fastidioso e tornare indietro è sempre più difficile. L’esasperazione non sempre è reversibile.


Ad un contesto carico e poco fluido, data la rivedibile sceneggiatura, si aggiunge una durata spropositata che appesantisce ulteriormente la pellicola. Gli atti vengono diluiti in un arco temporale ampio e poco funzionale alla trasmissione delle emozioni più basiche. Arrivare in fondo senza staccare gli occhi dallo schermo è impresa impossibile. In alcuni frangenti anche i chicchi di mais non scoppiati in fondo al secchiello sembreranno più accattivanti.
Il problema della gestione dei tempi si lega direttamente ad un montaggio non all’altezza, che fallisce nel creare una continuità tra i vari momenti di vita di coppia che vengono mostrati. E quando un montaggio imperfetto incontra dei dialoghi poco ispirati si finisce spesso col domandarsi cosa stia realmente succedendo, perché i personaggi si comportino in un certo modo, come sono finito in questa sala dopo appena un trailer?



Altra cosa - adesso trattata in maniera un po’ così, blanda: come valuto i film.
Dopo anni di film divorati ed autorevole esperienza millantata, mi sto avvicinando sempre più ad un approccio che cerca di prendere il meglio da ogni pellicola. Anche quando questo meglio punta sempre a nascondersi sotto quintali di inutilità.
E questo A star is born un meglio ce l’ha eccome:le interpretazioni dei protagonisti sono molto valide, la regia riesce a portarci davvero sul palco, riesce a trasmettere il brivido dello spettacolo e le difficoltà di Jackson Maine, e poi ci sono le canzoni. O meglio, i momenti musicali, quelli sì toccanti e profondi. Lady Gaga e Bradley Cooper interagisco in perfetta armonia per intercettare le emozioni che il resto della pellicola parlata non riesce neanche a sfiorare.


A star is born, capolavoro moderno annunciato, purtroppo fallisce nel suo non essere affatto un capolavoro, ma semplicemente un film discreto falcidiato da problemi basilari. Eppure il marketing sfrenato con il quale il film è saltato agli onori della cronaca saprà ricompensare la prima fatica di Bradley Cooper con qualche nomination ai premi più famosi, e magari anche qualche statuetta. Dopotutto chi non ama Bradley Cooper, chi non si scioglie di fronte alla potenza vocale di una Lady Gaga versione brutto anatroccolo. Qualcuno sarà in grado di sorvolare sul cinema claudicante di quest’opera per prenderne solo il marketing. È la legge del mercato. È il 2018.

Nessun commento: