mercoledì 19 luglio 2017

TWIN PEAKS 3 - EPISODIO 10

È stato ripetuto diverse volte: la libertà concessa a Lynch nella realizzazione della sua creatura prediletta sta facendo la differenza, specialmente se paragonata ai paletti restrittivi della seconda stagione. Eppure la volontà dell’autore - che come sappiamo era arrivato anche ad abbandonare il progetto pochi mesi prima dell’inizio delle riprese - immaginava questo terzo atto come un unico film di diciotto ore. Anche alla luce della visione che egli stesso ha della sua opera, dobbiamo tendere a valutare ogni episodio sia autonomamente, perché così ci viene fornito da Showtime, sia nel complesso di una narrazione univoca. E nella divisione settimanale che è stata fatta del prodotto finito, attraverso l’escamotage delle sonate al chiaro della luce soffusa del Bang Bang, è possibile che alcune “Parti” pecchino di contenuti che mettano la giusta dose di carne al fuoco, e che invece tendano a privilegiare uno sviluppo circolare, andando a toccare situazioni marginali. Nonostante una densità minore, questo decimo episodio offre alcuni contributi interessanti. Proviamo ad approfondirli allontanandoci da una modalità cronologica.


Il rampollo Horne si è rivelato essere effettivamente il figlio di Audrey, ma tra malefatte, corruzioni ed estorsioni, della madre neanche l’ombra. Che fine avrà fatto la piccola e temeraria ragazza che aveva stregato Coop nella prima stagione?  Dopo i primi due episodi avevamo ipotizzato che Audrey, data la sua disponibilità economica e il legame che la legava a Cooper, poteva essere la donna dietro l’operazione della scatola di vetro. Questa teoria aveva poi ottenuto una conferma indiretta dalle parole del dottor Hayward, che aveva fatto luce sugli avvenimenti successivi al finale della seconda stagione. Ora però questa teoria potrebbe crollare nel tempo di un otturatore. Tammy infatti mostra a Gordon e Albert una foto del doppelganger di Coop nella scatola di vetro. Il mandante dell’operazione potrebbe essere lo stesso Bob, anche se i suoi metodi, a partire dal prequel, sono sempre apparsi meno sofisticati e più pragmatici. Da lui è facile aspettarsi l’organizzazione di un corpo di assassini, meno quella di un sistema complesso per intercettare lo spirito di Coop verso il terzo doppelganger, Dougie Jones. Chi si cela allora dietro la scatola di vetro, ma soprattutto, verso quale parte tende la moralità del clan della scatola?


Il messaggio di Bob a Diane, di cui abbiamo appena accennato nelle scorse settimane, rivela più di quanto potessimo aspettarci da un meraviglioso personaggio. Diane, dopo anni passati all’ombra di un registratore, è riuscita a ritagliarsi una personalità allo stesso tempo convincente e ambigua. Se abbiamo ormai imparato ad aspettarci dal suo personaggio alcune battute ricorrenti, alcuni modi di fare, alcuni atteggiamenti, il suo travagliato passato - che poi l’ha presumibilmente spinta all’alcolismo - nasconde la reale dimensione del personaggio, che opera un doppiogioco tra Bob e l’FBI. La soluzione più semplice sarebbe ammettere una storia d’amore tra Diane e Cooper e quindi giustificare il suo comportamento nel tentativo di coprire quello che lei crede non essere il suo amante, ma comunque l’uomo che indossa le spoglie del protagonista. Questa versione cozzerebbe però con l’idea che Gordon e Albert ci hanno proposto di Diane, ossia di una personalità che ha delle informazioni sugli eventi di Twin Peaks ancora celata agli agenti. Coop aveva una corrispondenza diretta con la donna ed è presumibile che lei abbia tentato di ricostruire il puzzle della battaglia delle logge, per cui non possiamo accettare che il suo comportamento si fondi solamente sull’assuefazione dell’immagine. La mia proposta è quella di un secondo incontro: credo che il confronto tra Diane e Bob in carcere - uno dei momenti più alti della serie finora - non sia in realtà il primo. Bob potrebbe aver avvicinato precedentemente la donna, costringendola a collaborare in cambio dell’incolumità di Coop, o della promessa del ritorno di questo nella figura fisica di Dougie Jones. Un puzzle intricato che non trova ancora una soluzione, ma che apre le porte della narrazione ad un doppiogioco già noto, che potrebbe evolversi in una caccia all’uomo al contrario, nel tentativo di attirare Bob in una trappola.


Il ritorno della signora Ceppo, in queste condizioni, è sempre un evento, a prescindere dal contesto. Se poi questo cameo inaspettato porta con se le conferme di un progetto escatologico, allora il momento televisivo non può che innalzarsi. “Laura is the one”, è la conferma che aspettavamo per credere ancora che tutta questa vicenda abbia il suo cuore in Laura Palmer, che fu la sfera ambrata, la ragazza avvolta nella plastica e che potrebbe tornare ad essere l’ultimo baluardo della loggia bianca, in attesa del risveglio di Coop. Quel che è certo è che la storia di Laura deve ancora finire. Il suo personaggio, di cui è rimasto uno spirito dagli occhi bianchi rinchiuso nella loggia nera, avrà ancora una rilevanza fondamentale, e questo ci porta a dedurre che il luogo degli eventi per la conclusione della storia, come indicato dal maggiore Briggs, potrebbe essere proprio la loggia nera.


Dale Cooper invece, nonostante alcuni siparietti divertenti, non sembra muoversi verso il cuore degli eventi. È chiaro che debbano essere gli eventi a raggiungerlo e proprio il ritrovamento della fede di Dougie Jones nello stomaco del cadavere del maggiore Briggs potrebbe spostare l’Fbi verso Las Vegas. ma per quale motivo Coop fatica a svegliarsi? Che possa essere solamente il ricongiungimento dell’anima con il corpo originale a farlo rinsavire? In ogni caso, visto l’andazzo, immagino la presenza del vero Cooper possa essere ridotta agli ultimissimi episodi, proprio verso il finale di questa epopea.



Dopo dieci puntate comincia a farsi sentire il peso dello stile narrativo lynchiano, che predilige uno sviluppo lento, arricchito da simboli e richiami che strizzano l’occhio e garantiscono soddisfazione solo a coloro che sanno coglierli. Noi fan della seconda ora, che all’epoca della prima messa in onda non eravamo ancora nati, non abbiamo vissuto l’esperienza diretta, frammentata della prime due stagioni, e non abbiamo potuto provare il senso di smarrimento che riempie lo spazio vuoto che intercorre tra le diverse storie. È il senso di sospensione che oggi ci attanaglia e ci fa sperare che arrivi presto un nuovo capitolo, soprattutto quando l’ultimo non ha cercato di darci le spiegazioni che andiamo cercando, ma ha fornito altre risposte, ad altre domande.

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